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Perfezionismo e Mentalità vincente: una riflessione tra limiti e opportunità

Il perfezionismo, spesso considerato una virtù, può trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Esigere standard elevati e sforzarsi di raggiungerli può stimolare la crescita personale, ma quando questi obiettivi diventano irrealistici o radicati nel timore del fallimento, si rischia di cadere in un circolo vizioso di ansia e insoddisfazione.

La distinzione tra perfezionismo sano e perfezionismo disfunzionale, descritta da Hamacheck (1978), evidenzia come solo il primo consenta di accettare l’errore come parte del processo di apprendimento. Il perfezionismo sano, infatti, si manifesta come una ricerca dell’eccellenza che motiva a migliorarsi continuamente, senza che l’errore diventi una minaccia per la propria autostima. Chi abbraccia questo approccio vede nei fallimenti momenti di riflessione e crescita, piuttosto che ostacoli insormontabili.

Il perfezionismo disfunzionale, invece, è alimentato dalla paura costante di sbagliare e dall’esigenza di dimostrare il proprio valore attraverso risultati impeccabili. In questo stato mentale rigido, l’errore è vissuto come un fallimento assoluto, capace di innescare ansia e autocritiche severe. Si entra così in una logica “tutto o niente”, dove ogni risultato è considerato un successo completo o un disastro totale, impedendo di trarre soddisfazione anche dai traguardi raggiunti.

Questo stesso concetto, ad esempio, è centrale nella Mamba Mentality di Kobe Bryant.

Il leggendario cestista ha incarnato l’idea di focalizzarsi sull’obiettivo presente, vivendo ogni sfida come un’opportunità per superare i propri limiti. Per Kobe lavorare duramente significava studiare ossessivamente i dettagli, trasformando ogni errore in una lezione per perfezionare la propria strategia. Questa mentalità, che si spinge oltre il concetto di motivazione, invita a dedicarsi completamente al proprio percorso, senza paura di affrontare fallimenti come parte del processo.

Riconoscere i rischi del perfezionismo disfunzionale, come il pensiero dicotomico “successo o fallimento”, è fondamentale per evitare un blocco emotivo e una svalutazione di sé. Al contrario, adottare una visione orientata al miglioramento continuo, accogliendo il fallimento come spinta al cambiamento, può trasformare il perfezionismo in una risorsa potente.

 

E tu, come vivi il rapporto con gli errori e le aspettative? Forse è il momento di fermarti un istante e chiederti: gli standard che ti poni alimentano la tua crescita o ti imprigionano nella paura di non essere all’altezza? Accogliere una mentalità che valorizzi il processo, e non solo i risultati, significa trasformare ogni passo, anche quelli incerti, in un’opportunità per migliorare.

Abbracciare gli errori significa accettare che la strada verso l’eccellenza passa attraverso la capacità di sperimentare, sbagliare e rialzarsi più forti. Per questo, è fondamentale dotarsi di strategie che aiutino a vivere il perfezionismo in modo costruttivo, ad esempio:

  1. Ridefinisci l’errore: inizia a considerarlo come parte integrante dell’apprendimento. Chiediti: “Cosa posso imparare da questa esperienza?” anziché concentrarti solo su ciò che non è andato come previsto.
  2. Focalizzati sul progresso, non sulla perfezione: annota i miglioramenti raggiunti, anche se piccoli, e celebra i tuoi passi avanti, invece di aspettarti sempre risultati impeccabili.
  3. Stabilisci obiettivi realistici: suddividi i tuoi traguardi in obiettivi più piccoli e raggiungibili, per evitare la pressione di dover eccellere subito in tutto.
  4. Allenati alla flessibilità mentale: lavora per ridurre il pensiero “tutto o niente”. Impara a valutare i tuoi risultati su una scala di gradazioni, apprezzando i successi parziali.
  5. Crea uno spazio sicuro per l’autocritica costruttiva: quando valuti le tue prestazioni, fallo con gentilezza. Concentrati su ciò che hai fatto bene e su cosa puoi migliorare senza svalutarti.
  6. Circondati di supporto positivo: coltiva relazioni con persone che sostengano la tua crescita senza giudicarti, ma che siano pronte a darti un feedback costruttivo.
  7. Sperimenta senza paura del giudizio: datti il permesso di provare, anche quando il successo non è garantito. L’apertura all’esperienza è un potente alleato per superare le barriere del perfezionismo disfunzionale.

Inizia oggi con un piccolo passo: scegli un’attività che ti mette alla prova, anche se temi di non riuscire farla perfettamente. Affrontala con curiosità, vedendola come un’occasione per imparare e scoprire nuove possibilità. Lascia che ogni errore diventi una tappa del tuo percorso di crescita e osserva come cambia il tuo modo di vivere l’imperfezione.

Buon allenamento!

Federica Cominelli

Allenamento VS Partita : il focus sul presente

Certi giorni in allenamento mi sento imbattibile: a volte penso che il mio diritto lungolinea sia quasi sempre un vincente, il mio servizio piatto alla “T” sia forte e preciso, riesco a tenere la diagonale senza perdere campo. Ma in partita tutto cambia.

Le mie gambe diventano pesanti, il mio braccio rigido, e mi trovo a commettere errori banali, soprattutto davanti alla rete.

Non riesco a capacitarmene ed è così frustrante: se in allenamento funziona tutto, perché in partita sembrava che non sappia più giocare? Che senso ha iscrivermi ai tornei se poi gioco così male?

Un giorno, dopo aver brevemente raccontato il match al mio allenatore, mi guarda e mi dice: ‘Guarda che non è questione di tecnica o di tattica, è solo la tua testa. Sei troppo concentrato sull’idea di vincere e inizi a giocare tutto corto, così perdi campo.’

Questa esperienza è comune a moltissimi atleti e in uno sport come il tennis, dove l’aspetto mentale gioca un ruolo cruciale nelle pause tra un punto e l’altro, è estremamente evidente.

La differenza tra allenamento e partita non è né tecnica né tattica: è soprattutto psicologica. E spesso, è proprio la pressione (interna o esterna) a trasformare le migliori capacità in un’ombra di ciò che si è quando ci si allena.

Allenamento: uno spazio di libertà

In allenamento, tutto appare più semplice. Non ci sono giudici, spettatori o avversari pronti a notare o sfruttare ogni tuo errore. L’attenzione è rivolta al miglioramento: sbagliare fa parte del processo. Il tennista può lavorare su un colpo per ore, correggendo piccoli dettagli senza paura delle conseguenze. Il focus è sul presente, sull’azione in sé, senza l’ansia del risultato.

Per esempio, un giocatore che vuole migliorare il dritto si può concentrare esclusivamente sul movimento biomeccanico, provando diverse variazioni tecniche. Non c’è urgenza: ogni errore è solo un’opportunità per apprendere. Questo approccio permette di esprimere il massimo potenziale in un ambiente privo di giudizio, un lusso che la partita non concede.

La partita: quando la pressione si fa sentire

In partita, però, tutto cambia. L’allenamento lascia spazio alla competizione, e con essa arrivano le aspettative. Aspettative che ci s mette addosso da soli, o che si percepiscono dall’esterno: il desiderio di vincere, la paura di deludere il coach, i compagni o sé stessi.

Nel tennis, basta un semplice errore per cambiare il corso del match. Sbagliare un colpo che in allenamento va alla perfezione può generare un vortice di pensieri negativi: “Non dovevo sbagliare”, “Adesso perdo il set”, “Giocando così male, di sicuro perdo. Questo dialogo interno, spesso inconsapevole, aumenta il livello di tensione e impedisce al corpo di agire in modo fluido. I muscoli si irrigidiscono, i movimenti perdono naturalezza, e ciò che in allenamento sembrava facile diventa improvvisamente complicato.

Quando ci si lascia sopraffare da questi pensieri, il gioco ne risente. Non è raro vedere giocatori incapaci di esprimersi al meglio nei momenti decisivi, proprio perché la pressione li porta fuori dal loro stato ottimale.

Come allenare la mente per la partita

La buona notizia è che, così come si allena il corpo, si può allenare anche la mente.

Ecco alcune strategie utili che vengono insegnate in un percorso di preparazione mentale:

1.​Simulare la pressione in allenamento: inserire esercizi che riproducono la tensione della partita, come giocare tie-break sotto pressione aiuta ad abituarsi a gestire lo stress.

2.​Lavorare sul FOCUS: tecniche come la respirazione diaframmatica possono aiutare a mantenere il focus sul presente. Un esempio pratico: concentrarsi sul respiro tra un punto e l’altro, o utilizzare la visualizzazione prima di eseguire un colpo.

3.​Gestire le aspettative: smettere di pensare al risultato e focalizzarsi sulla tattica, anziché sul punteggio, permette di ritrovare la fluidità.

Dal campo di allenamento alla competizione

In definitiva, la differenza tra allenamento e partita non è una questione di abilità tecnica, ma di mentalità. Capire come la pressione influenza il gioco è il primo passo per trasformarla in una risorsa, invece che in un ostacolo. Perché, alla fine, il segreto non è solo saper colpire bene una pallina (moltissimi giocatori lo sanno fare molto bene), ma farlo anche quando conta davvero. E questa è una sfida che si vince dentro di sé, prima ancora che in un match di torneo.

 

Elena Uberti

La bussola del successo

Era la mia prima stagione come giocatore di basket in una squadra semi- professionistica. Mi allenavo tutti i giorni, seguivo il programma del coach, ma dentro di me c’era una sensazione strana, come se non bastasse. Non avevo un obiettivo chiaro: non sapevo se stavo lavorando per migliorare il mio tiro, la velocità, o per diventare un giocatore più completo. Ero solo concentrato a ‘fare tutto’, ma senza una direzione precisa. Dopo qualche mese, mi sono ritrovato frustrato e, peggio ancora, stanco mentalmente. È stato in quel momento che ho capito: senza una meta definita, stavo sprecando le mie energie e il mio potenziale.

Questa sensazione di smarrimento è comune a molti atleti, indipendentemente dal livello o dallo sport praticato. Che si tratti di basket, corsa, nuoto o qualsiasi altra disciplina, la mancanza di obiettivi chiari può portarci a vivere il nostro impegno come un viaggio senza destinazione. Ed è proprio qui che entra in gioco il GOAL SETTING, uno strumento essenziale per dare direzione e significato al nostro percorso.

Definire gli obiettivi cambia tutto.

Stabilire degli obiettivi significa dare un significato concreto al nostro impegno. Avere una meta, anche piccola, ci aiuta a sapere dove stiamo andando: quando abbiamo un obiettivo preciso, ogni allenamento, ogni sacrificio diventa un passo avanti verso qualcosa di tangibile. È come avere una BUSSOLA: magari il viaggio è lungo, ma sai di essere sulla strada giusta. Nei momenti in cui la fatica si fa sentire, quando i risultati sembrano lontani, gli obiettivi ci ricordano perché abbiamo iniziato. Sono il nostro punto di riferimento, la base a cui tornare quando tutto sembra confuso. Infine, definire gli obiettivi ci orienta a riconoscere il progresso: senza obiettivi, rischiamo di ignorare i piccoli successi quotidiani. Eppure, ogni miglioramento, per quanto piccolo, è una conquista che merita di essere celebrata, ogni volta.

Nutrirsi di soddisfazioni è essenziale.

La capacità di apprezzare il viaggio, non solo la destinazione ci dà grande forza. Quando abbiamo obiettivi chiari, possiamo dividerli in tappe intermedie, ognuna delle quali rappresenta un motivo per sentirci soddisfatti e motivati. Pensaci: quanto è diverso dire “voglio migliorare nella corsa” rispetto a “voglio abbassare di 5 minuti il mio tempo sui 10 km in tre mesi”. Il secondo obiettivo è concreto, misurabile, e ci permette di celebrare ogni piccolo passo avanti. Ogni miglioramento diventa una ricarica di energia, una conferma che il nostro impegno sta dando frutti.

Il goal setting è molto più di una strategia: è un alleato.

Ci aiuta a restare concentrati, a sentirci in movimento, e a dare un senso profondo al nostro lavoro. Non importa quanto lontano sia il traguardo finale: ciò che conta è sapere che stiamo avanzando, passo dopo passo. Perché in fondo, ogni successo nasce da una serie di piccoli passi, ciascuno più significativo di quanto immaginiamo. Ogni obiettivo raggiunto, anche il più piccolo, ci ricorda che siamo capaci di andare avanti. E questa consapevolezza, da sola, è la forza più grande che possiamo avere.

Sandro Anfuso

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