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L’effetto Sinner-Musetti: quando la forza mentale diventa contagiosa

Due italiani in semifinale al Roland Garros dopo sessant’anni. Non è solo una questione di talento, ma anche di modello e spinta collettiva.

È di nuovo un momento storico per il tennis italiano. Dopo sessant’anni, due giocatori azzurri approdano contemporaneamente alle semifinali del Roland Garros, uno dei tornei più ambiti del circuito mondiale. Jannik Sinner, con una prestazione solida e decisa, ha liquidato il kazako Sascha Bublik in tre set secchi. Lorenzo Musetti, dal canto suo, ha firmato un’autentica impresa contro Frances Tiafoe, guadagnandosi un posto tra i migliori quattro di Parigi, dove sfiderà il campione in carica Carlos Alcaraz.
Ma ciò che colpisce, oltre al valore tecnico, è la tenuta mentale con cui questi ragazzi stanno affrontando sfide sempre più grandi. La testa fa la differenza, e questi risultati lo confermano. Non è solo il braccio a portare in semifinale, ma una mente costruita, solida, lucida nei “Big Point”.

Quando un italiano arriva così in alto, accade qualcosa di potente anche intorno a lui: cambia la percezione del possibile. I successi di Sinner e Musetti non restano confinati nei tabelloni internazionali, ma si riflettono nei sogni – e nella motivazione – dei tanti giovani che si allenano ogni giorno in Italia.

Questi atleti hanno fin da piccoli incontrato nel loro percorso il sistema delle selezioni nazionali dove è ormai da anni prevista la presenza del preparatore mentale. Ai tempi erano ragazzi molto giovani, ma già allora avevano iniziato ad avvicinarsi alla dimensione mentale della performance. Con un team di psicologi dello sport (tra cui la Dott.ssa Elena Uberti, co-fondatrice di Sport Mindset Agency) si è lavorato fin da subito sull’aspetto della consapevolezza: attraverso il confronto tra le percezioni degli atleti e quelle degli allenatori, si è cominciato a costruire un’immagine solida e realistica dei punti di forza, prima ancora di parlare di debolezze dell’avversario. Un lavoro sottile ma fondamentale, che ha messo le basi per lo sviluppo della fiducia e dell’identità sportiva.

Facciamo riferimento a tutto l’attuale movimento italiano: vedere un pari età, un volto familiare, salire sul palcoscenico dei più grandi riduce quella distanza percepita tra l’ideale e il reale. Il campione smette di essere solo un mito irraggiungibile e diventa un riferimento tangibile: “se ce l’ha fatta lui, posso farcela anch’io”. È in quel confronto orizzontale, tra pari, che si attiva una delle leve più potenti per il miglioramento individuale: l’identificazione.

Non c’è motivazione più autentica del sentirsi parte di qualcosa che evolve, che cresce. Quando nel gruppo qualcuno riesce a compiere un salto di qualità, anche gli altri iniziano a percepire la scalata come possibile. La forza mentale diventa allora contagiosa, si allena nel confronto, si rinforza nell’esempio.
Ecco perché, in un momento come questo, parlare di “preparazione mentale” non è un lusso, ma una necessità.
I risultati non si costruiscono solo con i servizi vincenti, ma anche nella capacità di restare lucidi, affrontare la pressione, sostenere l’aspettativa e – soprattutto – credere fino in fondo di meritarsi quel posto.

Il Roland Garros 2025, con due italiani a un passo dalla finale, non è solo una pagina di storia sportiva.
È una finestra aperta sul potenziale umano che si sprigiona quando il talento incontra la consapevolezza.
L’augurio è che in tanti, guarderanno al lavoro sulla consapevolezza, con occhi diversi.

 

Elena Uberti

Come si riconosce un atleta forte mentalmente?

È una domanda che mi sono sentito fare tante volte, da atleti, allenatori, genitori, colleghi. Una domanda semplice all’apparenza, ma che nasconde una complessità enorme. Perché spesso, quando pensiamo a un “atleta forte mentalmente”, ci vengono in mente immagini stereotipate: chi non si arrabbia mai. Chi non sbaglia mai. Chi ha esperienza da vendere.

E invece… no. Non funziona così.

L’esperienza non basta!

Fare sport da tanti anni non equivale ad avere forza mentale. Conosco atleti che hanno calcato i campi per decenni e ancora oggi si lasciano travolgere dalla rabbia o dalla frustrazione al primo errore. Allo stesso tempo, vedo amatori che non vivono di sport, ma hanno sviluppato una consapevolezza e un’autoregolazione che superano quella di molti professionisti.

Perché? Cosa rende davvero forte un atleta a livello mentale?

La risposta è: l’equilibrio

La chiave è quella. La forza mentale non è qualcosa di rigido o definitivo. È piuttosto la capacità di trovare e ritrovare il proprio centro, anche quando le cose si muovono. Un atleta mentalmente forte non è sempre calmo, non è sempre lucido, non è sempre

perfetto. Sa riconoscere cosa gli sta succedendo, dove si trova emotivamente e mentalmente, ma soprattutto conosce gli strumenti ha a disposizione e come usarli.

Questa immagine racconta moltissimo di cosa significa essere forti mentalmente. L’equilibrista non ha appigli, né sicurezze assolute: cammina su una fune sottile, sospeso tra due realtà: il cuore e il cervello. Non è solo l’equilibrio fisico a tenerlo su, ma la sua capacità di sentire, ascoltare, dosare. È un equilibrio dinamico, fragile e vivo, proprio come quello interiore degli atleti. Essere forti mentalmente non vuol dire “non cadere mai”, ma sapere da che parte si pende, riconoscere cosa sta tirando di più, l’emozione o la razionalità , e trovare ogni volta il modo per tornare al centro.

Cosa fanno quindi gli atleti forti mentalmente?

Si conoscono. Sanno chi sono, cosa li fa rendere, cosa li fa crollare. Riconoscono le emozioni. Non le negano, non le evitano. Le ascoltano, le usano. Usano gli strumenti. E lo fanno con consapevolezza: respiro, focus, dialogo interno, pause, visualizzazioni… Accettano i momenti di crisi. Non si giudicano per una brutta giornata. Sanno che anche questo fa parte del gioco. Ritrovano il proprio equilibrio. Perché l’equilibrio non è statico: si perde e si ritrova, ogni volta.

Allenare la forza mentale: si può davvero?

Sì, e si deve. La forza mentale non è un talento innato con cui si nasce o meno. È un insieme di abilità che possono essere sviluppate, allenate, rafforzate — proprio come si fa con la tecnica o la preparazione fisica. Il primo passo è smettere di pensare che “funzioni solo per alcuni”: non esistono atleti destinati ad essere forti mentalmente e altri no. Esistono atleti che si allenano anche su questo piano, e altri che ancora non l’hanno fatto. L’allenamento mentale richiede costanza, proprio come quello atletico. Inizia con piccoli gesti quotidiani: fare una pausa per respirare consapevolmente prima di servire, riconoscere quando la mente si distrae, notare quando si sta diventando troppo critici con sé stessi. E poi scegliere, attivamente, come riportarsi al presente, come coltivare fiducia, come affrontare una sfida. Non si tratta di “pensare positivo”, ma di costruire e cercare risposte efficaci al problema che ci è posto davanti.

La buona notizia è che l’allenamento mentale non richiede attrezzatura, né orari precisi: si può cominciare ovunque, anche fuori dal campo. Ogni occasione è utile per conoscere le proprie reazioni, sperimentare strategie, allenare la consapevolezza. E con il tempo, proprio come accade con i muscoli o i riflessi, anche la mente diventa più pronta, più stabile, più forte.

Da dove cominciare?

Dalle piccole cose Se la forza mentale non è qualcosa che si ha o non si ha, allora è qualcosa che si può costruire. E per farlo, serve allenamento, certo, ma serve anche curiosità. Serve il coraggio di farsi domande e la voglia di conoscersi un po’ di più ogni giorno.

Un buon punto di partenza? Uno strumento semplice, ma potente: il diario. Scrivere, anche solo poche righe, cosa è andato bene, cosa ci ha messo in difficoltà, che emozioni abbiamo provato, che pensieri hanno guidato la giornata. Riflettere su cosa ci fa perdere equilibrio e cosa, invece, ci aiuta a ritrovarlo.

Oppure fermarsi cinque minuti dopo un allenamento, o dopo una partita, e chiedersi: com’ero mentalmente oggi? Come ho reagito alle difficoltà? Quale piccolo passo posso fare per essere più consapevole domani?

Sono strumenti semplici, accessibili a tutti. Ma, se usati con costanza, diventano leve potentissime per crescere. Perché la forza mentale non si mostra solo nei grandi momenti, ma si costruisce nei dettagli quotidiani.

Quindi la vera domanda è: Tu da dove vuoi cominciare?

Federico Cesati

Dalla testa al traguardo: il potere delle routine mentali per il benessere e la performance

Se pratichi uno sport, a qualsiasi livello, ti sarà capitato almeno una volta di pensare: “La testa oggi non c’era”, oppure “Fisicamente stavo bene, ma mentalmente no”. Succede spesso. Perché la verità è che la mente gioca un ruolo enorme nella performance, anche se spesso la sottovalutiamo.

Negli ultimi anni, anche grazie agli esempi di atleti professionisti, si parla sempre di più di preparazione mentale. Ma pochi sanno davvero come funziona e, soprattutto, come allenarla concretamente. È proprio di questo che voglio parlarti oggi.

Ma cosa significa davvero “preparazione mentale”? E perché sempre più atleti, professionisti e amatoriali, adottano routine mentali per migliorare le proprie prestazioni?

Routine mentali: cosa sono e perché fanno la differenza

Le routine mentali sono piccole strategie che aiutano l’atleta a prepararsi mentalmente prima, durante e dopo una prestazione, mantenendo equilibrio, concentrazione e fiducia.

Non si tratta di riti scaramantici o frasi motivazionali vuote, ma di strumenti concreti, studiati e adattabili a ogni atleta, in base alla sua età, al suo sport e ai suoi obiettivi.

Le tre fasi della routine mentale

Costruire una routine mentale significa individuare piccoli gesti o pensieri da inserire nei momenti chiave dell’esperienza sportiva:

Prima della gara o dell’allenamento

“Come ti prepari influenza come ti esprimi.”

  • Visualizzazione positiva: immagina, anche solo per 1-2 minuti, come vuoi affrontare l’allenamento o la gara. Concentra l’attenzione su ciò che puoi controllare.
  • Respirazione consapevole: pochi respiri profondi aiutano a rallentare corpo e mente, creando uno spazio di calma prima dell’azione.
  • Frasi guida: brevi affermazioni positive e realistiche, che aiutano a focalizzare (es. “Mi fido del mio corpo”“Porto attenzione su quello che sto facendo”).

Durante la prestazione

“Gestire la mente nel momento è un’abilità che si può allenare.”

  • Parole-àncora: termini brevi da ripetere per tornare al presente nei momenti più intensi (es. “Respira”“Spingi”“Ci sono”).
  • Gestione dell’errore: saper accettare un errore, respirare, e rientrare in partita fa spesso la differenza. Serve allenamento mentale anche per questo.

Dopo la gara o l’allenamento

“Anche la mente ha bisogno di recuperare e ricaricarsi.”

  • Debriefing mentale: riconosci cosa ha funzionato, cosa puoi migliorare, cosa ti porti alla prossima volta.
  • Gratitudine per l’impegno: imparare a vedere valore anche nelle giornate “no” aiuta a coltivare motivazione e autostima a lungo termine.

Un esempio concreto: Michael Phelps e la visualizzazione

Michael Phelps, pluricampione olimpico, usava una routine mentale precisa: ogni sera, visualizzava le sue gare nei minimi dettagli.

Nel 2008, durante una finale, gli si riempirono d’acqua gli occhialini. Panico? No. Aveva già “vissuto” quella situazione decine di volte nella sua mente. La visualizzazione lo ha aiutato a restare lucido e a vincere comunque.

Un piccolo esercizio da provare già da oggi

Ti proponiamo un esempio di mini-routine che puoi testare nel tuo sport, anche a livello amatoriale:

  1. 30 secondi di respirazione lenta (inspira per 4, trattieni per 4, espira per 6).
  2. Visualizza un momento in cui ti sei sentito efficace, presente, centrato.
  3. Ripeti una frase semplice e positiva che ti aiuti a entrare nel giusto mindset.
  4. Dopo la sessione, scrivi due cose che ti sono piaciute e una su cui vuoi migliorare.

Piccoli gesti, grande impatto.

Conclusione

SMATeam crediamo che benessere e performance vadano di pari passo. Le routine mentali aiutano l’atleta a sentirsi più consapevole, stabile e pronto ad affrontare sfide e difficoltà.
Non servono strumenti complicati, ma costanza, allenamento e supporto professionale.

Federica Cominelli

Psicologa dello Sport

Il rientro di Sinner: la psicologia dello sport tra sospensione, identità e resilienza

Il ritorno di Jannik Sinner agli Internazionali d’Italia non è solo una notizia sportiva: è anche un’occasione di riflessione sul mondo interiore degli atleti di alto livello. Dopo tre mesi di sospensione brusca dalla sua carriera, Sinner si prepara a rientrare in campo con una “mentalità un po’ diversa, come ha dichiarato lui stesso nell’intervista al TG1.

La psicologia ci invita a interrogarci su cosa possa accadere nella mente di un atleta costretto a fermarsi per così tanto tempo dalle competizioni. Come si rientra davvero in campo, non solo fisicamente ma anche psicologicamente?

Quando si ha l’occasione di ripartire, con più forza di prima

Per un atleta come Sinner, tornare in campo dopo uno stop così lungo non significa solo ricominciare a vivere l’adrenalina del match, ma farlo portando con sé tutto quello che ha attraversato come persona. Le pause forzate possono essere sfruttate come occasioni per conoscersi meglio e tornare in contatto con i propri valori.

La fatica di allenarsi senza l’obiettivo di una competizione nel breve termine, la pressione mediatica, il peso di dover lasciarsi alle spalle una vicenda spiacevole: tutto questo può mettere alla prova l’atleta. Ma al momento del rientro, si scende in campo inevitabilmente con qualcosa in più di prima. Di certo con la consapevolezza di aver resistito e aver continuato a lottare per i propri obiettivi, anche nei momenti più difficili.

La forza di Sinner, allora, non sarà solo quella che è in grado di imprimere sulla prima servizio o nella rotazione della palla sul diritto, ma anche quella silenziosa che ha costruito ogni giorno in questi tre lunghi mesi, quando nessuno guardava. È questa la forza che rende un ritorno non solo possibile, ma anche più denso di significato.

Il rientro: tra pressione e riscatto

Tornare in campo dopo una pausa forzata significa confrontarsi con almeno tre sfide mentali: il giudizio esterno, le aspettative personali e il bisogno di ritrovare sé stessi. Sotto i riflettori di Roma, Sinner non rientrerà soltanto sulla terra rossa con la sua racchetta in mano, ma tornerà con una pesante storia superata: quella di un giovane atleta che ha gestito l’accusa, la sospensione, il senso di ingiustizia e la rielaborazione psicologica di tutto ciò in un periodo senza dubbio intenso.

In psicoanalisi, questo processo si chiama “momento di incontro”, Stern descrive come certi eventi (come traumi, passaggi, pause) interrompano la continuità del sé e richiedano un riassestamento. Lo stop di Sinner può essere visto come una transizione critica: un passaggio che, se supportato adeguatamente da riferimenti di valore, può rafforzare la resilienza dell’atleta e ricontattare le motivazioni più profonde. Tuttavia, queste fasi possono divenire “disfunzionali” se vissute senza un adeguato supporto, l’atleta può rischiare di sperimentare un’insicurezza che minacci la qualità della sua prestazione.

Il ruolo della mente nella prestazione

La frase di Sinner “sono molto contento di rientrare, ma con una mentalità un po’ diversa” è centrale. Può essere interpretata come la consapevolezza che l’esperienza vissuta abbia lasciato un segno dentro di sé, ma anche il desiderio di tornare più forte di prima. Questo è uno passaggio chiave nel percorso di crescita di un atleta: accettare il cambiamento, l’imprevisto, integrare il vissuto e fare spazio alla ricerca di nuovo equilibrio identitario. Alcune domande utili possono guidare questo processo: chi sono quando non gioco a tennis? Quanto valgo come persona se il mio ranking scende? Chi voglio essere ora che torno a competere? Come integro la ferita subita con il desiderio di riscatto?

 

Il contributo di SMAteam: oltre il campo a supporto della persona

Proprio per il supporto alla persona (prima ancora che all’atleta) si sviluppa il lavoro di SMAteam (Sport Mindset Agency), che da anni accompagna atleti, squadre e staff tecnici in percorsi di preparazione mentale e supporto psicologico personalizzato. L’obiettivo non è solo ottimizzare la performance, ma aiutare ogni atleta a ritrovare centratura, motivazione e senso, anche nei momenti più complessi del proprio percorso sportivo.

Il caso di Sinner evidenzia quanto oggi sia fondamentale affiancare al lavoro tecnico e fisico anche un lavoro psicologico strutturato con professionisti specializzati. Non basta che qualcuno dica “cosa fare”: bisogna anche essere preparati sul come esserci, dentro ogni fase del proprio percorso, fatto di imprevisti e ostacoli, con una mente presente e consapevole.

Lo sport come spazio di evoluzione

Il caso di Sinner ci ricorda che il tennis è anche un terreno esistenziale: i match si giocano in campo, ma anche dentro di sè. Le pause interrompono un flusso che a volte sembra continuo e inarrestabile. Eppure, ogni stop può diventare un’occasione unica in cui investire energie per crescere a livello psicologico.

SMAteam continua a promuovere una cultura sportiva che integri competenze psicologiche nel quotidiano di atleti e staff. Perché è proprio lì, nel quotidiano, che si costruisce il tipo di mentalità di cui parlava Sinner: quella più consapevole.

La psicologia dello sport e la psicoterapia possono offrire strumenti concreti per attraversare queste transizioni: dal lavoro sull’autoefficacia alla gestione dell’ansia, dal dialogo interiore alla rielaborazione emotiva degli eventi critici. Oggi più che mai è evidente quanto questi aspetti siano determinanti per sentirsi davvero pronti.

A Roma non tornerà solo un numero uno del tennis, ma un giovane uomo che ha vissuto una complessa prova di vita e che, forse, potrà costituire una delle sue più grandi risorse interne.

Elena Uberti

Motivazione e confronto: capire e sostenere gli adolescenti nello sport

“Lo vedo spento.”
“Ha talento, ma non ci crede abbastanza.”
“Quando ha iniziato a giocare era più motivato e si divertiva…ora sembra svogliato.”
“Non si impegna come potrebbe, e non solo nello sport: anche a scuola è lo stesso.”

Chi lavora con adolescenti – che siano genitori, allenatori o insegnanti – riconoscerà queste frasi. Sono osservazioni ricorrenti, che riflettono una difficoltà concreta e profonda: come si sostiene la motivazione in una fase della vita in cui tutto cambia?

Come psicologi dello sport, stiamo lavorando in diverse società sportive con ragazzi tra i 13 e i 18 anni. In questa fascia d’età così critica, il rischio di vedere calare l’entusiasmo e l’impegno è reale. Ma il nostro lavoro, ispirato a strumenti di valutazione e confronto, dimostra che la motivazione si può osservare, ascoltare e coltivare.

Il progetto di SMAteam: ascoltare e confrontare

Durante i percorsi stagionali proposti da Sport Mindset Agency (solitamente da settembre a giugno), ogni atleta viene invitato a valutarsi su una serie di abilità mentali: attenzione, fiducia, gestione dello stress, motivazione, impegno, costanza. In parallelo, uno dei membri dello staff compila una valutazione esterna sugli stessi parametri.

L’obiettivo non è “dare voti”, ma far emergere elementi in comune e differenze tra come un ragazzo si percepisce e come viene percepito, aprendo spazi di dialogo e riflessione. Questi dati ci permettono di costruire una fotografia utile e dettagliata.

Perché è così importante farlo ora?

Perché l’adolescenza è una fase fondamentale: ci si separa dall’identità di bambini e si mettono le basi per costruire l’identità adulta. E in questa fase, predisporre i passi verso il proprio futuro sembra a volte troppo complicato. I ragazzi faticano ad immaginare obiettivi realistici, a reggere la frustrazione per un fallimento, a trovare un senso nelle fatiche quotidiane.

Come scrivevano De Beni e Moè (2000), la motivazione non è innata: è un equilibrio instabile tra ciò che si sente dentro e ciò che viene riconosciuto fuori. E se manca un contesto che aiuti a dare valore allo sforzo, il rischio è che i ragazzi si ritirino, anche inconsapevolmente, da ciò che potrebbe farli crescere.

Allenare la motivazione: SMA propone strumenti

Le società sportive possono diventare luoghi straordinari per allenare il senso di impegno, la costanza, la responsabilità. Ma non basta dire “ci vuole grinta”: servono strumenti. E questo è ciò che SMAteam lavora da anni in progetti mirati per offrire a tutte le figure coinvolte questi preziosi strumenti.

Il confronto tra valutazione interna ed esterna diventa, in questo senso, una bussola concreta.
Se un ragazzo si percepisce motivato ma l’allenatore non lo percepisce così, c’è un tema su cui confrontarsi. Se lo staff nota potenziale ma l’atleta si sottovaluta, si può iniziare a lavorare sull’autoefficacia. Se entrambi vedono disimpegno, si può agire prima che diventi ritiro.

Piccoli passi per un futuro possibile

Molti genitori e allenatori oggi si chiedono: come faranno questi ragazzi a costruirsi un futuro?
È una domanda legittima, ma spesso carica di ansia. La verità è che nessun adolescente costruisce da solo una visione del futuro. Ha bisogno di adulti che sappiano accompagnarlo, non solo con aspettative, ma con strumenti e tempo e soprattutto fiducia.

Per questo il nostro progetto non si limita a “misurare” ciò che c’è. Serve a gettare le basi per percorsi individuali di sviluppo mentale, che i ragazzi potranno continuare anche oltre la nostra presenza in campo e di gruppo. SMA offre la possibilità di avviare percorsi individuali, e lo ribadisce in ogni contesto: il tempo che abbiamo per incidere è limitato (a volte una stagione sportiva altre 6-7 stagioni consecutive), ma quello che imparano in adolescenza può restare con loro a lungo.

Un lavoro per tutti: atleti, staff e famiglie

I dati condivisi da SMA nelle società sportive diventano poi una banca comune, un punto di partenza per futuri interventi di psicologia anche con lo staff. Perché la motivazione non si sostiene solo al singolo ragazzo, ma nell’ambiente che lo circonda.
E se l’ambiente – fatto di allenatori, educatori, adulti attenti – è capace di leggere le criticità e valorizzare i segnali di crescita, allora diventa un luogo fertile.

In conclusione: SMA educa alla motivazione

Educare alla motivazione significa veicolare il messaggio che i risultati arrivano in un processo, con costanza, che gli obiettivi si costruiscono un passo alla volta, che sbagliare non è fallire ma parte del processo.

E soprattutto, significa non smettere di credere che un ragazzo possa cambiare, anche quando sembra spento, disinteressato, svogliato.

Perché a volte, dietro quella maschera, c’è solo bisogno di qualcuno che dica:

“Ti vedo. Ti ascolto. Possiamo lavorarci insieme.”

Elena Uberti

Co-fondatrice di SMAteam

La paura del cambiamento nello sport: come affrontarla con le giuste mental skill

Il cambiamento è una costante nello sport: nuovi allenatori, nuove strategie, nuove categorie, infortuni e persino il passaggio dal dilettantismo al professionismo. Tuttavia, nonostante il cambiamento sia inevitabile, molti atleti lo vivono con ansia e timore. Ma perché succede? La paura del cambiamento nasce spesso dall’incertezza, dalla perdita del controllo e dal timore di fallire. Tuttavia, sviluppare le giuste mental skill può aiutare gli atleti a trasformare questa paura in un’opportunità di crescita.

Perché il cambiamento spaventa gli atleti?

  1. Paura dell’ignoto: il cervello umano è programmato per preferire ciò che è familiare. Un nuovo ambiente o una nuova sfida possono generare stress e insicurezza. Ad esempio, un calciatore che passa in una squadra più competitiva può temere di non essere all’altezza.
  2. Timore del fallimento: cambiare significa spesso confrontarsi con nuove sfide e difficoltà e il rischio di non essere “abbastanza bravi”. Per esempio, un giovane tennista che entra in una categoria superiore può sentire il peso delle aspettative e la paura di perdere più partite del previsto.
  3. Perdita della zona di comfort: ogni atleta ha delle routine consolidate che lo fanno sentire sicuro. Cambiare queste abitudini può sembrare destabilizzante: pensiamo a un atela che deve cambiare allenatore e modificare completamente il suo metodo di allenamento.
  4. Pressione esterna: allenatori, compagni di squadra, tifosi: le aspettative degli altri possono rendere il cambiamento ancora più faticoso. Un esempio può essere un giovane cestista che viene promosso in prima squadra e sente la pressione di dover dimostrare subito il proprio valore.

Mental skill per affrontare il cambiamento

  1. Tecniche di rilassamento e gestione dell’ansia
    Tecniche di respirazione e mindfulness possono ridurre l’ansia e migliorare la gestione dello stress legato al cambiamento, aiutando l’atleta a restare concentrato sul presente senza farsi sopraffare dai pensieri negativi sul futuro. Un esempio è utilizzare la respirazione diaframmatica per rimanere calmo prima della gara.
  2. Flessibilità cognitiva
    Essere mentalmente flessibili significa saper adattarsi rapidamente alle nuove situazioni. Per allenare questa capacità, gli atleti possono esercitarsi nell’accogliere il cambiamento come un’opportunità anziché come una minaccia, riformulando le proprie credenze e i propri pensieri in modo costruttivo. Ad esempio, un maratoneta che si infortuna e deve ridurre il chilometraggio può concentrarsi sulla forza e sulla tecnica anziché sul volume di corsa.
  3. Goal setting efficace
    Stabilire obiettivi chiari e realistici aiuta a mantenere il focus. Gli obiettivi SMART (Specifici, Misurabili, Accessibili, Rilevanti, Temporizzati) danno una direzione e riducono l’incertezza. Ad esempio, un giocatore di basket che cambia squadra potrebbe fissare l’obiettivo di migliorare la propria media punti entro tre mesi.
  4. Visualizzazione positiva
    Immaginare sé stessi affrontare con successo la nuova sfida aiuta a ridurre l’ansia e ad aumentare la fiducia. Un esempio è uno sciatore che visualizza mentalmente la sua discesa prima della gara per migliorare la concentrazione e ridurre lo stress.
  5. Self-talk positivo
    Il dialogo interno ha un enorme impatto sulle emozioni e sulle prestazioni. Frasi come “Sono in grado di adattarmi” o “Ogni cambiamento è un’opportunità” possono rafforzare la resilienza mentale. Un atleta che affronta un avversario temuto può ripetersi mentalmente frasi motivanti per mantenere la fiducia.
  6. Resilienza e gestione delle emozioni
    Accettare che il cambiamento possa portare momenti di difficoltà aiuta a sviluppare una mentalità resiliente. Lavorare con uno psicologo dello sport può essere utile per imparare strategie di coping e gestione delle emozioni. Un esempio può essere un ginnasta che, dopo una brutta caduta, lavora sulla sua resilienza mentale per tornare in pedana con determinazione.

Il cambiamento nello sport è inevitabile, ma affrontarlo con la giusta mentalità e le giuste mental skill permette agli atleti di trasformarlo in un’opportunità di crescita. Saper lasciare andare ciò che era e accettare una nuova immagine di sé è parte del percorso, così come imparare a vedere nel cambiamento una possibilità di evoluzione. Lavorare sulla gestione dello stress, la flessibilità mentale e il self-talk positivo può fare la differenza tra chi si lascia bloccare dalla paura e chi la trasforma in un trampolino di lancio per il successo. E, in fondo, la vera forza sta nel sapersi reinventare, lasciando andare ciò che era per abbracciare ciò che può diventare.

 

Federica Cominelli

I 3 grandi errori mentali da evitare prima di una gara

Ti trovi in quei brevi istanti in cui tutto si decide. Il battito del cuore pulsa nel petto ad un ritmo continuo. Il corpo emana calore ed energia ad ogni tuo respiro. I muscoli si preparano a scattare in un battito di ciglia. Ascolti gambe e braccia per capire a che punto sei. Quei movimenti li hai realizzati decine e decine di volte in allenamento. Mentre ascolti le sensazioni del corpo ti parli nella mente, in modo calmo e deciso. Quelle parole sono solo tue, ti trasmettono quella sicurezza e quel conforto che ti serve ad ogni gara. Il momento è arrivato! Coi tuoi tempi ti metti in posizione ai blocchi di partenza. Le emozioni sono tante, forse troppe da riconoscere in poco tempo, ma per te rappresentano quel momento per cui ti sei allenato per mesi. Sei un tutt’uno con quello che fai, corpo e mente sono sincronizzati. Fai un ultimo respiro profondo, attendi finalmente lo sparo e…BANG!

Ogni atleta sa che questi attimi prima di una gara, o di un match, sono al tempo stesso i più intensi e i più complicati da vivere. Una minima distrazione può farti uscire dalla tua zona e complicarti la gestione del momento. Ogni piccolo dettaglio è un tassello del domino che deve stare al suo posto. In alcune discipline, dopo la partenza, si ha ancora modo di cambiare rotta e rifocalizzarsi, ma non tutti gli atleti dispongono di questa opportunità. In alcune specialità, infatti, un inizio impreciso può davvero compromettere un’intera prestazione.

Quali sono allora i 3 grandi errori mentali che un’atleta dovrebbe evitare prima di una gara?

Scopriamoli assieme!

Indipendentemente dal tipo di prestazione o di disciplina praticata, l’obiettivo di ogni atleta è sempre lo stesso: competere al meglio delle proprie possibilità dall’inizio della prestazione fino al suo termine. Eppure gli istanti prima di una gara sono così sensibili che basta anche solo una banale distrazione per esprimere una prestazione non all’altezza.

Il primo errore da evitare è molto comune: quello di pensare troppo avanti alla gara, anticipando le possibili conseguenze della vittoria o della sconfitta. Questo può succedere per vari motivi, a causa dell’elevato sforzo della preparazione, dalle aspettative di risultato o ancora dalla paura di fallire. Quando questo accade la propria concentrazione diventa molto meno selettiva, si perde il focus nel momento presente e la prestazione decade. Il vincere o il perdere non deve essere la principale preoccupazione dell’atleta. L’unico pensiero che deve avere è quello di seguire il proprio piano gara rimanendo nel processo, potremmo dire con una logica step by step sui propri fattori chiave. Se invece ci focalizziamo su elementi su cui non abbiamo il controllo, come ad esempio il risultato, stiamo sprecando le nostre energie fisiche e mentali su fattori indipendenti da noi. Tuttavia, considerare la vittoria come una conseguenza e non come il fine del nostro lavoro, è un “game changer” mentale ben più complesso a dirsi che a farsi.

Il secondo errore mentale piu comune è quello di voler “strafare” quando siamo di fronte ad un avversario piu forte. Di solito dietro a questo comportamento risiede la convinzione limitante che per poter battere il nostro avversario dobbiamo mettere in pratica una prestazione erculea, al di sopra delle nostre possibilità. Anche in questo caso l’atleta mette in gioco una quantità di energie esagerate, perdendo il contatto con ciò che è importante per lui ed allontanandosi da una prestazione ottimale. Tutto ciò che serve risiede già nella tua preparazione e nella routine che hai perfezionato. Rimanere nel presente e fare ciò per cui ti sei allenato, è molto piu efficace della ricerca di un piano gara improvviso. Fidati del lavoro che hai svolto e lascia che il tuo corpo si esprima liberamente.

Il terzo e ultimo errore mentale è quello di concentrarsi sugli aspetti negativi. Gli atleti che tendono a vedere la propria prestazione con delle lenti “in negativo”, di solito richiedono la perfezione nella propria performance o cercano di insistere con uno standard ideale difficile da soddisfare. È difficile considerarlo, ma all’interno di ogni competizione c’è un margine di errore, a volte molto sottile se siamo in competizioni di alto livello mentre, altre volte piu largo. Coltivare la falsa credenza che ogni giocata, ogni possesso o ognitiro, debba essere perfetto incrementa notevolmente lo stress percepito. I pensieri negativi sono l’anticamera della frustrazione e del pessimismo, condizioni che risucchiano energia e forza mentale. Per questo, prima di una gara, è importante lasciare andare i pensieri negativi e recuperare un atteggiamento positivo su ciò che si fa. È un mindset che richiede tempo e lavoro per poterlo concretizzare, non basta agirlo solo il giorno della gara, perché come tutti gli aspetti della preparazione sportiva, anche quella mentale ha bisogno di costanza e pratica.

Se ti senti preso in causa in una di queste “situazioni” evita di giudicarti. Sappi che sono tanti gli atleti che hanno vissuto questi momenti di forte stress almeno una volta nella propria carriera sportiva. Il problema non è viverli e tanto meno eliminarli, ma sapere che possiamo farvi fronte. Non esistono soluzioni magiche se non quelle del lavoro consapevole. Accogli questi momenti come parte del tuo processo di crescita e, se desideri lavorarci sopra, i professionisti del Team di SMA sono pronti e a tua disposizione.

Andrea MARTINETTI

Choking: quando il blackout arriva improvvisamente durante una performance

Ti è mai successo, durante una prestazione sportiva, di vivere all’improvviso un picco di ansia, un blackout inaspettato e, di conseguenza, un notevole crollo della tua performance?

Forse hai vissuto quello che nel mondo della Psicologia dello Sport definiamo Choking.

Che cos’è esattamente il Choking?

E’ definito Choking un acuto e considerevole declino nell’esecuzione delle abilità (tecniche, tattiche, fisiche, mentali) e della performance, causato da un aumento dei livelli di ansia innescato dalla percezione di sentirsi sotto pressione (Choking under pressure).

Quando può accadere?

Di solito accade in situazioni in cui potenzialmente l’atleta può performare al suo meglio, lo sa e ne è convinto, ma all’improvviso non riesce a causa delle PRESSIONI (interne e/o esterne) che percepisce.

Ma come faccio a capire se sto vivendo un momento di Choking o “semplici” eventi di Ansia da Prestazione?

Innanzitutto, il Choking è episodico: le sensazioni tra il prima e il dopo sono talmente nette che riesci a percepire chiaramente quando inizia e quando finisce e, al termine dell’episodio di Choking, puoi tornare rapidamente ai tuoi livelli di performance personale. Inoltre è specifico: può riguardare un momento particolare di una partita o di una gara, oppure può accadere sempre negli stessi momenti di una partita (ad esempio nel tennis quando si è sotto e si deve recuperare o, al contrario, quando si è sopra e si può vincere nettamente) oppure quando si presentano le stesse caratteristiche di gara (ad esempio in finale, contro un certo avversario, ecc..).

Ci sono inoltre alcuni sintomi fisici e psicologici che caratterizzano il Choking e che possono aiutarti a riconoscerlo. Tra i sintomi fisici più comuni, gli atleti riportano di sentire costrizione e tensione muscolare, mancanza di forza, pesantezza e stanchezza improvvisa, fino a fare esperienza di tremori e di instabilità. Tra i sintomi psicologici, invece, gli atleti affermano di sentirsi sopraffatti da uno stato di panico improvviso, enorme insicurezza, paura e fretta nel voler uscire dalla situazione percepita come insopportabile o “troppo grande” per loro.

Chiudiamo l’articolo con alcune tips di gestione del momento di Choking: se puoi esci dalla situazione stressante o allunga i tempi di pausa per riprenderti (staccare è importante e ti permette di ricentrarti); sposta il focus della tua attenzione dal risultato agli obiettivi di performance (tecnici, tattici, fisici e mentali) che ti sei dato/a per la partita/gara; usa un Self-Talk (dialogo interno) semplice e orientato all’azione; in generale semplifica al massimo la tua strategia di gara.

Infine, se ti accade spesso di vivere momenti di Choking, contatta uno Psicologo dello Sport e inizia un percorso di Mental Training che possa sostenerti nel ri-orientare le tue aspettative e farti vivere le tue performance in modo più consapevole, sereno e fiducioso delle tue potenzialità.

 

Se sei interessato/a ad approfondire questo fenomeno, ne abbiamo parlato nella nostra pillola Academy che puoi acquistare al seguente link:

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Valentina Marchesi

L’importanza della concentrazione nello sport: allenare la mente per migliorare la performance

La concentrazione è uno degli aspetti più importanti nella performance sportiva. Gli atleti che riescono a mantenere un alto livello di attenzione nei momenti decisivi hanno un vantaggio significativo rispetto a chi si lascia distrarre dagli eventi esterni o dai propri pensieri. La capacità di concentrarsi non è innata, ma si costruisce con allenamento, consapevolezza e pratica.
Chiunque può imparare a migliorare la propria attenzione e ottenere risultati straordinari, dentro e fuori dal proprio campo di azione.

Uno dei motivi per cui la concentrazione è così importante risiede nel fatto che lo sport richiede un grande equilibrio tra azione fisica e mentale. Tiger Woods, uno dei più grandi golfisti della storia, ha più volte parlato dell’importanza della concentrazione: “Il mio successo dipende dalla mia capacità di restare focalizzato su ciò che devo fare, senza lasciarmi distrarre da niente” (Woods, 2001). Anche Serena Williams, tra le tenniste più forti della storia, ha più volte sottolineato come la sua capacità di rimanere concentrata nei momenti cruciali delle partite sia stata determinante per le sue vittorie (Williams, 2015).

Ogni disciplina sportiva richiede un diverso tipo di concentrazione. Per citare qualche esempio, nel pattinaggio artistico, gli atleti devono mantenere una concentrazione estrema per eseguire salti, piroette figure ed elementi con precisione, evitando di lasciarsi distrarre dal pubblico o dalla pressione della competizione. Nel tiro con l’arco, la concentrazione è fondamentale per controllare la respirazione e la postura, bloccando ogni distrazione esterna per mirare con precisione. Nel baseball, i battitori devono essere in grado di leggere la traiettoria della palla in una frazione di secondo, rimanendo concentrati sul lanciatore e ignorando il rumore dello stadio. Nella pallavolo, i giocatori devono mantenere un’attenzione costante sulla palla, sugli avversari e sulle strategie di gioco, adattando rapidamente la loro concentrazione a seconda delle fasi della partita. Nella vela olimpica, per esempio nella classe ILCA, la capacità di concentrazione è essenziale per mantenere la barca nella posizione ottimale rispetto al vento, regolando continuamente vele e assetto corporeo. Gli atleti devono adattarsi velocemente ai cambiamenti delle condizioni meteorologiche, gestendo la fatica e mantenendo il focus sulla strategia di gara e anticipare le mosse degli avversari.

La concentrazione non è un concetto monolitico, ma si compone di diverse dimensioni, ampie, ristrette, interne o esterne tra cui è importante saper shiftare (Nideffer, 1976). Saper gestire queste dimensioni a seconda della situazione è una competenza che può essere allenata, proprio come la tecnica o la capacità atletica.

Lavorare con uno psicologo dello sport può essere determinante per migliorare la capacità di concentrazione. Attraverso esercizi mirati, tecniche e strategie che coinvolgono in modi diversi pensieri, emozioni e comportamenti, è possibile sviluppare una mentalità focalizzata e resiliente.
In SMA molte delle nostre consulenze si estendono ad un lavoro intensivo sull’allenamento alla concentrazione, per accompagnare gli atleti alla consapevolezza, all’intenzione e azione sul focus attentivo, con obiettivo la padronanza di questa importante capacità.

Uno studio di Weinberg & Gould (2018) evidenzia come gli atleti che si avvalgono del supporto di un professionista della psicologia sportiva riescano a migliorare significativamente la loro gestione dell’attenzione e, di conseguenza, le loro performance. Come affermava Michael Phelps: “Il mio segreto? Quando sono in acqua, non esiste nient’altro. Sono solo io, il mio corpo e il mio obiettivo” (Phelps, 2016).

Sandro Anfuso

Mental Training in periodo di infortunio

L’infortunio è una delle sfide più grandi per un atleta, non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico. La perdita temporanea della capacità di praticare il proprio sport può avere un impatto profondo sulla motivazione, sulla sensazione di autoefficacia e sull’umore. La psicologia dello sport ha sviluppato diverse tecniche efficaci per supportare gli atleti durante un infortunio. Approfondiremo in questo articolo la visualizzazione e l’imagery: due strumenti potenti per accelerare il processo di recupero e migliorare la performance mentale.

La visualizzazione è una tecnica che implica l’uso della mente per creare immagini vivide e dettagliate di situazioni, movimenti o esperienze. Gli atleti utilizzano la visualizzazione per “vedere” mentalmente se stessi eseguire determinati compiti o comportamenti (come l’esecuzione di una tecnica, il completamento di un percorso o il superamento di un ostacolo). Queste immagini mentali possono essere tanto potenti quanto l’esperienza fisica stessa, e si dimostrano molto utili nel migliorare la preparazione psicologica e il focus dell’atleta.

Il termine imagery è spesso utilizzato in modo intercambiabile con la visualizzazione, ma include un concetto più ampio. L’imagery non si limita solo alla creazione di immagini visive, ma coinvolge tutti i sensi. Questo significa che, attraverso l’imagery, un atleta può immaginare non solo visivamente, ma anche sonoramente, tattilmente ed emotivamente, sperimentando una performance o una situazione nella sua interezza, proprio come se stesse accadendo in quel momento reale.

Questo accade grazie alla stimolazione dei “neuroni specchio” . Il concetto di neuroni specchio è stato introdotto negli anni ’90 da un gruppo di neuroscienziati italiani, tra cui Giacomo Rizzolatti e nello specifico sono un tipo speciale di cellule neuronali che si attivano sia quando una persona esegue un’azione, sia quando osserva un’altra persona compiere la stessa azione. I neuroni specchio consentono al cervello di “rispecchiare” il comportamento altrui come se fosse il proprio. Questa scoperta è stata rivoluzionaria, poiché ha dimostrato che il nostro sistema nervoso è in grado di attivare circuiti motori non solo durante l’azione fisica, ma anche quando si osserva l’azione stessa o, addirittura, quando la si immagina. I neuroni specchio sono coinvolti nell’apprendimento motorio, nell‘emulazione, nell’empatia e nell’immaginazione.

Un esempio pratico risiede nell’esperienza comune di assistere allo sbadiglio di un’altra persona e sentire attivarsi in noi il bisogno di sbadigliare, questo accade proprio per l’attivazione di tali cellule. Tornando al contesto sportivo quando un atleta utilizza la visualizzazione, il cervello attiva molti degli stessi circuiti neurali che sarebbero attivati durante l’esecuzione fisica del movimento. In altre parole, quando si immagina di fare un salto o di calciare una palla, il cervello non solo “vede” l’azione, ma stimola anche le aree cerebrali (come la corteccia motoria) responsabili di quell’azione.

Quando un atleta si trova in fase di recupero da un infortunio, la visualizzazione e l’imagery offrono numerosi vantaggi, sia psicologici che fisici. Queste tecniche permettono, infatti all’atleta di continuare a lavorare sulla propria performance mentale, mantenere la motivazione e migliorare la connessione corpo-mente, anche quando non è possibile allenarsi fisicamente.

Alcuni degli aspetti più difficili di un infortunio sono: la separazione dall’attività sportiva, il timore di non tornare alla forma precedente, l’essere costretti ad abbandonare l’attività, il rivedere i propri obiettivi e la paura di rinfortunarsi dopo il rientro. Queste preoccupazioni possono portare a sentimenti di frustrazione e depressione. La visualizzazione e l’imagery aiutano l’atleta a mantenere una connessione mentale con lo sport, permettendogli di continuare ad allenare la mente e a immaginare di essere sul campo mantenendo alto il senso di autoefficacia come fattore protettivo rispetto a pensieri negativi.

Durante il recupero da un infortunio, inoltre, l’atleta può sentirsi distaccato dal proprio corpo, soprattutto se è costretto a ridurre o interrompere l’attività fisica. La visualizzazione e l’imagery, permettono di “allenare” il corpo anche a livello mentale. L’atleta può immaginare di eseguire i movimenti corretti, attivando il sistema neuromuscolare e mantenendo la memoria motoria attiva. Questo aiuta a mantenere la consapevolezza delle proprie capacità fisiche e prepara il corpo per un ritorno graduale all’attività. Studi scientifici hanno dimostrato che la visualizzazione e l’imagery possano stimolare il recupero fisico, in particolare per quanto riguarda la guarigione muscolare e il recupero funzionale, sebbene non possano sostituire il trattamento fisico, queste tecniche riescono a supportare il processo di guarigione attivando la mente e creando stimoli positivi per il corpo. L’immaginazione di sè stessi mentre si eseguono correttamente i movimenti può accelerare la riabilitazione e migliorare l’efficacia degli esercizi fisici che si svolgono durante la fase di recupero.

Il dolore fisico che accompagna un infortunio può anche avere un impatto psicologico significativo, aumentando ansia e frustrazione. L’imagery è una tecnica efficace per affrontare il dolore, poiché aiuta l’atleta a concentrarsi su immagini positive e rilassanti, riducendo la percezione del dolore, lo stress e l’ansia associati al recupero, permettendo una gestione più serena dell’esperienza. Durante un infortunio, inoltre, la fiducia in se stessi può diminuire. La visualizzazione e l’imagery consentono all’atleta di riprendersi mentalmente, migliorando la fiducia nelle proprie capacità, rafforzando la motivazione e il desiderio di continuare a lavorare verso il recupero facendo rivivere momenti in cui esso stesso è stato altamente prestazionale ricordandogli quelle sue risorse.

La mente gioca un ruolo fondamentale nel processo di guarigione, dunque utilizzando la visualizzazione e l’imagery, gli atleti possono sfruttare appieno le potenzialità per tollerare le difficoltà fisiche e superare le fragilità psicologiche associate.

 

Chiara Feno

La differenza tra un atleta che sogna e un campione che vince: il ruolo fondamentale della mentalità nello sport

La differenza tra un atleta di successo e un campione non risiede solamente nelle sue capacità fisiche, ma nella sua preparazione mentale. Ad esempio, secondo uno studio di Weinberg e Gould (2015), le capacità psicologiche, come la gestione dello stress, la concentrazione e la resilienza, sono determinanti nel raggiungimento dell’eccellenza sportiva.

Gli atleti che si concentrano non solo sul miglioramento fisico, ma anche sul potenziamento delle proprie abilità mentali, sono più predisposti a gestire la pressione e a performare al massimo livello. Come affermato da Anderson e Williams (1999), “la mente è il muscolo più potente di un atleta”, suggerendo che la preparazione mentale è tanto fondamentale quanto quella fisica per ottenere risultati di alto livello.

Non solo muscoli, tecnica e resistenza fisica. Al contrario, il vero successo nello sport si costruisce spesso in modo silenzioso e nascosto, lavorando su qualcosa che va oltre l’allenamento tradizionale: la mentalità. La forza mentale è ciò che distingue un atleta di talento da un campione, ed è anche quella che permette di superare gli ostacoli e mantenere una performance costante anche nei momenti di difficoltà.

Sport Mindset Agency crede fermamente che l’aspetto mentale sia un fattore fondamentale, tanto quanto la preparazione fisica, per raggiungere l’eccellenza nello sport. Allenarsi mentalmente non significa solo affrontare l’ansia pre-gara o la pressione durante le competizioni, ma anche saper gestire la frustrazione, la delusione e le difficoltà psicologiche che inevitabilmente si presentano nel percorso di un atleta.

L’allenamento mentale aiuta a sviluppare quella resilienza che consente a un atleta di rimanere concentrato anche sotto pressione. Come ha sottolineato Simone Biles, una delle ginnaste più talentuose e vincenti di tutti i tempi, “il mio corpo può fare quello che voglio, ma è la mia mente che mi permette di fare quello che non pensavo fosse possibile”. La capacità di controllare i pensieri, le emozioni e l’atteggiamento è ciò che permette a un atleta di fare la differenza. Non solo durante la gara, ma anche nei periodi di difficoltà, quando le sfide personali sembrano sovrastare quelle professionali.

Per esempio, gli atleti di sport individuali, come il tennis o il golf, spesso si trovano a dover affrontare non solo gli avversari, ma anche un’intensa battaglia psicologica con se stessi. La solitudine delle lunghe ore di allenamento, l’incertezza di ogni match, il peso di una sconfitta…tutti fattori che possono influire negativamente sulla motivazione e sulla fiducia. Qui entra in gioco l’importanza di avere una solida rete di professionisti, per curare non solo aspetti fisici ma anche mentali. Allenatori, fisioterapisti, psicologi dello sport sono figure essenziali per affrontare i momenti di difficoltà.

In Sport Mindset Agency, ogni atleta è accompagnato in un percorso mentale che lo aiuti a rafforzare il proprio “mindset” attraverso strategie personalizzate, che includono anche tecniche di rilassamento, concentrazione e gestione delle emozioni.

Non importa se la sfida è un match importante, un periodo di risultati deludenti o un momento di stress nella vita quotidiana. L’obiettivo è imparare a vivere ogni difficoltà come un’opportunità di crescita. Questo è stato evidenziato anche da Gould e Udry (1994), che affermano che gli atleti che riescono a “trasformare le difficoltà in opportunità” sono quelli che più frequentemente raggiungono il successo.

Il team di SMA è fermamente convinto che il percorso di crescita di un atleta debba essere prima personale poi sportivo. Per questo offriamo percorsi di mental training che aiutano gli atleti ad attraversare le loro paure, a gestire la tensione pre-gara, a sviluppare una resilienza psicologica che li rende pronti ad affrontare qualsiasi tipo di sfida. La mentalità vincente non si sviluppa in un giorno, ma è il frutto di un costante allenamento, proprio come il corpo. Solo quando un atleta riesce a sincronizzare la forza fisica con la forza mentale, potrà davvero esprimere il proprio potenziale al massimo. E, alla fine, questo è ciò che fa la differenza tra un atleta che sogna e un campione che vince.

Elena Uberti

Gestire la rabbia in campo (come salvare la tua racchetta e la tua concentrazione)

La rabbia è un’emozione potente, soprattutto sul campo da tennis. Quando arriva, ti prende alla gola, ti stringe il petto, ti fa vedere tutto rosso. Se non la sai gestire, rischi di perdere la partita prima ancora che finisca. Ti distrai, commetti errori evitabili e, alla fine, ti sfoghi nel modo più classico: distruggendo una racchetta.

Se esistesse un campionato mondiale di racchette rotte, il vincitore sarebbe senza dubbio Marat Safin, che ne ha frantumate più di 1000 in carriera. Ma non è certo l’unico. John McEnroe ha costruito una leggenda sulle sue sfuriate contro arbitri e avversari, Nick Kyrgios alterna giocate da fenomeno a esplosioni di rabbia incontrollabile, e Andrey Rublev è uno di quelli che più fa parlare di sé per il suo rapporto con la rabbia.

Rublev è un libro aperto: non nasconde nulla. Se qualcosa non va, lo vedi subito. Urla, sbraita, lancia la racchetta con una forza tale da voler rompere non solo la racchetta, ma anche la partita stessa. Ma non è stato un episodio isolato: in passato ha colpito la sua borsa con la racchetta, si è dato pugni sulla gamba, ha scagliato oggetti lontano per la frustrazione.
È un giocatore di cuore, ma anche di tanta tensione. E questi momenti ci fanno capire quanto sia difficile gestire le emozioni quando la pressione è altissima. Non è detto però che la rabbia sia sempre un problema. Se riesci a incanalarla nel modo giusto, può diventare il carburante che ti serve per rimanere in partita. Il punto è capire il confine tra “rabbia che ti carica” e “rabbia che ti fa perdere il controllo”. È una linea sottile: troppa frustrazione ti porta a prendere decisioni sbagliate, a deconcentrarti e a compromettere la tua prestazione. Ma se riesci a usarla nel modo giusto, può darti quell’energia in più per spingere ancora, per rimanere lucido nei momenti decisivi, per non mollare quando tutto sembra andare storto.

Il Legame tra Rabbia e Concentrazione

Molti pensano che la rabbia sia solo distruttiva, ma non è sempre così. In alcuni casi, può diventare una spinta positiva. Il segreto è riuscire a trasformarla in concentrazione. Guarda i grandi campioni: tutti, prima o poi, hanno avuto momenti di frustrazione, ma i migliori sanno come usarla a loro vantaggio.
Prendiamo Novak Djokovic. All’inizio della carriera, aveva seri problemi con la gestione emotiva. Si innervosiva facilmente, perdeva il controllo, buttava via partite già vinte. Poi, negli anni, ha sviluppato un autocontrollo incredibile grazie alla meditazione, alla respirazione e a tecniche di gestione dello stress. Oggi, quando si arrabbia, non lascia che la frustrazione lo travolga: la usa per restare focalizzato.
La rabbia diventa un problema quando prende il sopravvento sulla concentrazione. Se inizi a pensare all’errore che hai appena commesso, se ti lasci trascinare dall’ansia o dal nervosismo, perdi il filo del gioco.

Ci sono diversi modi per rimanere lucidi quando la tensione sale. La respirazione profonda, per esempio, aiuta a rallentare il battito cardiaco e a evitare reazioni impulsive. Quando senti che la rabbia sta salendo, fai un respiro lungo e profondo, inspira contando fino a quattro, trattieni per un secondo e poi espira lentamente. Semplice e altrettanto efficace. Anche il dialogo interno è fondamentale. Se ti ripeti “Sto giocando malissimo, non ne azzecco una”, la frustrazione aumenta. Se invece provi a sostituire quei pensieri con frasi più utili, come “Respiro, mi riprendo, avanti punto dopo punto”, hai molte più probabilità di rimanere concentrato.

Un altro trucco è rallentare il ritmo e gestire il tempo. Prenditi qualche secondo in più tra un punto e l’altro. Non farti trascinare dalla frenesia. Se sei al servizio, fai un respiro in più prima di lanciare la palla. Se sei in risposta, sgranchisci le spalle, scuoti le braccia, fai qualsiasi cosa per staccarti un attimo dalla tensione. Anche immaginare il tuo stato emotivo ideale aiuta: visualizza come vorresti sentirti in quel momento e prova a ricrearlo mentalmente.

Dai Modelli di Rabbia a Quelli di Controllo

Jannik Sinner è un esempio interessante. Di solito è uno che in campo rimane sempre composto, quasi impassibile. Ma anche lui ha avuto il suo momento di frustrazione. Con una solamente una racchetta rotta in carriera, in un torneo under 18, di certo non è tra i primi posti della classifica. La differenza rispetto ad altri? Subito dopo, si è pentito e ha dichiarato:
“Non voglio che questo sia il mio modo di sfogare la rabbia, devo migliorare la mia gestione emotiva.”

E poi c’è Rafael Nadal. Se c’è qualcuno che ha fatto della concentrazione un’arte, quello è lui. Guardarlo giocare è come assistere a un rituale perfetto: le bottiglie allineate sempre nello stesso modo, come si sistema i capelli prima di servire, i tempi precisi tra un punto e l’altro. Non sono solo gesti automatici: sono strategie per mantenere il controllo, per rimanere focalizzato, per non lasciare che la rabbia o la frustrazione prendano il sopravvento.

La Mentalità Vince Sempre

Gestire la rabbia non significa reprimerla, ma imparare a usarla nel modo giusto. Gli atleti più forti non sono quelli che non provano emozioni, ma quelli che sanno come riconoscerle e gestirle. Ogni partita è una battaglia mentale tanto quanto fisica.
La prossima volta che senti la frustrazione salire, fermati un attimo. Respira. Ricordati che la rabbia può essere un’arma a doppio taglio: se la lasci sfuggire di mano, ti affonda. Ma se impari a controllarla, può diventare la spinta che ti porta alla vittoria. E, alla fine, la vera differenza la fa sempre la testa.

Federico Cesati

Costruire relazioni positive nello sport: una risorsa per il benessere e il successo

Lo sport non è solo una questione di performance, record o trofei. È anche una dimensione profondamente umana, fatta di connessioni, emozioni e relazioni. Quando pensiamo a un team vincente o a un atleta di successo, è facile concentrarci sulla loro abilità tecnica o sulla loro forza mentale. Ma c’è un altro elemento, spesso invisibile, che gioca un ruolo cruciale: le relazioni positive nell’ambiente sportivo.

Avere un supporto sociale solido all’interno del proprio ambiente sportivo è fondamentale per affrontare le sfide, gestire la pressione e mantenere la motivazione. Non importa se si gioca in uno sport di squadra o individuale: sentirsi parte di una rete di relazioni positive può fare la differenza nei momenti difficili. Gli studi dimostrano che il supporto sociale può ridurre i livelli di stress e migliorare il benessere psicologico (Rees e Hardy, 2004).

Pensate a un team sportivo che celebra una vittoria insieme, condividendo gioia e senso di appartenenza. O immaginate un allenatore che offre parole di incoraggiamento nei momenti critici, o un compagno di squadra che ascolta e sostiene durante una fase di difficoltà personale. Questi gesti, apparentemente semplici, creano un terreno fertile per lo sviluppo della resilienza e della fiducia reciproca.

Diversi atleti professionisti hanno sottolineato l’importanza delle relazioni nel loro percorso di successo. Novak Djokovic, uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi, ha parlato in più occasioni del ruolo fondamentale della sua squadra nel gestire la pressione durante i tornei (Djokovic, 2019). Allo stesso modo, Michael Phelps, il nuotatore più decorato della storia olimpica, ha attribuito il suo successo non solo al talento e all’impegno, ma anche al supporto ricevuto dai suoi allenatori e dai suoi compagni di squadra, specialmente nei momenti di difficoltà emotiva (Phelps, 2016).

Creare un ambiente sportivo positivo richiede intenzionalità e impegno da parte di tutti i membri. Ecco qualche tattica che può essere d’aiuto:

Comunicare, aprirsi. La comunicazione è la base di qualsiasi relazione. Parlare apertamente delle proprie esigenze, aspettative e difficoltà favorisce la comprensione reciproca.
Ascoltare attivamente. Mettersi nei panni dell’altro e ascoltare senza giudizio aiuta a creare un clima di fiducia.
Dare supporto, esserci. Essere presenti nei momenti importanti, sia in campo che fuori, rafforza il senso di comunità.
Celebrare i piccoli passi. Festeggiare insieme le vittorie, grandi o piccole, crea un legame più forte e rafforza la motivazione.
Vivere bene i conflitti: I conflitti sono inevitabili, ma starci in modo costruttivo può trasformarli in opportunità di crescita.

Con l’aiuto di uno psicologo dello sport, questi aspetti possono essere valorizzati, allenati e costruiti con successo nel tempo. Lo psicologo dello sport può offrire strumenti e strategie per migliorare la comunicazione, gestire i conflitti e rafforzare il senso di appartenenza all’interno di un team. Inoltre, aiuta gli atleti a sviluppare competenze emotive come l’empatia e la resilienza, creando un ambiente che favorisce il benessere e la performance. Attraverso percorsi personalizzati, gli psicologi dello sport lavorano per potenziare le relazioni interpersonali e per rendere gli atleti più consapevoli dell’importanza del supporto reciproco, favorendo un clima positivo e costruttivo.

Uno studio condotto da Jowett e Cockerill (2003) ha evidenziato che le relazioni di alta qualità tra atleti e allenatori sono associate a livelli superiori di soddisfazione, impegno e performance. Inoltre, un ambiente positivo riduce il rischio di burnout, un problema sempre più comune tra gli atleti a tutti i livelli. Creare relazioni solide non è solo una questione di benessere personale. Questi legami possono influenzare anche la performance sportiva. Un atleta che si sente sostenuto è più propenso a superare le difficoltà, a gestire la pressione e a mantenere alta la motivazione nel lungo termine.

L’importanza delle relazioni positive nello sport va oltre il mondo competitivo. Che siate atleti amatoriali, allenatori, genitori o semplici appassionati di sport, investire nelle relazioni può migliorare la qualità della vostra esperienza. Lo sport è, in fondo, una metafora della vita. E proprio come nella vita, le relazioni sono il cuore pulsante di ogni successo.

Per cui, se posso darvi un suggerimento, vi invito a sperimentarvi nel coltivare relazioni positive nel vostro ambiente sportivo. Siate presenti, ascoltate, sostenete e celebrate. Non solo migliorerete la vostra esperienza sportiva, ma contribuirete anche a creare una comunità più forte e resiliente.

 

Sandro Anfuso

LA MEMORIA DEL CORPO: oltre il genere e le etichette

Lo sport viene spesso filtrato attraverso la lente di un genere che ne definisce, o più precisamente, ne limita l’essenza.

Quando pensiamo al calcio, ad esempio, il calcio, quello “vero” è quello maschile. Quello femminile, invece, ha bisogno dell’aggettivo per essere riconosciuto, come se fosse una versione derivata, una copia sbiadita di ciò che è considerato autentico.

Un pò come la vecchia storia della costola di Adamo.

Eppure, come suggerisce Judith Butler, le identità di genere non sono solo il risultato di un discorso, ma sono qualcosa che viene performato. Una performance che si ripete per secoli e che, se reiterata abbastanza a lungo, diventa quasi inconscia, un automatismo.

Ricordo una mia amica che da bambina amava giocare a calcio. Per gli adulti che la circondavano, questa passione appariva come una peculiarità da giustificare. Particolarità che si spiegava con un semplice: «Suo padre voleva un maschio, e ha proiettato sulla figlia quel desiderio».

Eppure, questa spiegazione non fa altro che consolidare l’idea che una donna che si allontana dai ruoli di genere predefiniti debba essere vista come un’anomalia. Le aspettative sociali, legate al ruolo che il genere impone, non solo influenzano la nostra percezione di noi stessi e degli altri, ma costruiscono e limitano anche le nostre possibilità di esprimere chi siamo veramente. Questo continuo doversi adattare ai modelli imposti è, per molti, un vero e proprio ostacolo alla realizzazione piena del sé.

Il corpo dell’atleta è un luogo di costruzione identitaria, un canovaccio su cui si scrivono, o meglio, si scolpiscono i segni della cultura e della biologia, una trama che intreccia il mondo esterno con quello interno. Lo sport non è solo allenamento e performance, ma un mezzo attraverso cui costruiamo la nostra identità.

A volte, mi capita di posare lo sguardo su cicatrici che parlano di cadute in bici o di ruzzoloni in montagna. Si accende un ricordo. Ma mi rendo conto che un corpo non basterebbe per accogliere i segni di tutto quel movimento, di tutto quel vivere: la maggior parte delle memorie del corpo sfuggono alla mente, e questa fallacia mi irrita.

E, forse, è proprio nel corpo che risiede la vera memoria di noi stessi, quella che va oltre le convenzioni e i giudizi, quella che ci parla più chiaramente di chi siamo e di cosa siamo capaci di fare, perché viviamo con il nostro corpo molto più di quanto la memoria ricordi.

 

Giada Cananzi

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