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Motivazione e confronto: capire e sostenere gli adolescenti nello sport

“Lo vedo spento.”
“Ha talento, ma non ci crede abbastanza.”
“Quando ha iniziato a giocare era più motivato e si divertiva…ora sembra svogliato.”
“Non si impegna come potrebbe, e non solo nello sport: anche a scuola è lo stesso.”

Chi lavora con adolescenti – che siano genitori, allenatori o insegnanti – riconoscerà queste frasi. Sono osservazioni ricorrenti, che riflettono una difficoltà concreta e profonda: come si sostiene la motivazione in una fase della vita in cui tutto cambia?

Come psicologi dello sport, stiamo lavorando in diverse società sportive con ragazzi tra i 13 e i 18 anni. In questa fascia d’età così critica, il rischio di vedere calare l’entusiasmo e l’impegno è reale. Ma il nostro lavoro, ispirato a strumenti di valutazione e confronto, dimostra che la motivazione si può osservare, ascoltare e coltivare.

Il progetto di SMAteam: ascoltare e confrontare

Durante i percorsi stagionali proposti da Sport Mindset Agency (solitamente da settembre a giugno), ogni atleta viene invitato a valutarsi su una serie di abilità mentali: attenzione, fiducia, gestione dello stress, motivazione, impegno, costanza. In parallelo, uno dei membri dello staff compila una valutazione esterna sugli stessi parametri.

L’obiettivo non è “dare voti”, ma far emergere elementi in comune e differenze tra come un ragazzo si percepisce e come viene percepito, aprendo spazi di dialogo e riflessione. Questi dati ci permettono di costruire una fotografia utile e dettagliata.

Perché è così importante farlo ora?

Perché l’adolescenza è una fase fondamentale: ci si separa dall’identità di bambini e si mettono le basi per costruire l’identità adulta. E in questa fase, predisporre i passi verso il proprio futuro sembra a volte troppo complicato. I ragazzi faticano ad immaginare obiettivi realistici, a reggere la frustrazione per un fallimento, a trovare un senso nelle fatiche quotidiane.

Come scrivevano De Beni e Moè (2000), la motivazione non è innata: è un equilibrio instabile tra ciò che si sente dentro e ciò che viene riconosciuto fuori. E se manca un contesto che aiuti a dare valore allo sforzo, il rischio è che i ragazzi si ritirino, anche inconsapevolmente, da ciò che potrebbe farli crescere.

Allenare la motivazione: SMA propone strumenti

Le società sportive possono diventare luoghi straordinari per allenare il senso di impegno, la costanza, la responsabilità. Ma non basta dire “ci vuole grinta”: servono strumenti. E questo è ciò che SMAteam lavora da anni in progetti mirati per offrire a tutte le figure coinvolte questi preziosi strumenti.

Il confronto tra valutazione interna ed esterna diventa, in questo senso, una bussola concreta.
Se un ragazzo si percepisce motivato ma l’allenatore non lo percepisce così, c’è un tema su cui confrontarsi. Se lo staff nota potenziale ma l’atleta si sottovaluta, si può iniziare a lavorare sull’autoefficacia. Se entrambi vedono disimpegno, si può agire prima che diventi ritiro.

Piccoli passi per un futuro possibile

Molti genitori e allenatori oggi si chiedono: come faranno questi ragazzi a costruirsi un futuro?
È una domanda legittima, ma spesso carica di ansia. La verità è che nessun adolescente costruisce da solo una visione del futuro. Ha bisogno di adulti che sappiano accompagnarlo, non solo con aspettative, ma con strumenti e tempo e soprattutto fiducia.

Per questo il nostro progetto non si limita a “misurare” ciò che c’è. Serve a gettare le basi per percorsi individuali di sviluppo mentale, che i ragazzi potranno continuare anche oltre la nostra presenza in campo e di gruppo. SMA offre la possibilità di avviare percorsi individuali, e lo ribadisce in ogni contesto: il tempo che abbiamo per incidere è limitato (a volte una stagione sportiva altre 6-7 stagioni consecutive), ma quello che imparano in adolescenza può restare con loro a lungo.

Un lavoro per tutti: atleti, staff e famiglie

I dati condivisi da SMA nelle società sportive diventano poi una banca comune, un punto di partenza per futuri interventi di psicologia anche con lo staff. Perché la motivazione non si sostiene solo al singolo ragazzo, ma nell’ambiente che lo circonda.
E se l’ambiente – fatto di allenatori, educatori, adulti attenti – è capace di leggere le criticità e valorizzare i segnali di crescita, allora diventa un luogo fertile.

In conclusione: SMA educa alla motivazione

Educare alla motivazione significa veicolare il messaggio che i risultati arrivano in un processo, con costanza, che gli obiettivi si costruiscono un passo alla volta, che sbagliare non è fallire ma parte del processo.

E soprattutto, significa non smettere di credere che un ragazzo possa cambiare, anche quando sembra spento, disinteressato, svogliato.

Perché a volte, dietro quella maschera, c’è solo bisogno di qualcuno che dica:

“Ti vedo. Ti ascolto. Possiamo lavorarci insieme.”

Elena Uberti

Co-fondatrice di SMAteam

Lo sport come risorsa educativa e il contributo dello psicologo dello sport per uno sviluppo funzionale dell’adolescente

In un mondo in cui gli adolescenti si trovano esposti a molteplici pressioni sociali, scolastiche e familiari, lo sport rappresenta uno dei contesti più potenti in cui possono trovare una direzione, un’identità e un senso di appartenenza. Ma lo sport non è solo movimento e competizione: è un vero e proprio ambiente educativo che può contribuire in modo determinante alla prevenzione di comportamenti devianti e allo sviluppo psicologico sano nei giovani.

A livello giovanile, lo sport non si limita all’allenamento del fisico, ma riveste un ruolo importante sulla formazione della personalità. Le regole, la disciplina, il rispetto dell’altro, il concetto di squadra e la gestione della sconfitta sono alcuni elementi che contribuiscono alla crescita personale e sociale del giovane atleta. Imparare a rispettare un avversario, a seguire indicazioni, a collaborare con i compagni e a gestire le emozioni in situazioni di stress sono competenze trasversali alla vita quotidiana.

Queste esperienze favoriscono lo sviluppo di valori prosociali, che rappresentano un potente antidoto contro il rischio di comportamenti devianti, come l’aggressività non controllata, il bullismo, l’abuso di sostanze o l’isolamento sociale, ecc.

L’adolescenza è una fase delicata e complessa dello sviluppo umano, segnata da cambiamenti ormonali, ricerca d’identità, bisogno di riconoscimento e confronto con l’altro. In assenza di riferimenti stabili e spazi sicuri di espressione, il rischio di smarrirsi aumenta. È proprio qui che lo sport entra in gioco, non solo come alternativa a esperienze negative e devianti, ma come contesto contenitivo e strutturante, dove l’adolescente può sperimentare se stesso in modo protetto.

Tuttavia, il solo fatto di praticare uno sport non garantisce automaticamente un effetto preventivo. È necessario che il contesto sportivo sia attento, sano, inclusivo, supportivo. E qui entra in scena una figura chiave: lo psicologo dello sport.

Lo psicologo dello sport è molto più di un esperto di performance: è una figura che lavora a stretto contatto con atleti, allenatori e famiglie per promuovere il benessere mentale, la crescita personale e relazionale, e la costruzione di un’identità solida e resiliente.

Affiancando i giovani atleti adolescenti, lo psicologo può:

  • favorire la gestione dell’ansia da prestazione e delle aspettative esterne;
  • sostenere l’autostima e l’identità personale, aiutando il ragazzo a non identificarsi unicamente con il risultato sportivo;
  • intervenire precocemente in situazioni di disagio, come segnali di burnout, isolamento, comportamenti a rischio o relazioni tossiche;
  • formare gli adulti di riferimento (allenatori e genitori) a comunicare in modo efficace e motivante e ad una gestione funzionale di squadre e gruppi sportivi contribuendo alla creazione di un clima sportivo positivo.

Quando lo psicologo è parte integrante del contesto sportivo, lo sport diventa uno spazio di crescita globale: il giovane atleta non solo migliora fisicamente, ma impara a conoscersi, ad ascoltarsi e a costruire relazioni sane.

In un’epoca in cui la salute mentale degli adolescenti è sempre più al centro dell’attenzione, riconoscere il valore educativo dello sport è fondamentale. Ma affinché questo valore si esprima appieno, è essenziale che ci sia una rete di adulti consapevoli e preparati, tra cui lo psicologo dello sport riveste un ruolo di primo piano.

Educare attraverso lo sport significa prevenire, proteggere e potenziare. Significa offrire ai ragazzi non solo un ambiente dove migliorare fisicamente, tecnicamente o atleticamente, ma un luogo dove imparare a diventare persone. Una società sportiva che integra la figura dello psicologo dello sport non solo migliora la performance degli atleti, ma investe nella loro salute mentale, nella prevenzione e nella formazione di persone consapevoli e resilienti.

Dott.ssa Maria Chiara Feno

I 3 grandi errori mentali da evitare prima di una gara

Ti trovi in quei brevi istanti in cui tutto si decide. Il battito del cuore pulsa nel petto ad un ritmo continuo. Il corpo emana calore ed energia ad ogni tuo respiro. I muscoli si preparano a scattare in un battito di ciglia. Ascolti gambe e braccia per capire a che punto sei. Quei movimenti li hai realizzati decine e decine di volte in allenamento. Mentre ascolti le sensazioni del corpo ti parli nella mente, in modo calmo e deciso. Quelle parole sono solo tue, ti trasmettono quella sicurezza e quel conforto che ti serve ad ogni gara. Il momento è arrivato! Coi tuoi tempi ti metti in posizione ai blocchi di partenza. Le emozioni sono tante, forse troppe da riconoscere in poco tempo, ma per te rappresentano quel momento per cui ti sei allenato per mesi. Sei un tutt’uno con quello che fai, corpo e mente sono sincronizzati. Fai un ultimo respiro profondo, attendi finalmente lo sparo e…BANG!

Ogni atleta sa che questi attimi prima di una gara, o di un match, sono al tempo stesso i più intensi e i più complicati da vivere. Una minima distrazione può farti uscire dalla tua zona e complicarti la gestione del momento. Ogni piccolo dettaglio è un tassello del domino che deve stare al suo posto. In alcune discipline, dopo la partenza, si ha ancora modo di cambiare rotta e rifocalizzarsi, ma non tutti gli atleti dispongono di questa opportunità. In alcune specialità, infatti, un inizio impreciso può davvero compromettere un’intera prestazione.

Quali sono allora i 3 grandi errori mentali che un’atleta dovrebbe evitare prima di una gara?

Scopriamoli assieme!

Indipendentemente dal tipo di prestazione o di disciplina praticata, l’obiettivo di ogni atleta è sempre lo stesso: competere al meglio delle proprie possibilità dall’inizio della prestazione fino al suo termine. Eppure gli istanti prima di una gara sono così sensibili che basta anche solo una banale distrazione per esprimere una prestazione non all’altezza.

Il primo errore da evitare è molto comune: quello di pensare troppo avanti alla gara, anticipando le possibili conseguenze della vittoria o della sconfitta. Questo può succedere per vari motivi, a causa dell’elevato sforzo della preparazione, dalle aspettative di risultato o ancora dalla paura di fallire. Quando questo accade la propria concentrazione diventa molto meno selettiva, si perde il focus nel momento presente e la prestazione decade. Il vincere o il perdere non deve essere la principale preoccupazione dell’atleta. L’unico pensiero che deve avere è quello di seguire il proprio piano gara rimanendo nel processo, potremmo dire con una logica step by step sui propri fattori chiave. Se invece ci focalizziamo su elementi su cui non abbiamo il controllo, come ad esempio il risultato, stiamo sprecando le nostre energie fisiche e mentali su fattori indipendenti da noi. Tuttavia, considerare la vittoria come una conseguenza e non come il fine del nostro lavoro, è un “game changer” mentale ben più complesso a dirsi che a farsi.

Il secondo errore mentale piu comune è quello di voler “strafare” quando siamo di fronte ad un avversario piu forte. Di solito dietro a questo comportamento risiede la convinzione limitante che per poter battere il nostro avversario dobbiamo mettere in pratica una prestazione erculea, al di sopra delle nostre possibilità. Anche in questo caso l’atleta mette in gioco una quantità di energie esagerate, perdendo il contatto con ciò che è importante per lui ed allontanandosi da una prestazione ottimale. Tutto ciò che serve risiede già nella tua preparazione e nella routine che hai perfezionato. Rimanere nel presente e fare ciò per cui ti sei allenato, è molto piu efficace della ricerca di un piano gara improvviso. Fidati del lavoro che hai svolto e lascia che il tuo corpo si esprima liberamente.

Il terzo e ultimo errore mentale è quello di concentrarsi sugli aspetti negativi. Gli atleti che tendono a vedere la propria prestazione con delle lenti “in negativo”, di solito richiedono la perfezione nella propria performance o cercano di insistere con uno standard ideale difficile da soddisfare. È difficile considerarlo, ma all’interno di ogni competizione c’è un margine di errore, a volte molto sottile se siamo in competizioni di alto livello mentre, altre volte piu largo. Coltivare la falsa credenza che ogni giocata, ogni possesso o ognitiro, debba essere perfetto incrementa notevolmente lo stress percepito. I pensieri negativi sono l’anticamera della frustrazione e del pessimismo, condizioni che risucchiano energia e forza mentale. Per questo, prima di una gara, è importante lasciare andare i pensieri negativi e recuperare un atteggiamento positivo su ciò che si fa. È un mindset che richiede tempo e lavoro per poterlo concretizzare, non basta agirlo solo il giorno della gara, perché come tutti gli aspetti della preparazione sportiva, anche quella mentale ha bisogno di costanza e pratica.

Se ti senti preso in causa in una di queste “situazioni” evita di giudicarti. Sappi che sono tanti gli atleti che hanno vissuto questi momenti di forte stress almeno una volta nella propria carriera sportiva. Il problema non è viverli e tanto meno eliminarli, ma sapere che possiamo farvi fronte. Non esistono soluzioni magiche se non quelle del lavoro consapevole. Accogli questi momenti come parte del tuo processo di crescita e, se desideri lavorarci sopra, i professionisti del Team di SMA sono pronti e a tua disposizione.

Andrea MARTINETTI

L’importanza della concentrazione nello sport: allenare la mente per migliorare la performance

La concentrazione è uno degli aspetti più importanti nella performance sportiva. Gli atleti che riescono a mantenere un alto livello di attenzione nei momenti decisivi hanno un vantaggio significativo rispetto a chi si lascia distrarre dagli eventi esterni o dai propri pensieri. La capacità di concentrarsi non è innata, ma si costruisce con allenamento, consapevolezza e pratica.
Chiunque può imparare a migliorare la propria attenzione e ottenere risultati straordinari, dentro e fuori dal proprio campo di azione.

Uno dei motivi per cui la concentrazione è così importante risiede nel fatto che lo sport richiede un grande equilibrio tra azione fisica e mentale. Tiger Woods, uno dei più grandi golfisti della storia, ha più volte parlato dell’importanza della concentrazione: “Il mio successo dipende dalla mia capacità di restare focalizzato su ciò che devo fare, senza lasciarmi distrarre da niente” (Woods, 2001). Anche Serena Williams, tra le tenniste più forti della storia, ha più volte sottolineato come la sua capacità di rimanere concentrata nei momenti cruciali delle partite sia stata determinante per le sue vittorie (Williams, 2015).

Ogni disciplina sportiva richiede un diverso tipo di concentrazione. Per citare qualche esempio, nel pattinaggio artistico, gli atleti devono mantenere una concentrazione estrema per eseguire salti, piroette figure ed elementi con precisione, evitando di lasciarsi distrarre dal pubblico o dalla pressione della competizione. Nel tiro con l’arco, la concentrazione è fondamentale per controllare la respirazione e la postura, bloccando ogni distrazione esterna per mirare con precisione. Nel baseball, i battitori devono essere in grado di leggere la traiettoria della palla in una frazione di secondo, rimanendo concentrati sul lanciatore e ignorando il rumore dello stadio. Nella pallavolo, i giocatori devono mantenere un’attenzione costante sulla palla, sugli avversari e sulle strategie di gioco, adattando rapidamente la loro concentrazione a seconda delle fasi della partita. Nella vela olimpica, per esempio nella classe ILCA, la capacità di concentrazione è essenziale per mantenere la barca nella posizione ottimale rispetto al vento, regolando continuamente vele e assetto corporeo. Gli atleti devono adattarsi velocemente ai cambiamenti delle condizioni meteorologiche, gestendo la fatica e mantenendo il focus sulla strategia di gara e anticipare le mosse degli avversari.

La concentrazione non è un concetto monolitico, ma si compone di diverse dimensioni, ampie, ristrette, interne o esterne tra cui è importante saper shiftare (Nideffer, 1976). Saper gestire queste dimensioni a seconda della situazione è una competenza che può essere allenata, proprio come la tecnica o la capacità atletica.

Lavorare con uno psicologo dello sport può essere determinante per migliorare la capacità di concentrazione. Attraverso esercizi mirati, tecniche e strategie che coinvolgono in modi diversi pensieri, emozioni e comportamenti, è possibile sviluppare una mentalità focalizzata e resiliente.
In SMA molte delle nostre consulenze si estendono ad un lavoro intensivo sull’allenamento alla concentrazione, per accompagnare gli atleti alla consapevolezza, all’intenzione e azione sul focus attentivo, con obiettivo la padronanza di questa importante capacità.

Uno studio di Weinberg & Gould (2018) evidenzia come gli atleti che si avvalgono del supporto di un professionista della psicologia sportiva riescano a migliorare significativamente la loro gestione dell’attenzione e, di conseguenza, le loro performance. Come affermava Michael Phelps: “Il mio segreto? Quando sono in acqua, non esiste nient’altro. Sono solo io, il mio corpo e il mio obiettivo” (Phelps, 2016).

Sandro Anfuso

Mental Training in periodo di infortunio

L’infortunio è una delle sfide più grandi per un atleta, non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico. La perdita temporanea della capacità di praticare il proprio sport può avere un impatto profondo sulla motivazione, sulla sensazione di autoefficacia e sull’umore. La psicologia dello sport ha sviluppato diverse tecniche efficaci per supportare gli atleti durante un infortunio. Approfondiremo in questo articolo la visualizzazione e l’imagery: due strumenti potenti per accelerare il processo di recupero e migliorare la performance mentale.

La visualizzazione è una tecnica che implica l’uso della mente per creare immagini vivide e dettagliate di situazioni, movimenti o esperienze. Gli atleti utilizzano la visualizzazione per “vedere” mentalmente se stessi eseguire determinati compiti o comportamenti (come l’esecuzione di una tecnica, il completamento di un percorso o il superamento di un ostacolo). Queste immagini mentali possono essere tanto potenti quanto l’esperienza fisica stessa, e si dimostrano molto utili nel migliorare la preparazione psicologica e il focus dell’atleta.

Il termine imagery è spesso utilizzato in modo intercambiabile con la visualizzazione, ma include un concetto più ampio. L’imagery non si limita solo alla creazione di immagini visive, ma coinvolge tutti i sensi. Questo significa che, attraverso l’imagery, un atleta può immaginare non solo visivamente, ma anche sonoramente, tattilmente ed emotivamente, sperimentando una performance o una situazione nella sua interezza, proprio come se stesse accadendo in quel momento reale.

Questo accade grazie alla stimolazione dei “neuroni specchio” . Il concetto di neuroni specchio è stato introdotto negli anni ’90 da un gruppo di neuroscienziati italiani, tra cui Giacomo Rizzolatti e nello specifico sono un tipo speciale di cellule neuronali che si attivano sia quando una persona esegue un’azione, sia quando osserva un’altra persona compiere la stessa azione. I neuroni specchio consentono al cervello di “rispecchiare” il comportamento altrui come se fosse il proprio. Questa scoperta è stata rivoluzionaria, poiché ha dimostrato che il nostro sistema nervoso è in grado di attivare circuiti motori non solo durante l’azione fisica, ma anche quando si osserva l’azione stessa o, addirittura, quando la si immagina. I neuroni specchio sono coinvolti nell’apprendimento motorio, nell‘emulazione, nell’empatia e nell’immaginazione.

Un esempio pratico risiede nell’esperienza comune di assistere allo sbadiglio di un’altra persona e sentire attivarsi in noi il bisogno di sbadigliare, questo accade proprio per l’attivazione di tali cellule. Tornando al contesto sportivo quando un atleta utilizza la visualizzazione, il cervello attiva molti degli stessi circuiti neurali che sarebbero attivati durante l’esecuzione fisica del movimento. In altre parole, quando si immagina di fare un salto o di calciare una palla, il cervello non solo “vede” l’azione, ma stimola anche le aree cerebrali (come la corteccia motoria) responsabili di quell’azione.

Quando un atleta si trova in fase di recupero da un infortunio, la visualizzazione e l’imagery offrono numerosi vantaggi, sia psicologici che fisici. Queste tecniche permettono, infatti all’atleta di continuare a lavorare sulla propria performance mentale, mantenere la motivazione e migliorare la connessione corpo-mente, anche quando non è possibile allenarsi fisicamente.

Alcuni degli aspetti più difficili di un infortunio sono: la separazione dall’attività sportiva, il timore di non tornare alla forma precedente, l’essere costretti ad abbandonare l’attività, il rivedere i propri obiettivi e la paura di rinfortunarsi dopo il rientro. Queste preoccupazioni possono portare a sentimenti di frustrazione e depressione. La visualizzazione e l’imagery aiutano l’atleta a mantenere una connessione mentale con lo sport, permettendogli di continuare ad allenare la mente e a immaginare di essere sul campo mantenendo alto il senso di autoefficacia come fattore protettivo rispetto a pensieri negativi.

Durante il recupero da un infortunio, inoltre, l’atleta può sentirsi distaccato dal proprio corpo, soprattutto se è costretto a ridurre o interrompere l’attività fisica. La visualizzazione e l’imagery, permettono di “allenare” il corpo anche a livello mentale. L’atleta può immaginare di eseguire i movimenti corretti, attivando il sistema neuromuscolare e mantenendo la memoria motoria attiva. Questo aiuta a mantenere la consapevolezza delle proprie capacità fisiche e prepara il corpo per un ritorno graduale all’attività. Studi scientifici hanno dimostrato che la visualizzazione e l’imagery possano stimolare il recupero fisico, in particolare per quanto riguarda la guarigione muscolare e il recupero funzionale, sebbene non possano sostituire il trattamento fisico, queste tecniche riescono a supportare il processo di guarigione attivando la mente e creando stimoli positivi per il corpo. L’immaginazione di sè stessi mentre si eseguono correttamente i movimenti può accelerare la riabilitazione e migliorare l’efficacia degli esercizi fisici che si svolgono durante la fase di recupero.

Il dolore fisico che accompagna un infortunio può anche avere un impatto psicologico significativo, aumentando ansia e frustrazione. L’imagery è una tecnica efficace per affrontare il dolore, poiché aiuta l’atleta a concentrarsi su immagini positive e rilassanti, riducendo la percezione del dolore, lo stress e l’ansia associati al recupero, permettendo una gestione più serena dell’esperienza. Durante un infortunio, inoltre, la fiducia in se stessi può diminuire. La visualizzazione e l’imagery consentono all’atleta di riprendersi mentalmente, migliorando la fiducia nelle proprie capacità, rafforzando la motivazione e il desiderio di continuare a lavorare verso il recupero facendo rivivere momenti in cui esso stesso è stato altamente prestazionale ricordandogli quelle sue risorse.

La mente gioca un ruolo fondamentale nel processo di guarigione, dunque utilizzando la visualizzazione e l’imagery, gli atleti possono sfruttare appieno le potenzialità per tollerare le difficoltà fisiche e superare le fragilità psicologiche associate.

 

Chiara Feno

La differenza tra un atleta che sogna e un campione che vince: il ruolo fondamentale della mentalità nello sport

La differenza tra un atleta di successo e un campione non risiede solamente nelle sue capacità fisiche, ma nella sua preparazione mentale. Ad esempio, secondo uno studio di Weinberg e Gould (2015), le capacità psicologiche, come la gestione dello stress, la concentrazione e la resilienza, sono determinanti nel raggiungimento dell’eccellenza sportiva.

Gli atleti che si concentrano non solo sul miglioramento fisico, ma anche sul potenziamento delle proprie abilità mentali, sono più predisposti a gestire la pressione e a performare al massimo livello. Come affermato da Anderson e Williams (1999), “la mente è il muscolo più potente di un atleta”, suggerendo che la preparazione mentale è tanto fondamentale quanto quella fisica per ottenere risultati di alto livello.

Non solo muscoli, tecnica e resistenza fisica. Al contrario, il vero successo nello sport si costruisce spesso in modo silenzioso e nascosto, lavorando su qualcosa che va oltre l’allenamento tradizionale: la mentalità. La forza mentale è ciò che distingue un atleta di talento da un campione, ed è anche quella che permette di superare gli ostacoli e mantenere una performance costante anche nei momenti di difficoltà.

Sport Mindset Agency crede fermamente che l’aspetto mentale sia un fattore fondamentale, tanto quanto la preparazione fisica, per raggiungere l’eccellenza nello sport. Allenarsi mentalmente non significa solo affrontare l’ansia pre-gara o la pressione durante le competizioni, ma anche saper gestire la frustrazione, la delusione e le difficoltà psicologiche che inevitabilmente si presentano nel percorso di un atleta.

L’allenamento mentale aiuta a sviluppare quella resilienza che consente a un atleta di rimanere concentrato anche sotto pressione. Come ha sottolineato Simone Biles, una delle ginnaste più talentuose e vincenti di tutti i tempi, “il mio corpo può fare quello che voglio, ma è la mia mente che mi permette di fare quello che non pensavo fosse possibile”. La capacità di controllare i pensieri, le emozioni e l’atteggiamento è ciò che permette a un atleta di fare la differenza. Non solo durante la gara, ma anche nei periodi di difficoltà, quando le sfide personali sembrano sovrastare quelle professionali.

Per esempio, gli atleti di sport individuali, come il tennis o il golf, spesso si trovano a dover affrontare non solo gli avversari, ma anche un’intensa battaglia psicologica con se stessi. La solitudine delle lunghe ore di allenamento, l’incertezza di ogni match, il peso di una sconfitta…tutti fattori che possono influire negativamente sulla motivazione e sulla fiducia. Qui entra in gioco l’importanza di avere una solida rete di professionisti, per curare non solo aspetti fisici ma anche mentali. Allenatori, fisioterapisti, psicologi dello sport sono figure essenziali per affrontare i momenti di difficoltà.

In Sport Mindset Agency, ogni atleta è accompagnato in un percorso mentale che lo aiuti a rafforzare il proprio “mindset” attraverso strategie personalizzate, che includono anche tecniche di rilassamento, concentrazione e gestione delle emozioni.

Non importa se la sfida è un match importante, un periodo di risultati deludenti o un momento di stress nella vita quotidiana. L’obiettivo è imparare a vivere ogni difficoltà come un’opportunità di crescita. Questo è stato evidenziato anche da Gould e Udry (1994), che affermano che gli atleti che riescono a “trasformare le difficoltà in opportunità” sono quelli che più frequentemente raggiungono il successo.

Il team di SMA è fermamente convinto che il percorso di crescita di un atleta debba essere prima personale poi sportivo. Per questo offriamo percorsi di mental training che aiutano gli atleti ad attraversare le loro paure, a gestire la tensione pre-gara, a sviluppare una resilienza psicologica che li rende pronti ad affrontare qualsiasi tipo di sfida. La mentalità vincente non si sviluppa in un giorno, ma è il frutto di un costante allenamento, proprio come il corpo. Solo quando un atleta riesce a sincronizzare la forza fisica con la forza mentale, potrà davvero esprimere il proprio potenziale al massimo. E, alla fine, questo è ciò che fa la differenza tra un atleta che sogna e un campione che vince.

Elena Uberti

Costruire relazioni positive nello sport: una risorsa per il benessere e il successo

Lo sport non è solo una questione di performance, record o trofei. È anche una dimensione profondamente umana, fatta di connessioni, emozioni e relazioni. Quando pensiamo a un team vincente o a un atleta di successo, è facile concentrarci sulla loro abilità tecnica o sulla loro forza mentale. Ma c’è un altro elemento, spesso invisibile, che gioca un ruolo cruciale: le relazioni positive nell’ambiente sportivo.

Avere un supporto sociale solido all’interno del proprio ambiente sportivo è fondamentale per affrontare le sfide, gestire la pressione e mantenere la motivazione. Non importa se si gioca in uno sport di squadra o individuale: sentirsi parte di una rete di relazioni positive può fare la differenza nei momenti difficili. Gli studi dimostrano che il supporto sociale può ridurre i livelli di stress e migliorare il benessere psicologico (Rees e Hardy, 2004).

Pensate a un team sportivo che celebra una vittoria insieme, condividendo gioia e senso di appartenenza. O immaginate un allenatore che offre parole di incoraggiamento nei momenti critici, o un compagno di squadra che ascolta e sostiene durante una fase di difficoltà personale. Questi gesti, apparentemente semplici, creano un terreno fertile per lo sviluppo della resilienza e della fiducia reciproca.

Diversi atleti professionisti hanno sottolineato l’importanza delle relazioni nel loro percorso di successo. Novak Djokovic, uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi, ha parlato in più occasioni del ruolo fondamentale della sua squadra nel gestire la pressione durante i tornei (Djokovic, 2019). Allo stesso modo, Michael Phelps, il nuotatore più decorato della storia olimpica, ha attribuito il suo successo non solo al talento e all’impegno, ma anche al supporto ricevuto dai suoi allenatori e dai suoi compagni di squadra, specialmente nei momenti di difficoltà emotiva (Phelps, 2016).

Creare un ambiente sportivo positivo richiede intenzionalità e impegno da parte di tutti i membri. Ecco qualche tattica che può essere d’aiuto:

Comunicare, aprirsi. La comunicazione è la base di qualsiasi relazione. Parlare apertamente delle proprie esigenze, aspettative e difficoltà favorisce la comprensione reciproca.
Ascoltare attivamente. Mettersi nei panni dell’altro e ascoltare senza giudizio aiuta a creare un clima di fiducia.
Dare supporto, esserci. Essere presenti nei momenti importanti, sia in campo che fuori, rafforza il senso di comunità.
Celebrare i piccoli passi. Festeggiare insieme le vittorie, grandi o piccole, crea un legame più forte e rafforza la motivazione.
Vivere bene i conflitti: I conflitti sono inevitabili, ma starci in modo costruttivo può trasformarli in opportunità di crescita.

Con l’aiuto di uno psicologo dello sport, questi aspetti possono essere valorizzati, allenati e costruiti con successo nel tempo. Lo psicologo dello sport può offrire strumenti e strategie per migliorare la comunicazione, gestire i conflitti e rafforzare il senso di appartenenza all’interno di un team. Inoltre, aiuta gli atleti a sviluppare competenze emotive come l’empatia e la resilienza, creando un ambiente che favorisce il benessere e la performance. Attraverso percorsi personalizzati, gli psicologi dello sport lavorano per potenziare le relazioni interpersonali e per rendere gli atleti più consapevoli dell’importanza del supporto reciproco, favorendo un clima positivo e costruttivo.

Uno studio condotto da Jowett e Cockerill (2003) ha evidenziato che le relazioni di alta qualità tra atleti e allenatori sono associate a livelli superiori di soddisfazione, impegno e performance. Inoltre, un ambiente positivo riduce il rischio di burnout, un problema sempre più comune tra gli atleti a tutti i livelli. Creare relazioni solide non è solo una questione di benessere personale. Questi legami possono influenzare anche la performance sportiva. Un atleta che si sente sostenuto è più propenso a superare le difficoltà, a gestire la pressione e a mantenere alta la motivazione nel lungo termine.

L’importanza delle relazioni positive nello sport va oltre il mondo competitivo. Che siate atleti amatoriali, allenatori, genitori o semplici appassionati di sport, investire nelle relazioni può migliorare la qualità della vostra esperienza. Lo sport è, in fondo, una metafora della vita. E proprio come nella vita, le relazioni sono il cuore pulsante di ogni successo.

Per cui, se posso darvi un suggerimento, vi invito a sperimentarvi nel coltivare relazioni positive nel vostro ambiente sportivo. Siate presenti, ascoltate, sostenete e celebrate. Non solo migliorerete la vostra esperienza sportiva, ma contribuirete anche a creare una comunità più forte e resiliente.

 

Sandro Anfuso

Il Fair-Play nello Sport: valori e lezioni di vita

Il fair-play è un concetto legato alla correttezza sportiva e rappresenta un pilastro fondamentale per la crescita personale, sociale e culturale di ogni atleta. Si tratta di un insieme di valori che promuove il rispetto delle regole, dell’avversario e dello sport stesso, costituendo un vero e proprio stile di vita che trascende il campo di gioco.

L’Essenza del Fair-Play

Il termine “fair-play” si traduce letteralmente come “gioco leale” e implica una serie di comportamenti etici che ogni sportivo dovrebbe adottare. Questo significa rispettare le regole del gioco, accettare le decisioni degli arbitri senza proteste e riconoscere i meriti degli avversari e questo richiede un impegno attivo nel garantire un ambiente sportivo sano e inclusivo.

I Benefici del Fair-Play

Crescita Personale: importante qui è la gestione delle proprie emozioni, oltre che altre competenze come l’empatia e la capacità di gestire le situazioni difficili, valori utili non solo nello sport ma in ogni ambito della vita.
Valori: rispettare l’avversario significa riconoscere la dignità e il valore di ogni persona, indipendentemente dal risultato o dalla competizione.
Modelli: gli atleti che sono umili e praticano il fair-play diventano modelli positivi per i giovani, dimostrando che l’attenzione verso gli altri è fondamentale tanto quanto la vittoria.

Fair-Play e Competizione

Molti credono erroneamente che il fair-play sia in contrasto con il desiderio di competere e vincere. Al contrario, esso esalta la vera essenza della competizione: non si tratta solo di battere l’avversario, ma di farlo stando nelle regole e dimostrando le proprie capacità.

Episodi storici di sportivi che hanno anteposto l’etica alla vittoria dimostrano come il fair-play sia sinonimo di grandezza. Un esempio è il gesto dell’atleta italiano durante la finale degli AustralianOpen 2025, Jannik Sinner, che ha dato una lezione di fair-play e umanità. Dopo la vittoria contro Alexander Zverev in tre set consecutivi, quest’ultimo, visibilmente sconvolto e in lacrime per aver visto sfumare ancora una volta la vittoria in un Grande Slam, è stato rassicurato e abbracciato da Sinner, che ha offerto sostegno e accoglienza in un momento di grande difficoltà emotiva per il suo avversario.

Il Modello SMA: Allenarsi Mentalmente per il Fair-Play

Il concetto di fair-play può essere ulteriormente rafforzato integrando il modello SMA, che si concentra sull’allenamento mentale attraverso tre aree chiave: Elementi FondantiElementi Relazionali ed Elementi Autoregolativi. Questi pilastri non solo migliorano la performance sportiva, ma promuovono un comportamento etico, elementi essenziali per il fair-play.

Elementi Fondanti: riguardano la consapevolezza e la gestione della propria motivazione. Migliorare la fiducia in sé stessi e costruire un’immagine positiva di sé aiuta gli atleti ad affrontare le sfide con perseveranza e resilienza. Questo approccio è fondamentale per mantenere un atteggiamento leale anche in situazioni difficili, come il recupero da infortuni o insuccessi.
Elementi Relazionali: gli aspetti relazionali rappresentano il cuore del fair-play e dell’allenamento mentale. Lo sviluppo di empatia, ascolto attivo e comunicazione assertiva favorisce non solo la coesione del gruppo-squadra, ma anche l’integrazione con lo staff e la famiglia. Come Team, crediamo fermamente che queste figure abbiano un ruolo cruciale nel supportare l’atleta sia sul piano sportivo che umano, favorendo la collaborazione e la costruzione di un modello di azione positivo, in cui tutti si sentano parte di un progetto comune.
Elementi Autoregolativi: comprendono la gestione delle emozioni, dello stress e dell’ansia, oltre alla capacità di prendere decisioni sotto pressione. Pianificare strategie mentali e lavorare su routine pre-gara, ad esempio, può aiutare gli atleti a mantenere la concentrazione e a rispettare i principi del fair-play anche nei momenti di maggiore pressione competitiva.

Strategie per Promuovere il Fair-Play

Per garantire che il fair-play sia un valore centrale nello sport, è necessario promuoverlo a tutti i livelli:

1. Educazione: inserire il concetto e valore del fair-play nei programmi di allenamento per sensibilizzare i giovani sull’importanza del rispetto e della correttezza.
2. Il ruolo degli allenatori e delle famiglie: gli allenatori e le famiglie sono modelli di comportamento etico e possono promuovere un approccio basato sull’integrazione e la cooperazione.
3. Incentivi e riconoscimenti: premiare gli episodi di fair-play durante le competizioni aiuta a dare visibilità ai comportamenti positivi.

Il fair-play è molto più di un codice di condotta: è un’opportunità di costruire un modo di vivere lo sport in cui etica e competizione possano coesistere armoniosamente. Integrando il modello SMA, con un particolare focus sugli aspetti relazionali e sul ruolo dello staff e della famiglia, è possibile creare un ambiente sportivo positivo e funzionale. Tutti, infatti, hanno un impegno attivo e cruciale nel diffondere questo valore.

In un’epoca in cui la pressione del risultato spesso prende il sopravvento, il fair-play ci ricorda che il vero spirito sportivo risiede nel rispetto, nella lealtà e nella capacità di affrontare le sfide con integrità.

 

Vacanze di Natale: tra bilanci di metà stagione e ricarica psicofisica

In questo articolo esploreremo come le vacanze natalizie possano essere un’opportunità per il recupero, come integrarle nella preparazione psicologica e fisica dell’atleta e come il goal setting possa essere un alleato fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi sportivi.

Le vacanze natalizie rappresentano un’opportunità unica per gli atleti di staccare dalla routine quotidiana, di ricaricare le energie mentali e fisiche e di riflettere sui propri obiettivi a lungo termine. Questo periodo di pausa, se affrontato correttamente, può contribuire in modo significativo al recupero psico-fisico e alla pianificazione efficace del futuro, attraverso il processo di goal setting.
Il recupero psico-fisico è un processo fondamentale per ottimizzare le performance sportive. Durante l’anno, gli atleti si sottopongono a stress fisici e mentali continui, legati a intensi allenamenti, competizioni e pressioni psicologiche. Le vacanze natalizie, caratterizzate generalmente da un rallentamento delle attività sportive, rappresentano una finestra temporale ideale per rinnovare le energie. Tuttavia, affinché questo recupero sia effettivo, è importante che gli atleti sfruttino il tempo in modo strategico, cercando di bilanciare il riposo fisico con attività che favoriscano il benessere mentale.

Durante il periodo natalizio, il corpo ha bisogno di una pausa dagli allenamenti intensi. Ciò non significa un completo abbandono dell’attività fisica, ma piuttosto una riduzione dell’intensità e una maggiore attenzione al riposo e al recupero. L’attività fisica leggera o le tecniche di visualizzazione possono essere utili per mantenere una routine sportiva senza sovraccaricare il sistema muscolare e articolare. In questo contesto, anche il sonno gioca un ruolo cruciale nel recupero fisico, poiché consente la rigenerazione cellulare e il miglioramento delle performance future.

Le vacanze natalizie sono anche un’occasione per “reset” mentale. Gli atleti possono approfittare di questo periodo per distogliere l’attenzione dalle sfide agonistiche e concentrarsi su attività piacevoli che stimolano il benessere psicologico. Le tecniche di rilassamento, come la meditazione o la mindfulness, possono ridurre lo stress e migliorare la gestione delle emozioni, aumentando la resilienza mentale. Inoltre, questo tempo di pausa permette agli atleti di riflettere sui progressi fatti durante l’anno, di recuperare la motivazione e di ridefinire gli obiettivi per la stagione successiva.

Il goal setting è una delle tecniche psicologiche più efficaci per il miglioramento delle performance in ambito sportivo. Durante le vacanze natalizie, gli atleti hanno l’opportunità di riflettere sui propri successi e sui punti di miglioramento emersi fino a questo punto della stagione sportiva, di rivalutare gli obiettivi raggiunti e di pianificare quelli per il futuro.

Le vacanze natalizie sono il momento ideale per fare un bilancio della stagione sportiva trascorsa. Questo processo di riflessione consente agli atleti di comprendere se e come gli obiettivi stabiliti all’inizio dell’anno siano stati raggiunti, e di analizzare le difficoltà incontrate. Un’analisi obiettiva dei propri successi e insuccessi aiuta a comprendere quali strategie hanno funzionato e quali aspetti necessitano di una ridefinizione. Questo periodo di “autoconsapevolezza” può essere anche un’opportunità per festeggiare i successi, rafforzando l’autoefficacia e la motivazione. Una volta esaminato l’anno passato, gli atleti possono concentrarsi sulla definizione di obiettivi per la nuova stagione. Gli obiettivi, per essere efficaci, dovrebbero essere SMART (Specifici, Misurabili, Achievable – raggiungibili, Realistici, T emporali), in modo da fornire una direzione chiara e una motivazione costante.

Gli atleti possono anche prendersi il tempo per scrivere i propri obiettivi a lungo termine, integrandoli con obiettivi a breve e medio termine che li guideranno nel percorso di crescita. Una volta definiti gli obiettivi, è fondamentale pianificare le azioni necessarie per raggiungerli. Questo periodo di stop offre l’opportunità di sviluppare strategie, individuando le risorse necessarie (tempo, supporto, allenamenti specifici) e le potenziali difficoltà da affrontare. La pianificazione aiuta a ridurre l’ansia legata agli obiettivi e a creare un percorso che possa portare al successo. La pianificazione strategica è cruciale anche per evitare il burnout, poiché consente di integrare momenti di recupero durante l’anno e di bilanciare allenamenti e competizioni.

Le vacanze natalizie dunque rappresentano un periodo cruciale per il recupero psico-fisico degli atleti. Approfittando di questo tempo di pausa, gli atleti possono rigenerarsi mentalmente e fisicamente, rafforzando la loro motivazione e preparandosi al meglio per la stagione successiva. Il goal setting, combinato con il recupero fisico e psicologico, può essere uno strumento potente per indirizzare la crescita sportiva e mantenere alta la motivazione durante l’intero anno. Affrontare le vacanze con una mentalità strategica e orientata al benessere complessivo aiuterà gli atleti a raggiungere nuove vette di successo nel loro percorso sportivo.

Buone vacanze a tutti!!

 

Chiara Feno

L’importanza di tifare: Perchè amiamo così tanto lo sport?

TIFARE [dal gr. τϕος «fumo, vapore; fantasia; febbre con torpore»]: questo verbo è inizialmente utilizzato per indicare una malattia febbrile caratterizzata da uno stato di confusione mentale.
In senso figurato, si riferisce ad uno stato di eccitazione quasi “febbrile” con cui le persone sostengono le loro squadre e i loro idoli sportivi.
Così, il tifo, indica una passione travolgente e viscerale con cui si sostiene una persona o un gruppo sportivo.

Ora, immaginatevi questa scena…
Avete 10 anni e stringete tra le mani il biglietto per andare a vedere la vostra squadra allo stadio. Vi mettere le scarpe e seguite i vostri genitori. Fremete: è la prima partita che guardate dal vivo.
Ricordate il boato della folla all’entrata della squadra in campo, il petto che trema, le mani che continuano a sudare. Poi, mentre vi sedete sugli spalti, il profumo di popcorn si mescola con l’eccitazione nell’aria. Il campo verde, perfetto, sembra brillare sotto le luci dei riflettori, e voi vi sentite piccoli, ma parte di qualcosa di grande.

Forse qualcuno di voi l’avrà vissuta in prima persona, oppure avrà visto qualcuno viverla.

La domanda vien da sé: cosa ci porta ad amare così tanto lo sport e a legarci in modo viscerale ad una squadra o ad un/una atleta?

1. IL SENSO DI APPARTENENZA:
sentirsi parte di qualcosa di più grande. Indossare tutti la maglietta dello stesso colore, cantare lo stesso inno, alzare le braccia al cielo dopo una vittoria e sentirsi amareggiati dopo una sconfitta, insieme ad un gruppo di sconosciuti, è ciò che crea un legame profondo con un gruppo di persone, con cui si costruisce una vera e propria identità: siamo milanisti, siamo juventini, siamo.

2. LE EMOZIONI:
ogni sport scatena delle emozioni: più siamo legati alla squadra/atleta, più ci sentiamo parte e maggiore sarà l’intensità delle nostre emozioni. A livello psicologico, quando la squadra o l’atleta raggiunge un obiettivo importante, qualunque esso sia, c’è il rilascio della dopamina, un neurotrasmettitore che gioca un ruolo cruciale nelle esperienze di piacere e motivazione.Quando una squadra vince, il tifoso sperimenta un senso di liberazione e appagamento, mentre, quando la squadra perde, si rilasciano emozioni come rabbia, ansia, tristezza o frustrazione accumulate. In entrambi i casi, il tifo diventa un canale attraverso cui il tifoso può esprimere liberamente le sue emozioni!

3. SIMBOLI E RITUALI:
Come accennato, ogni squadra ha i suoi colori, i suoi gesti ricorrenti e il suo inno. Questi diventano veri e propri ancoraggi emotivi.  Simboli e rituali prima di una partita o un momento importante, servono, come una routine, a ridurre l’incertezza e a concentrarsi, creando così una “zona di comfort” in cui sentirsi appagati.

4. LO SPORT COME SPECCHIO DI UNA SOCIETA’:
è infine interessante, a mio avviso, come lo sport rappresenti lo specchio della nostra società, riflettendo e amplificando dinamiche culturali, politiche e sociali. Il tifo, infatti, rappresenta spesso anche le tensioni, le sfide e le aspirazioni dell’intera società.

La visibilità dei grandi eventi sportivi e le storie dei singoli atleti sono spesso un riflesso di dinamiche come la disuguaglianza, i conflitti e i successi sociali: prendiamo ad esempio Muhammad ali, uno dei più grandi pugili di tutti i tempi. È diventato, negli anni 60, simbolo di resistenza contro l’oppressione raziale. Infatti, nel 1967 si rifiutò di prestare servizio militare durante la Guerra del Vietnam. Questo lo portò alla sospensione dalle competizioni, diventando così un simbolo di opposizione alla guerra e al razzismo.

Lo sport, quindi, è molto di più che un gioco: è un linguaggio universale capace di unire persone e accendere passioni. Tifare è vivere, sentire e appartenere. Perché, alla fine, ogni volta che diciamo “noi” parlando di una squadra, stiamo raccontando della squadra ma anche e soprattutto di noi stessi.

Tamara Sciuto

Perfezionismo e Mentalità vincente: una riflessione tra limiti e opportunità

Il perfezionismo, spesso considerato una virtù, può trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Esigere standard elevati e sforzarsi di raggiungerli può stimolare la crescita personale, ma quando questi obiettivi diventano irrealistici o radicati nel timore del fallimento, si rischia di cadere in un circolo vizioso di ansia e insoddisfazione.

La distinzione tra perfezionismo sano e perfezionismo disfunzionale, descritta da Hamacheck (1978), evidenzia come solo il primo consenta di accettare l’errore come parte del processo di apprendimento. Il perfezionismo sano, infatti, si manifesta come una ricerca dell’eccellenza che motiva a migliorarsi continuamente, senza che l’errore diventi una minaccia per la propria autostima. Chi abbraccia questo approccio vede nei fallimenti momenti di riflessione e crescita, piuttosto che ostacoli insormontabili.

Il perfezionismo disfunzionale, invece, è alimentato dalla paura costante di sbagliare e dall’esigenza di dimostrare il proprio valore attraverso risultati impeccabili. In questo stato mentale rigido, l’errore è vissuto come un fallimento assoluto, capace di innescare ansia e autocritiche severe. Si entra così in una logica “tutto o niente”, dove ogni risultato è considerato un successo completo o un disastro totale, impedendo di trarre soddisfazione anche dai traguardi raggiunti.

Questo stesso concetto, ad esempio, è centrale nella Mamba Mentality di Kobe Bryant.

Il leggendario cestista ha incarnato l’idea di focalizzarsi sull’obiettivo presente, vivendo ogni sfida come un’opportunità per superare i propri limiti. Per Kobe lavorare duramente significava studiare ossessivamente i dettagli, trasformando ogni errore in una lezione per perfezionare la propria strategia. Questa mentalità, che si spinge oltre il concetto di motivazione, invita a dedicarsi completamente al proprio percorso, senza paura di affrontare fallimenti come parte del processo.

Riconoscere i rischi del perfezionismo disfunzionale, come il pensiero dicotomico “successo o fallimento”, è fondamentale per evitare un blocco emotivo e una svalutazione di sé. Al contrario, adottare una visione orientata al miglioramento continuo, accogliendo il fallimento come spinta al cambiamento, può trasformare il perfezionismo in una risorsa potente.

 

E tu, come vivi il rapporto con gli errori e le aspettative? Forse è il momento di fermarti un istante e chiederti: gli standard che ti poni alimentano la tua crescita o ti imprigionano nella paura di non essere all’altezza? Accogliere una mentalità che valorizzi il processo, e non solo i risultati, significa trasformare ogni passo, anche quelli incerti, in un’opportunità per migliorare.

Abbracciare gli errori significa accettare che la strada verso l’eccellenza passa attraverso la capacità di sperimentare, sbagliare e rialzarsi più forti. Per questo, è fondamentale dotarsi di strategie che aiutino a vivere il perfezionismo in modo costruttivo, ad esempio:

  1. Ridefinisci l’errore: inizia a considerarlo come parte integrante dell’apprendimento. Chiediti: “Cosa posso imparare da questa esperienza?” anziché concentrarti solo su ciò che non è andato come previsto.
  2. Focalizzati sul progresso, non sulla perfezione: annota i miglioramenti raggiunti, anche se piccoli, e celebra i tuoi passi avanti, invece di aspettarti sempre risultati impeccabili.
  3. Stabilisci obiettivi realistici: suddividi i tuoi traguardi in obiettivi più piccoli e raggiungibili, per evitare la pressione di dover eccellere subito in tutto.
  4. Allenati alla flessibilità mentale: lavora per ridurre il pensiero “tutto o niente”. Impara a valutare i tuoi risultati su una scala di gradazioni, apprezzando i successi parziali.
  5. Crea uno spazio sicuro per l’autocritica costruttiva: quando valuti le tue prestazioni, fallo con gentilezza. Concentrati su ciò che hai fatto bene e su cosa puoi migliorare senza svalutarti.
  6. Circondati di supporto positivo: coltiva relazioni con persone che sostengano la tua crescita senza giudicarti, ma che siano pronte a darti un feedback costruttivo.
  7. Sperimenta senza paura del giudizio: datti il permesso di provare, anche quando il successo non è garantito. L’apertura all’esperienza è un potente alleato per superare le barriere del perfezionismo disfunzionale.

Inizia oggi con un piccolo passo: scegli un’attività che ti mette alla prova, anche se temi di non riuscire farla perfettamente. Affrontala con curiosità, vedendola come un’occasione per imparare e scoprire nuove possibilità. Lascia che ogni errore diventi una tappa del tuo percorso di crescita e osserva come cambia il tuo modo di vivere l’imperfezione.

Buon allenamento!

Federica Cominelli

Il valore di una doccia

La mia sveglia suonava spesso alle 4:30. Acqua fresca sul viso, pantaloncini e maglietta indossati in fretta, calzini e scarpe allacciate. Uscivo di casa, il suono della serratura che si chiudeva dietro di me, mentre un’alba timida si preparava a svelare un’altra lunga giornata.

“I primi 2 km mentono; lascia fare al tuo corpo quello che sa fare meglio”, mi ripetevo, soprattutto quando la tentazione di tornare a casa si faceva insistente. Ma poi, con il sole che iniziava a illuminare la strada, un sorriso si allargava sul mio volto: era un momento intimo, un dialogo profondo fra la mia mente, il mio corpo e la natura che mi circondava. Un passo dopo l’altro, il ritmo si intensificava e i chilometri scorrevano, alcuni giorni più facilmente di altri. Negli ultimi due mesi di preparazione per il campionato del mondo di Ironman, gli allenamenti erano diventati una sfida continua di auto-controllo, perseveranza e disciplina.

Indipendentemente da come andassero le sessioni mattutine, ricordo con vividezza il momento che seguiva la fatica: la doccia. Aaaa che meraviglia! Sebbene sia una pratica igienica e sociale, in quel momento, per me la doccia assumeva un significato speciale: era un rituale di gratitudine, verso il mio corpo che mi permetteva di inseguire le mie passioni, e verso la mia mente, che mi faceva saltare giù dal letto alle 4:30 del mattino. La doccia dopo l’allenamento era per me un abbraccio alla fatica, ai chilometri corsi, al riconoscere l’impegno per raggiungere i propri obiettivi.

La gratitudine, spesso trascurata, è un sentimento incredibilmente potente: riconoscere gli allenamenti impegnativi, i sacrifici fatti e il supporto ricevuto da allenatori, amici e familiari ci aiuta a comprendere il valore del nostro percorso. Questa consapevolezza non solo allevia la pressione legata al risultato, ma ci permette anche di gestire meglio lo stress e di aumentare la nostra fiducia, preparandoci ad affrontare con determinazione le sfide di una gara sportiva o della vita.

L’invito è quindi di creare un momento in cui stringerti forte prima di una competizione per te importante, dopo un allenamento difficile, o quando stai attraversando un momento pieno di sfide: riconosci quanta strada hai già fatto, al di là di quanto sarà ancora lungo il viaggio.

Giada Cananzi

Vivere tra Sport e Like. La Sfida della Visibilità per gli Atleti

Nel mondo iperconnesso di oggi, un atleta non si limita più a vincere gare: vive sotto i riflettori dei media 24 ore su 24. Questa visibilità gioca un ruolo cruciale nella vita di ogni sportivo, infatti, i social sono sia il mezzo principale per la promozione di brand e messaggi, ma sono anche motivo di forti critiche e stress. Partendo dall’esempio di diversi sportivi, proveremo a capire quanto i social impattino nella loro routine e performance. I casi di Gianmarco Tamberi che aggiorna i suoi fan fino a sette volte in un solo giorno di gara, e di Naomi Osaka che si disconnette completamente dai social per mantenere la concentrazione, ci suggeriscono che la relazione tra sportivi e visibilità pubblica sembra rivelarsi un’arma a doppio taglio.

 

Il primo nome che viene in mente, quando si parla di sport e social, è sicuramente Cristiano Ronaldo. Infatti, possiede il profilo Instagram più seguito al mondo, con oltre 500 milioni di follower, CR7 non è solo una star del calcio, ma un vero e proprio brand globale. La sua capacità di curare meticolosamente la sua immagine sui social gli ha permesso di creare una vera e propria azienda il campo da gioco, collaborando con marchi internazionali e ora promuove i suoi prodotti brandizzati CR7, che vanno dall’abbigliamento, come intimo e materiale sportivo, fino a profumi e prodotti per la casa.

 

Nel mondo del tennis invece, possiamo citare due episodi recenti e radicalmente opposti. Queste due posizioni mostrano chiaramente come i social media possano influenzare le carriere degli atleti, sia in modo positivo che negativo. Da una parte c’è Naomi Osaka, che ha scelto di prendersi una pausa dai social media per concentrarsi meglio sul suo gioco e sulla sua salute mentale. Nel 2021, la tennista ha fatto notizia quando ha deciso di ritirarsi dal Roland Garros dopo aver rifiutato di parlare con i media, sottolineando l’impatto che la pressione e la i riflettori puntati hanno avuto su di lei. Questa scelta coraggiosa ha portato a un dibattito pubblico sulla salute mentale degli atleti, mettendo in evidenza quanto sia importante per loro allontanarsi dalle pressioni esterne e ritrovare la serenità necessaria per affrontare le sfide in campo. Osaka ha capito che, per poter dare il massimo nel tennis, doveva anche prendersi cura di sé, liberandosi dal rumore e dalle distrazioni.
Dall’altra parte, abbiamo Nick Kyrgios, che, dopo essersi infortunato durante la stagione estiva del 2023, ha trovato un nuovo modo per far parlare di sé. Invece di utilizzare questo tempo lontano dal campo per riflettere, ha cominciato a sfruttare la sua visibilità sui social media per alimentare polemiche. Non ha esitato a criticare diversi sportivi, tra cui Jannik Sinner, mettendo in discussione non solo l’atleta ma anche la sua persona: polemizzando sul caso di doping e la sua relazione. Questa scelta ha dimostrato come Kyrgios utilizzi la sua piattaforma per rimanere rilevante, provocando e generando controversie, rendendo evidente il divario tra chi cerca di mantenere la propria concentrazione sportiva e chi usa la visibilità per alimentare rivalità e tensioni.

 

In Italia, un caso emblematico è quello di Gianmarco Tamberi, campione olimpico di salto in alto alle Olimpiadi di Tokyo. Ha sfruttato i social media per promuovere la sua immagine e condividere momenti significativi della sua vita e della sua carriera. Tuttavia, alle recenti Olimpiadi di Parigi, non è riuscito a confermare il suo successo e ha subito forti critiche sui social. Molti lo hanno criticato, accusandolo di pensare troppo ai social, pubblicando anche sette post il giorno della gara. Ma in realtà, stava affrontando un problema ben più serio: soffriva di calcoli renali, un dolore insopportabile che l’ha costretto al ricovero prima della competizione. Questa condizione ha chiaramente compromesso la sua forma fisica e, quindi, la sua performance. Nonostante questo, molti hanno dato la colpa alla sua attività online, ignorando completamente il suo stato di salute. Invece di ricevere supporto, ha ricevuto solo critiche.

 

Questa situazione fa riflettere sul potere dell’esposizione sui social media. Mentre da una parte amplificano le vittorie e il potere mediatico degli atleti, dall’altra creano una pressione enorme. Gli sportivi con un’altissima visibilità, proprio come Tamberi, devono gestire le aspettative e i giudizi del pubblico, che influenzano e minano sia le loro prestazioni, sia la loro vita personale.

 

In conclusione, le esperienze di Naomi Osaka, Gianmarco Tamberi e Cristiano Ronaldo mettono in luce le diverse sfide e strategie che gli atleti affrontano nell’era dei social media. Chi ha saputo trasformare i social in un potente strumento per costruire il suo brand, dimostrando come la visibilità possa essere utilizzata strategicamente per promuovere. Oppure, chi ha vissuto la pressione della visibilità, trovandosi a dover affrontare critiche anziché supporto, spingendo molti sportivi al completo abbandono dei media.
Tutti questi casi sottolineano l’importanza di un approccio equilibrato e consapevole nei confronti della fama e della pressione, evidenziando la necessità di un ambiente di supporto che consideri le fragilità umane di tutti gli atleti.

 

L’illusione di una connessione diretta con i fan può diventare un’arma a doppio taglio. Gli atleti pagano un prezzo alto per la visibilità e il successo. È fondamentale che la società e i tifosi comprendano il peso di questa esposizione e creino un ambiente più supportivo, che consideri anche le fragilità umane degli atleti.

 

Che si tratti di un’opportunità o di un ostacolo, l’esposizione mediatica è ormai parte integrante della vita di ogni atleta. La vera sfida sta nel trovare un equilibrio: sfruttare il potenziale dei social media per crescere, senza farsi schiacciare dal peso della costante visibilità.

 

Federico Cesati

Cultura dell’alibi: Quando non succede quello che voglio

E’ il momento, il giorno tanto atteso è arrivato. Mi sveglio, seguo la mia routine e oggi mi sento sicura/o di me. Entro in campo e faccio un check-up interno delle mie sensazioni: fisicamente mi sento in forma, mentalmente pronta/o e motivata/o ad affrontare la sfida. Tutto sembra essere al posto giusto, ma ad un certo punto qualcosa cambia. L’energia comincia a calare, e nella mia testa inizia a farsi strada un pensiero insistente: “Non sta funzionando, non sta andando come previsto, voglio solo andare a casa.”

Il corpo inizia a tradirmi: la caviglia, da poco guarita, inizia a fare male, un senso di nausea mi assale. Penso subito: “Sarà che ho dormito poco? Sarà l’umidità? O forse è stata la colazione?” Le gambe diventano pesanti, il respiro si accorcia, il battito accelera, e, nonostante l’allenamento, mi sento stanca/o.

Dentro di me emerge una domanda che si fa sempre più forte: “Perché sta succedendo a me? Perché gli altri sembrano così tranquilli e al top?” E, come spesso accade, iniziano le autocritiche: “Ti sei sopravvalutata/o, non sei all’altezza. Devi allenarti di più.”

Sono lì, di fronte all’avversaria/o, ma soprattutto di fronte a me stessa/o. Mi trovo davanti ad una scelta: come reagire? So cosa avrei bisogno di fare, vorrei incoraggiarmi, ma qualcosa dentro di me mi blocca. Invece di accettare la situazione, comincio a cercare alibi: “Fa troppo caldo, ci sono troppe persone, le gambe non rispondono, la mia mente è invasa da pensieri incontrollabili.” Provo a dare la colpa agli altri, ma non funziona, perché so che la responsabilità è mia.

Dove posso trovare la forza e il coraggio per mettere in discussione tutto? Per accettare che la situazione non sta andando come previsto? Nella mia testa, avevo immaginato ogni dettaglio, avevo pianificato tutto, ma la realtà è diversa: perché?

 

L’alibi nello sport e nella vita: il bisogno di controllo

La situazione che ho appena descritto rappresenta un esempio di quella che viene definita “cultura dell’alibi” nello sport. Spesso, quando le cose non vanno come si vorrebbe, si tende a cercare dellescuse esterne per giustificare il disagio che si sente o il calo di performance. Quante volte, di fronte ad una difficoltà, la prima reazione è cercare cause esterne?

La verità è che è molto più facile dare la “colpa” a qualcosa o qualcuno piuttosto che guardare dentro di sé e assumersi le proprie responsabilità.

In realtà, la cultura dell’alibi è un meccanismo difensivo che si utilizza per proteggere la nostra autostima. Quando ci si trova in una situazione di stress, come una competizione sportiva, il cervello entra in “modalità protezione”. Invece di affrontare direttamente la sfida, si cerca di spostare l’attenzione su fattori che si ritengono essere fuori dal nostro controllo. Questo permette di evitare l’ammissione di un fallimento personale, ma allo stesso tempo impedisce di crescere e di imparare dall’esperienza.

Superare l’alibi e accettare l’imprevisto

Per uscire dalla cultura dell’alibi, è necessario sviluppare la capacità di accettare l’imprevisto e le difficoltà come parte integrante del processo di crescita sportivo (e della vita in generale). L’autoconsapevolezza è la chiave: essere in grado di riconoscere i propri limiti, ma anche le proprie risorse, permette di affrontare le sfide con maggiore serenità.

Il focus dovrebbe spostarsi dal controllo esterno a quello interno per chiedersi: “cosa posso fare qui ed ora per gestire e migliorare la mia performance?”

Federica Cominelli

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