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Pressione e strada maestra: come la forza mentale guida l’atleta verso il miglioramento

Ogni atleta, quando si prepara per una competizione si trova a pianificare un percorso chiaro e definito che lo porti al suo obiettivo. Immagina questa strada come una via ben tracciata, illuminata dai suoi valori e dai suoi principi fondamentali. Ogni passo che compie è guidato dalla consapevolezza di ciò che vuole raggiungere e del motivo per cui lo sta facendo. Questo cammino è lungo e spesso difficile, ma la ricompensa non riguarda solo il risultato immediato: il vero successo risiede nella crescita personale, nella capacità di perseverare e nell’affrontare le difficoltà.

Tuttavia, lungo il percorso, non tutto è facile. Spesso, le sfide più dure non sono fisiche, ma mentali.

Nel corso di una partita o durante una stagione di allenamenti, ci sono momenti in cui l’atleta si sente sopraffatto. Dubbi, preoccupazioni e nervosismo possono entrare in gioco. La pressione di fare bene può diventare paralizzante, e a quel punto la tentazione di deviare dal cammino principale, quello che porta alla crescita a lungo termine, diventa quasi irresistibile. È naturale voler trovare un sollievo immediato, una via di fuga che eviti di confrontarsi con le emozioni spiacevoli del momento. Questa ricerca di gratificazione a breve termine può portare l’atleta a scegliere scorciatoie che semplificano la situazione immediata, ma che in realtà lo allontanano dal raggiungere il vero obiettivo. È la tentazione di scegliere una strada che eviti il sacrificio, ma che in futuro non porta ai risultati sperati (Henriksen, 2019).

Per esempio, sotto stress, un giocatore potrebbe rifugiarsi in una tattica più sicura, diventando passivo e aspettando che sia l’avversario a commettere errori, invece di continuare a giocare con aggressività. Questo tipo di scelta potrebbe sembrare una soluzione immediata, ma nel lungo periodo riduce il potenziale dell’atleta, limitando il suo sviluppo. Le scelte dettate dalla paura o dal desiderio di evitare la frustrazione momentanea finiscono per ostacolare il percorso di miglioramento.

Esiste però un’altra via, una via che porta a risultati più duraturi e soddisfacenti. Questa via richiede una solida forza mentale: la capacità di mantenere la direzione giusta, anche quando le difficoltà sembrano insormontabili. La forza mentale non riguarda solo la resistenza, ma anche la coerenza nel perseguire i propri obiettivi a lungo termine, anche quando il presente è difficile. L’atleta che riesce a rimanere concentrato sul proprio obiettivo finale, affrontando le difficoltà con serenità, sa che il vero premio non arriverà attraverso le scorciatoie, ma attraverso il processo stesso di crescita e miglioramento.

Un concetto chiave in questo processo è il Game Plan, ovvero un piano strategico mentale che aiuta l’atleta a rimanere centrato. Quando la pressione aumenta, il Game Plan diventa la sua ancora di salvezza, un promemoria per agire secondo la strategia prestabilita, piuttosto che cedere alla tentazione di decisioni impulsive. Il Game Plan si basa su due principi fondamentali: chiarezza nell’obiettivo e impegno costante per perseguirlo, senza farsi distrarre dalla fatica temporanea o dai timori di fallire (Reinebo, Henriksen & Lundgren, 2020).

In pratica, questo piano strategico può includere non solo tattiche di gioco, ma anche tecniche di rilassamento per gestire la tensione, esercizi di visualizzazione per mantenere alta la motivazione e il focus, e il rafforzamento della resilienza emotiva per mantenere l’equilibrio psicologico nei momenti più critici. La chiave è vedere ogni difficoltà come una parte essenziale del cammino, una lezione da cui imparare, piuttosto che come una minaccia da evitare.

La forza mentale si costruisce con l’esperienza e la consapevolezza che ogni passo, anche il più difficile, è un passo verso il miglioramento. Non si tratta solo di essere forti nei momenti di successo, ma di saper affrontare la difficoltà con serenità e determinazione. La capacità di rimanere sulla strada giusta, quella che porta alla crescita duratura, è ciò che separa un buon atleta da un grande atleta. La coerenza mentale nelle difficoltà è ciò che consente all’atleta di realizzare il proprio potenziale massimo.

In definitiva, la strada che porta al successo non è quella che cerca il risultato immediato o la scorciatoia facile, ma quella che richiede coraggio, pazienza e la forza di agire in modo coerente con i propri valori, anche quando il cammino è arduo. Quando l’atleta impara a percorrere questa strada, la ricompensa non è solo la vittoria finale, ma anche il processo stesso, che lo rende più forte e consapevole di sé, ogni giorno di più.

Elena Uberti

Nikefobia: Quando il successo attiva le nostre paure più profonde

In realtà, uscendo dall’immaginario comune e dalle fantasie collettive ed entrando nelle vite degli atleti e delle persone che praticano sport a livello agonistico, la vittoria può fare paura.

Si chiama Nikefobia, deriva dal greco (Nike = vittoria e Phobia = paura) e si manifesta quando la prospettiva di un successo provoca così tanta paura da portare la persona ad auto-boicottarsi poco prima di raggiungerlo o subito dopo averlo conseguito.

Ma come può il successo innescare paura?

Innanzitutto, dobbiamo ricordarci che, come esseri umani, siamo molto più emotivi che razionali. Lo spiega molto bene il neuroscienziato Koch (2012) affermando che per l’80% siamo composti di dinamiche percettivo-emotive e per il 20% di dinamiche coscienti. Questo significa che nella nostra quotidianità si possono innescare meccanismi di difesa emotiva che non sono coscienti ma che sono fondamentali per proteggere la nostra integrità psichica. I cambiamenti, belli o brutti che siano, sono potenziali minacce al nostro equilibrio psico-emotivo, perciò, per quanto assurdo possa sembrare, la vittoria intesa come grande cambiamento può innescare più paura che desiderio.

Quindi, in questo senso, la Nikefobia non è un fenomeno assurdo o illogico, bensì un meccanismo biopsicologico naturale, che si innesca in modo inconsapevole per evitare e/o rinunciare a qualcosa che potrebbe essere fonte di un potenziale cortocircuito emotivo insostenibile.

La Nikefobia si può manifestare nel pre-gara attraverso gli autosabotaggi (es. infortuni, trascuratezza nella preparazione, calo improvviso della motivazione, tendenza a ripetere sempre gli stessi errori, trascuratezza nella cura delle condizioni facilitanti la prestazione ad es. nutrizione e sonno), oppure molto spesso si manifesta nel post-gara dopo grandi vittorie tanto desiderate attivando quella che viene chiamata “sindrome dell’impostore” ovvero quella sensazione di non essersi meritati quel successo e di non poterlo mai più ripetere.

Siamo di fronte ad un meccanismo irrazionale che può essere affrontato con un percorso individuale di counselling psicologico o di psicoterapia, ma il Mental Training può essere un grande alleato e strumento di prevenzione attraverso l’allenamento alla consapevolezza emotiva.

Abbiamo parlato di come intervenire e come prevenire questo fenomeno nella nostra pillola Academy. Se sei interessato/a ad approfondire puoi acquistarla al seguente link:

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E a te, è mai capitato di aver paura di vincere?

Valentina Marchesi

L’obiettivo per il 2025 che ogni atleta dovrebbe tenere a mente

Se il 2024 è oramai un vivido ricordo nella nostra memoria, abbiamo appena concluso i festeggiamenti di questo giovane e atteso 2025. E come tutti gli inizi che si rispettino la nostra mente si proietta lontano, alza lo sguardo per quello che potrebbe accadere, si interroga sui possibili ostacoli e cerca di intuire i risvolti che il nuovo che avanza porta con sé.

Ognuno di noi vive il cambiamento con emozioni e aspettative diverse. Per qualcuno l’inizio del nuovo anno può essere una ventata di aria fresca: si chiude la porta ad un periodo negativo e ci si apre con entusiasmo e speranza ad un futuro più favorevole. Per qualcun altro può essere fonte d’incertezza ed insicurezza per ciò che verrà, le anticamere della paura di non farcela.

E in tutto questo turbinio di sentimenti, gli atleti come vivono questo periodo di passaggio? Le programmazioni sportive tendono ad alterare la percezione del tempo rispetto al nostro anno solare. Ogni atleta si costruisce una temporalità molto personale, di solito influenzata dalle gare piu importanti dell’anno, dalle giornate del campionato o dagli obiettivi del proprio programma di allenamento. Per alcuni la fine dell’anno coincide con una breve parentesi di stacco e riposo (ma solo dalle gare), mentre per altri rappresenta solo una convenzione obbligata dal calendario che non impatta in alcun modo il proprio sentire.

Sia che tu sei nel primo o nel secondo caso è bene ricordarti un concetto fondamentale per il tuo 2025: il tuo benessere non si fonda unicamente sui tuoi risultati. Dietro quei traguardi ambiziosi che ti sei posto/a c’è prima di tutto una persona, un individuo con i suoi bisogni, le sue necessità e i suoi desideri. Hai ragione questa frase l’avrai sentita un sacco di volte, ma riflettici un attimo…quante volte hai deciso consapevolmente di ascoltarla? E quante volte invece l’hai giudicata in negativo e hai deciso di allontanarla?

Non si può affermare il contrario, la mentalità sportiva richiede disciplina e sacrificio. E chiunque voglia raggiungere dei risultati deve fare i conti con questi due fattori. Eppure dietro a delle richieste così esigenti al tuo corpo e alla tua mente, per forza di cose devi considerare anche l’altro piatto della bilancia, quello che prima o poi ti chiederà indietro il conto (con gli interessi): si tratta del tuo benessere. Non sto parlando di quello a cui pensi quando vai in vacanza e stacchi da tutto, ma di qualcosa di piu profondo e personale, dato dalla sinergia di aree differenti dell’essere umano.

Immagina che il tuo benessere globale sia l’insieme di diverse aree confinanti, che spesso si influenzano tra loro:

  • Il tuo benessere fisico. Riguarda ovviamente il tuo corpo e per prendertene cura serve ascoltarlo realmente, accogliendo le sue fatiche senza chiedergli gli straordinari. Puoi dedicargli del tempo con delle attività rigeneranti, con delle pratiche corporee o diminuendo i tuoi carichi di lavoro.
  • Il tuo benessere nutrizionale. Esatto per stare bene con il tuo corpo hai anche bisogno di nutrirlo con delle abitudini alimentari equilibrate sul lungo periodo (non mi riferisco a diete restrittive o per bruciare piu calorie nei tuoi allenamenti).
  • Il tuo benessere emotivo. Ascoltare ciò che provi è una parte importante del tuo equilibrio. Le emozioni positive e piacevoli arricchiscono la nostra vita, ma non dimenticare di ascoltare anche quelle meno piacevoli. Prenditi uno spazio personale per imparare a conoscerle senza reprimerle. Anche loro ti comunicano qualcosa di importante di te.
  • Il tuo benessere relazionale. È una componente inevitabile per poter stare bene in quanto l’essere umano non può vivere senza relazioni sociali. Dedicare del tempo alle persone per noi importanti è un modo per prenderci cura di questa parte di noi.
  • Il tuo benessere intellettuale. La nostra mente ha bisogno di stimoli per potersi sentire viva ma non per forza dobbiamo cimentarci in attività troppo faticose per farlo. Il primo passo e conoscere i propri interessi e piaceri, dedicandoci attivamente anche solo per pochi minuti al giorno.
  • Il tuo benessere spirituale. Anche questa area è parte del nostro equilibrio e non serve essere religiosi per poterla coltivare. Riguarda la nostra parte più profonda, quella che richiede una riflessione su noi stessi e sulla nostra esistenza. La meditazione è una pratica molto potente per connetterci con noi stessi, ma anche il vivere a contatto con la natura ci permette di prenderci cura del nostro io più interiore.

Se pensavi che bastassero i tuoi obiettivi a portarti un equilibrio globale probabilmente sarai rimasto deluso. Ma c’è una buona notizia! Non sei obbligato a fare tutto e subito, anzi…questo momento dell’anno può essere molto importante per riflettere su come coltivare il tuo benessere in queste aree. Alcune di queste ti saranno chiare e saprai come soddisfarle da subito e magari per altre avrai bisogno di più tempo. Ma per questo, per fortuna, il tempo ci viene in aiuto perché sei proprio all’inizio del nuovo anno. E non c’è momento migliore per iniziare a prenderti cura di te stesso, non solo come atleta o come sportivo, ma soprattutto come essere umano.

 

Andrea

Vacanze di Natale: tra bilanci di metà stagione e ricarica psicofisica

In questo articolo esploreremo come le vacanze natalizie possano essere un’opportunità per il recupero, come integrarle nella preparazione psicologica e fisica dell’atleta e come il goal setting possa essere un alleato fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi sportivi.

Le vacanze natalizie rappresentano un’opportunità unica per gli atleti di staccare dalla routine quotidiana, di ricaricare le energie mentali e fisiche e di riflettere sui propri obiettivi a lungo termine. Questo periodo di pausa, se affrontato correttamente, può contribuire in modo significativo al recupero psico-fisico e alla pianificazione efficace del futuro, attraverso il processo di goal setting.
Il recupero psico-fisico è un processo fondamentale per ottimizzare le performance sportive. Durante l’anno, gli atleti si sottopongono a stress fisici e mentali continui, legati a intensi allenamenti, competizioni e pressioni psicologiche. Le vacanze natalizie, caratterizzate generalmente da un rallentamento delle attività sportive, rappresentano una finestra temporale ideale per rinnovare le energie. Tuttavia, affinché questo recupero sia effettivo, è importante che gli atleti sfruttino il tempo in modo strategico, cercando di bilanciare il riposo fisico con attività che favoriscano il benessere mentale.

Durante il periodo natalizio, il corpo ha bisogno di una pausa dagli allenamenti intensi. Ciò non significa un completo abbandono dell’attività fisica, ma piuttosto una riduzione dell’intensità e una maggiore attenzione al riposo e al recupero. L’attività fisica leggera o le tecniche di visualizzazione possono essere utili per mantenere una routine sportiva senza sovraccaricare il sistema muscolare e articolare. In questo contesto, anche il sonno gioca un ruolo cruciale nel recupero fisico, poiché consente la rigenerazione cellulare e il miglioramento delle performance future.

Le vacanze natalizie sono anche un’occasione per “reset” mentale. Gli atleti possono approfittare di questo periodo per distogliere l’attenzione dalle sfide agonistiche e concentrarsi su attività piacevoli che stimolano il benessere psicologico. Le tecniche di rilassamento, come la meditazione o la mindfulness, possono ridurre lo stress e migliorare la gestione delle emozioni, aumentando la resilienza mentale. Inoltre, questo tempo di pausa permette agli atleti di riflettere sui progressi fatti durante l’anno, di recuperare la motivazione e di ridefinire gli obiettivi per la stagione successiva.

Il goal setting è una delle tecniche psicologiche più efficaci per il miglioramento delle performance in ambito sportivo. Durante le vacanze natalizie, gli atleti hanno l’opportunità di riflettere sui propri successi e sui punti di miglioramento emersi fino a questo punto della stagione sportiva, di rivalutare gli obiettivi raggiunti e di pianificare quelli per il futuro.

Le vacanze natalizie sono il momento ideale per fare un bilancio della stagione sportiva trascorsa. Questo processo di riflessione consente agli atleti di comprendere se e come gli obiettivi stabiliti all’inizio dell’anno siano stati raggiunti, e di analizzare le difficoltà incontrate. Un’analisi obiettiva dei propri successi e insuccessi aiuta a comprendere quali strategie hanno funzionato e quali aspetti necessitano di una ridefinizione. Questo periodo di “autoconsapevolezza” può essere anche un’opportunità per festeggiare i successi, rafforzando l’autoefficacia e la motivazione. Una volta esaminato l’anno passato, gli atleti possono concentrarsi sulla definizione di obiettivi per la nuova stagione. Gli obiettivi, per essere efficaci, dovrebbero essere SMART (Specifici, Misurabili, Achievable – raggiungibili, Realistici, T emporali), in modo da fornire una direzione chiara e una motivazione costante.

Gli atleti possono anche prendersi il tempo per scrivere i propri obiettivi a lungo termine, integrandoli con obiettivi a breve e medio termine che li guideranno nel percorso di crescita. Una volta definiti gli obiettivi, è fondamentale pianificare le azioni necessarie per raggiungerli. Questo periodo di stop offre l’opportunità di sviluppare strategie, individuando le risorse necessarie (tempo, supporto, allenamenti specifici) e le potenziali difficoltà da affrontare. La pianificazione aiuta a ridurre l’ansia legata agli obiettivi e a creare un percorso che possa portare al successo. La pianificazione strategica è cruciale anche per evitare il burnout, poiché consente di integrare momenti di recupero durante l’anno e di bilanciare allenamenti e competizioni.

Le vacanze natalizie dunque rappresentano un periodo cruciale per il recupero psico-fisico degli atleti. Approfittando di questo tempo di pausa, gli atleti possono rigenerarsi mentalmente e fisicamente, rafforzando la loro motivazione e preparandosi al meglio per la stagione successiva. Il goal setting, combinato con il recupero fisico e psicologico, può essere uno strumento potente per indirizzare la crescita sportiva e mantenere alta la motivazione durante l’intero anno. Affrontare le vacanze con una mentalità strategica e orientata al benessere complessivo aiuterà gli atleti a raggiungere nuove vette di successo nel loro percorso sportivo.

Buone vacanze a tutti!!

 

Chiara Feno

Non solo corpo, ma anche mente: prepara il tuo 2025 con la forza della consapevolezza e della resilienza.

Le festività natalizie sono un periodo speciale, vero? Ma per tanti atleti e appassionati di sport, possono diventare anche una specie di trappola. Le routine quotidiane vengono stravolte, i ritmi si allentano e diventa più facile lasciare da parte l’allenamento fisico. Però, è proprio in questi momenti che il lavoro mentale può fare davvero la differenza. Allenare la mente non solo aiuta a mantenere alta la motivazione, ma migliora anche le prestazioni, sia nello sport che nella vita di tutti i giorni. Quindi, tra i buoni propositi per il nuovo anno, aggiungi anche l’allenamento mentale!

A volte, quando si parla di allenamento, pensiamo subito a ore passate in palestra o a correre sul campo. Ma la realtà è che la mente è spesso il vero protagonista. Non è solo una questione di corpo, ma anche di come reagiamo e affrontiamo le emozioni, che poi si riflettono in campo.

Invece, allenare la mente ti permette di diventare più consapevole, di riconoscere queste sensazioni e, soprattutto, di imparare a gestirle. Non è magia, è pratica! Tecniche come la mindfulness, la respirazione profonda e la visualizzazione ti aiutano a restare concentrato, calmo e a rimanere in carreggiata, anche quando tutto intorno a te sembra in movimento. Dedicare solo pochi minuti al giorno a questi esercizi può aiutarti tantissimo in questo nuovo anno, sia nello sport, sia nella vita di tutti i giorni.

Quando si parla di allenamento mentale, tanti atleti di successo ci hanno dimostrato quanto sia importante. Noah Lyles, uno degli sprinter più talentuosi degli ultimi anni, ha parlato spesso dell’importanza della visualizzazione nella sua preparazione. Fuori dal campo, dedica tempo a visualizzare ogni fase della sua corsa: il movimento delle gambe, la spinta dai blocchi di partenza, la postura e la velocità che deve mantenere. La visualizzazione non è solo un esercizio mentale per lui, ma una vera e propria strategia per prepararsi al meglio. Quando è sulla linea di partenza, sa già cosa fare, come muoversi e come reagire a qualsiasi difficoltà che potrebbe presentarsi. Lyles ha anche affermato che la visualizzazione lo aiuta a entrare in uno stato di flusso, dove il suo corpo e la sua mente sono completamente sincronizzati. Non è solo un modo per prepararsi, ma una parte fondamentale del suo allenamento quotidiano. La sua abilità di vedere il suo successo prima ancora che accada è una delle chiavi che lo rendono un campione.

Kimi Räikkönen, soprannominato “Iceman”, è famoso per la sua calma glaciale in pista, che lo ha reso un pilota temuto e ammirato. La sua capacità di rimanere impassibile anche nelle situazioni più ad alta pressione non è solo una caratteristica naturale, ma il risultato di un allenamento mentale costante. Kimi ha sempre integrato la meditazione nella sua routine, utilizzandola per mantenere il controllo mentale e ridurre lo stress durante le gare. Questo gli ha permesso di affrontare ogni sfida con lucidità, senza farsi sopraffare dalle emozioni. La sua concentrazione e serenità sono state fondamentali per il suo successo, rendendolo un “uomo di ghiaccio” tanto dentro quanto fuori dalla pista.

In fondo, allenare la mente è forse l’aspetto più potente del miglioramento, sia nello sport che nella vita. Durante le festività, tra una mangiata e l’altra, può essere facile dimenticare quanto sia importante prendersi cura di noi stessi anche mentalmente. Ma proprio nei momenti di relax e di pausa, può esserci la possibilità di rinforzare quella mente che ti sosterrà nel raggiungere i tuoi obiettivi. E se con l’inizio del nuovo anno vuoi aggiungere un proposito, fallo! Dedica ogni giorno un po’ di tempo al lavoro mentale e vedrai che ne raccoglierai i frutti, non solo nelle gare, ma anche nel tuo quotidiano.

Allenare la mente non è solo una questione di concentrazione e meditazione silenziosa: anche la tecnologia può essere un’alleata incredibile. Le app di meditazione e mindfulness sono perfette per chi vuole migliorare la propria concentrazione e ridurre lo stress senza rinunciare alla comodità del telefono. Se sei uno “smanettone” che non riesce a staccare dallo smartphone, queste app ti aiuteranno a dedicare anche solo qualche minuto al giorno al benessere mentale:

Headspace: Perfetta per i neofiti della meditazione, con sessioni guidate facili da seguire.

Calm: Un pacchetto completo per il rilassamento, con meditazioni, suoni rilassanti e anche racconti per dormire meglio.

Insight Timer: Un’app gratuita che offre meditazioni di ogni tipo, dalle più semplici a quelle più avanzate.

Insomma, se vuoi allenare la mente, oggi c’è un’app per tutto. E non devi nemmeno uscire di casa!

L’importanza di tifare: Perchè amiamo così tanto lo sport?

TIFARE [dal gr. τϕος «fumo, vapore; fantasia; febbre con torpore»]: questo verbo è inizialmente utilizzato per indicare una malattia febbrile caratterizzata da uno stato di confusione mentale.
In senso figurato, si riferisce ad uno stato di eccitazione quasi “febbrile” con cui le persone sostengono le loro squadre e i loro idoli sportivi.
Così, il tifo, indica una passione travolgente e viscerale con cui si sostiene una persona o un gruppo sportivo.

Ora, immaginatevi questa scena…
Avete 10 anni e stringete tra le mani il biglietto per andare a vedere la vostra squadra allo stadio. Vi mettere le scarpe e seguite i vostri genitori. Fremete: è la prima partita che guardate dal vivo.
Ricordate il boato della folla all’entrata della squadra in campo, il petto che trema, le mani che continuano a sudare. Poi, mentre vi sedete sugli spalti, il profumo di popcorn si mescola con l’eccitazione nell’aria. Il campo verde, perfetto, sembra brillare sotto le luci dei riflettori, e voi vi sentite piccoli, ma parte di qualcosa di grande.

Forse qualcuno di voi l’avrà vissuta in prima persona, oppure avrà visto qualcuno viverla.

La domanda vien da sé: cosa ci porta ad amare così tanto lo sport e a legarci in modo viscerale ad una squadra o ad un/una atleta?

1. IL SENSO DI APPARTENENZA:
sentirsi parte di qualcosa di più grande. Indossare tutti la maglietta dello stesso colore, cantare lo stesso inno, alzare le braccia al cielo dopo una vittoria e sentirsi amareggiati dopo una sconfitta, insieme ad un gruppo di sconosciuti, è ciò che crea un legame profondo con un gruppo di persone, con cui si costruisce una vera e propria identità: siamo milanisti, siamo juventini, siamo.

2. LE EMOZIONI:
ogni sport scatena delle emozioni: più siamo legati alla squadra/atleta, più ci sentiamo parte e maggiore sarà l’intensità delle nostre emozioni. A livello psicologico, quando la squadra o l’atleta raggiunge un obiettivo importante, qualunque esso sia, c’è il rilascio della dopamina, un neurotrasmettitore che gioca un ruolo cruciale nelle esperienze di piacere e motivazione.Quando una squadra vince, il tifoso sperimenta un senso di liberazione e appagamento, mentre, quando la squadra perde, si rilasciano emozioni come rabbia, ansia, tristezza o frustrazione accumulate. In entrambi i casi, il tifo diventa un canale attraverso cui il tifoso può esprimere liberamente le sue emozioni!

3. SIMBOLI E RITUALI:
Come accennato, ogni squadra ha i suoi colori, i suoi gesti ricorrenti e il suo inno. Questi diventano veri e propri ancoraggi emotivi.  Simboli e rituali prima di una partita o un momento importante, servono, come una routine, a ridurre l’incertezza e a concentrarsi, creando così una “zona di comfort” in cui sentirsi appagati.

4. LO SPORT COME SPECCHIO DI UNA SOCIETA’:
è infine interessante, a mio avviso, come lo sport rappresenti lo specchio della nostra società, riflettendo e amplificando dinamiche culturali, politiche e sociali. Il tifo, infatti, rappresenta spesso anche le tensioni, le sfide e le aspirazioni dell’intera società.

La visibilità dei grandi eventi sportivi e le storie dei singoli atleti sono spesso un riflesso di dinamiche come la disuguaglianza, i conflitti e i successi sociali: prendiamo ad esempio Muhammad ali, uno dei più grandi pugili di tutti i tempi. È diventato, negli anni 60, simbolo di resistenza contro l’oppressione raziale. Infatti, nel 1967 si rifiutò di prestare servizio militare durante la Guerra del Vietnam. Questo lo portò alla sospensione dalle competizioni, diventando così un simbolo di opposizione alla guerra e al razzismo.

Lo sport, quindi, è molto di più che un gioco: è un linguaggio universale capace di unire persone e accendere passioni. Tifare è vivere, sentire e appartenere. Perché, alla fine, ogni volta che diciamo “noi” parlando di una squadra, stiamo raccontando della squadra ma anche e soprattutto di noi stessi.

Tamara Sciuto

Perfezionismo e Mentalità vincente: una riflessione tra limiti e opportunità

Il perfezionismo, spesso considerato una virtù, può trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Esigere standard elevati e sforzarsi di raggiungerli può stimolare la crescita personale, ma quando questi obiettivi diventano irrealistici o radicati nel timore del fallimento, si rischia di cadere in un circolo vizioso di ansia e insoddisfazione.

La distinzione tra perfezionismo sano e perfezionismo disfunzionale, descritta da Hamacheck (1978), evidenzia come solo il primo consenta di accettare l’errore come parte del processo di apprendimento. Il perfezionismo sano, infatti, si manifesta come una ricerca dell’eccellenza che motiva a migliorarsi continuamente, senza che l’errore diventi una minaccia per la propria autostima. Chi abbraccia questo approccio vede nei fallimenti momenti di riflessione e crescita, piuttosto che ostacoli insormontabili.

Il perfezionismo disfunzionale, invece, è alimentato dalla paura costante di sbagliare e dall’esigenza di dimostrare il proprio valore attraverso risultati impeccabili. In questo stato mentale rigido, l’errore è vissuto come un fallimento assoluto, capace di innescare ansia e autocritiche severe. Si entra così in una logica “tutto o niente”, dove ogni risultato è considerato un successo completo o un disastro totale, impedendo di trarre soddisfazione anche dai traguardi raggiunti.

Questo stesso concetto, ad esempio, è centrale nella Mamba Mentality di Kobe Bryant.

Il leggendario cestista ha incarnato l’idea di focalizzarsi sull’obiettivo presente, vivendo ogni sfida come un’opportunità per superare i propri limiti. Per Kobe lavorare duramente significava studiare ossessivamente i dettagli, trasformando ogni errore in una lezione per perfezionare la propria strategia. Questa mentalità, che si spinge oltre il concetto di motivazione, invita a dedicarsi completamente al proprio percorso, senza paura di affrontare fallimenti come parte del processo.

Riconoscere i rischi del perfezionismo disfunzionale, come il pensiero dicotomico “successo o fallimento”, è fondamentale per evitare un blocco emotivo e una svalutazione di sé. Al contrario, adottare una visione orientata al miglioramento continuo, accogliendo il fallimento come spinta al cambiamento, può trasformare il perfezionismo in una risorsa potente.

 

E tu, come vivi il rapporto con gli errori e le aspettative? Forse è il momento di fermarti un istante e chiederti: gli standard che ti poni alimentano la tua crescita o ti imprigionano nella paura di non essere all’altezza? Accogliere una mentalità che valorizzi il processo, e non solo i risultati, significa trasformare ogni passo, anche quelli incerti, in un’opportunità per migliorare.

Abbracciare gli errori significa accettare che la strada verso l’eccellenza passa attraverso la capacità di sperimentare, sbagliare e rialzarsi più forti. Per questo, è fondamentale dotarsi di strategie che aiutino a vivere il perfezionismo in modo costruttivo, ad esempio:

  1. Ridefinisci l’errore: inizia a considerarlo come parte integrante dell’apprendimento. Chiediti: “Cosa posso imparare da questa esperienza?” anziché concentrarti solo su ciò che non è andato come previsto.
  2. Focalizzati sul progresso, non sulla perfezione: annota i miglioramenti raggiunti, anche se piccoli, e celebra i tuoi passi avanti, invece di aspettarti sempre risultati impeccabili.
  3. Stabilisci obiettivi realistici: suddividi i tuoi traguardi in obiettivi più piccoli e raggiungibili, per evitare la pressione di dover eccellere subito in tutto.
  4. Allenati alla flessibilità mentale: lavora per ridurre il pensiero “tutto o niente”. Impara a valutare i tuoi risultati su una scala di gradazioni, apprezzando i successi parziali.
  5. Crea uno spazio sicuro per l’autocritica costruttiva: quando valuti le tue prestazioni, fallo con gentilezza. Concentrati su ciò che hai fatto bene e su cosa puoi migliorare senza svalutarti.
  6. Circondati di supporto positivo: coltiva relazioni con persone che sostengano la tua crescita senza giudicarti, ma che siano pronte a darti un feedback costruttivo.
  7. Sperimenta senza paura del giudizio: datti il permesso di provare, anche quando il successo non è garantito. L’apertura all’esperienza è un potente alleato per superare le barriere del perfezionismo disfunzionale.

Inizia oggi con un piccolo passo: scegli un’attività che ti mette alla prova, anche se temi di non riuscire farla perfettamente. Affrontala con curiosità, vedendola come un’occasione per imparare e scoprire nuove possibilità. Lascia che ogni errore diventi una tappa del tuo percorso di crescita e osserva come cambia il tuo modo di vivere l’imperfezione.

Buon allenamento!

Federica Cominelli

Allenamento VS Partita : il focus sul presente

Certi giorni in allenamento mi sento imbattibile: a volte penso che il mio diritto lungolinea sia quasi sempre un vincente, il mio servizio piatto alla “T” sia forte e preciso, riesco a tenere la diagonale senza perdere campo. Ma in partita tutto cambia.

Le mie gambe diventano pesanti, il mio braccio rigido, e mi trovo a commettere errori banali, soprattutto davanti alla rete.

Non riesco a capacitarmene ed è così frustrante: se in allenamento funziona tutto, perché in partita sembrava che non sappia più giocare? Che senso ha iscrivermi ai tornei se poi gioco così male?

Un giorno, dopo aver brevemente raccontato il match al mio allenatore, mi guarda e mi dice: ‘Guarda che non è questione di tecnica o di tattica, è solo la tua testa. Sei troppo concentrato sull’idea di vincere e inizi a giocare tutto corto, così perdi campo.’

Questa esperienza è comune a moltissimi atleti e in uno sport come il tennis, dove l’aspetto mentale gioca un ruolo cruciale nelle pause tra un punto e l’altro, è estremamente evidente.

La differenza tra allenamento e partita non è né tecnica né tattica: è soprattutto psicologica. E spesso, è proprio la pressione (interna o esterna) a trasformare le migliori capacità in un’ombra di ciò che si è quando ci si allena.

Allenamento: uno spazio di libertà

In allenamento, tutto appare più semplice. Non ci sono giudici, spettatori o avversari pronti a notare o sfruttare ogni tuo errore. L’attenzione è rivolta al miglioramento: sbagliare fa parte del processo. Il tennista può lavorare su un colpo per ore, correggendo piccoli dettagli senza paura delle conseguenze. Il focus è sul presente, sull’azione in sé, senza l’ansia del risultato.

Per esempio, un giocatore che vuole migliorare il dritto si può concentrare esclusivamente sul movimento biomeccanico, provando diverse variazioni tecniche. Non c’è urgenza: ogni errore è solo un’opportunità per apprendere. Questo approccio permette di esprimere il massimo potenziale in un ambiente privo di giudizio, un lusso che la partita non concede.

La partita: quando la pressione si fa sentire

In partita, però, tutto cambia. L’allenamento lascia spazio alla competizione, e con essa arrivano le aspettative. Aspettative che ci s mette addosso da soli, o che si percepiscono dall’esterno: il desiderio di vincere, la paura di deludere il coach, i compagni o sé stessi.

Nel tennis, basta un semplice errore per cambiare il corso del match. Sbagliare un colpo che in allenamento va alla perfezione può generare un vortice di pensieri negativi: “Non dovevo sbagliare”, “Adesso perdo il set”, “Giocando così male, di sicuro perdo. Questo dialogo interno, spesso inconsapevole, aumenta il livello di tensione e impedisce al corpo di agire in modo fluido. I muscoli si irrigidiscono, i movimenti perdono naturalezza, e ciò che in allenamento sembrava facile diventa improvvisamente complicato.

Quando ci si lascia sopraffare da questi pensieri, il gioco ne risente. Non è raro vedere giocatori incapaci di esprimersi al meglio nei momenti decisivi, proprio perché la pressione li porta fuori dal loro stato ottimale.

Come allenare la mente per la partita

La buona notizia è che, così come si allena il corpo, si può allenare anche la mente.

Ecco alcune strategie utili che vengono insegnate in un percorso di preparazione mentale:

1.​Simulare la pressione in allenamento: inserire esercizi che riproducono la tensione della partita, come giocare tie-break sotto pressione aiuta ad abituarsi a gestire lo stress.

2.​Lavorare sul FOCUS: tecniche come la respirazione diaframmatica possono aiutare a mantenere il focus sul presente. Un esempio pratico: concentrarsi sul respiro tra un punto e l’altro, o utilizzare la visualizzazione prima di eseguire un colpo.

3.​Gestire le aspettative: smettere di pensare al risultato e focalizzarsi sulla tattica, anziché sul punteggio, permette di ritrovare la fluidità.

Dal campo di allenamento alla competizione

In definitiva, la differenza tra allenamento e partita non è una questione di abilità tecnica, ma di mentalità. Capire come la pressione influenza il gioco è il primo passo per trasformarla in una risorsa, invece che in un ostacolo. Perché, alla fine, il segreto non è solo saper colpire bene una pallina (moltissimi giocatori lo sanno fare molto bene), ma farlo anche quando conta davvero. E questa è una sfida che si vince dentro di sé, prima ancora che in un match di torneo.

 

Elena Uberti

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