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Competizione e trasferta: routine mentali da allenare

Quando partiamo per un torneo all’estero, so che non sarà solo un torneo qualsiasi. È una partedi stagione che vivo con il mio gruppo di allenamento: quelli con cui ho condiviso i lunghi mesi di preparazione, le sessioni più faticose, le pause tra una sessione e l’altra e le risate in palestra.
Arriviamo insieme, ci sistemiamo in appartamento, facciamo la spesa, cuciniamo insieme, usciamo dopo cena. Ma poi, ad un certo punto, arriva quel momento: il pre-partita. E lì è il momento più importante per entrare in partita focalizzati
.

Questa è la voce di molti atleti che seguiamo e che vivono le trasferte come un equilibrio delicato tra esperienza collettiva e centratura personale.
Quando si è lontani da casa, la routine cambia, e il rischio è che la performance ne risenta. Ma è proprio in questi contesti che la preparazione mentale fa la differenza.

Fuori dal campo: il tempo che conta davvero

La vita in trasferta non è fatta solo di match. Anzi, il grosso del tempo si passa fuori dal campo. I momenti tra un allenamento e l’altro, le attese per il proprio turno di gioco, i pasti, le camminate post-cena, le chiacchierate in camera e nei viaggi.
Sono questi i momenti che fanno da sfondo emotivo al torneo: se vengono vissuti bene, l’atleta arriva in campo con una carica diversa, più stabile, più “centrata”.

Per questo aiutiamo gli atleti a strutturare delle routine anche fuori dalla competizione:
– spazi per il riposo e la rigenerazione,
– strategie per stare bene nel gruppo senza farsi travolgere,
tecniche mentali per ritrovare la propria energia.

Non serve “essere perfettamente in forma”. Serve sentirsi al proprio posto, nel proprio equilibrio.

Dentro il campo: una routine mentale allenata

Quando si avvicina il match, la tensione aumenta. Gli stimoli esterni diventano rumore, i pensieri iniziano ad affollarsi.
È in quei minuti che entra in gioco la routine pre-gara, costruita nei mesi precedenti con lo psicologo dello sport.

Ogni atleta ha la sua: c’è chi ascolta musica con le cuffie, chi si isola per respirare e visualizzare, chi scrive un obiettivo su un foglio e se lo tiene nel borsone per leggerlo in un momento cruciale.
Non è improvvisazione. È allenamento mentale. E funziona perché è stata preparata, provata e modificata, più e più volte.

Anziché entrare in campo in balia del battito a mille e dei pensieri che corrono, l’atleta entra con un obiettivo chiaro. Che non è Devo vincere”. Ma, ad esempio, tenere lo sguardo sulle corde tra un punto e l’altro, pianifico il 15 successivo o ripetere la propria routine tra un punto e l’altro.
Obiettivi concreti, allenabili, sotto controllo cosciente.

Più dei risultati e dei ranking: costruire memorie

Quando lavoriamo con un atleta a prepararsi mentalmente per una trasferta, non lo facciamo solo per i punti che può conquistare in questa trasferta.
Lo facciamo per contribuire a generare esperienze positive, che lascino un segno positivo anche in termini di auto efficacia.Quel giorno ho perso, sono comunque riuscito a lottare fino all fine“, “Lì ho capito che ero davvero cresciuto”.

La preparazione mentale non serve per aumentare la probabilità di risultati. Serve per vivere meglio, anche in contesti sfidanti, anche lontano da casa.
E alla fine, sono proprio quei ricordi che restano. E che fanno dell’atleta una persona più forte, dentro e fuori dal campo.

Elena Uberti
Sport Mindset Agency

Dall’Italia alla Florida: come il tennis e la psicologia dello sport cambiano la vita

Il racconto di una collega che lavora in SMA rispetto alla propria esperienza personale:

“Trasferirsi negli Stati Uniti da sola a soli 18 anni è stata un’esperienza unica e indescrivibile.
La decisione di intraprendere questo grande cambiamento è nata dalla mia passione per il tennis, che mi ha spinta a far parte di una squadra universitaria americana, unendo così sport e studio all’interno di un contesto internazionale e stimolante.

Il cambiamento è una sfida mentale

Il mio viaggio è cominciato a Milano e mi ha portata fino a Tampa, in Florida. Fin dai primi giorni ho notato numerose differenze tra la vita in Italia e quella negli Stati Uniti: lo stile di vita, la lingua, il clima e, soprattutto, il sistema universitario. Le università americane si distinguono da quelle italiane per il metodo di studio, l’attenzione allo sport e il supporto fornito agli studenti-atleti, che spesso vengono considerati prioritari.

All’inizio, affrontare un cambiamento così radicale non è stato semplice. Mi sono trovata a gestire incertezze, ansia e una forte nostalgia di casa. Per superare queste difficoltà, avevo bisogno di allenare la mia mente; ho lavorato sulla costruzione di una routine e su obiettivi personali che mi aiutassero a trovare un equilibrio emotivo e a mantenere alta la motivazione.

Giornate intense e allenamento mentale

Le mie giornate erano (e sono tuttora) molto intense: trascorro diverse ore ad allenarmi in campo o in palestra, frequento corsi di formazione, e mi dedico allo studio o passo il tempo libero con gli amici. Questo stile di vita, seppur gratificante, può risultare faticoso sia a livello fisico che mentale. Per affrontarlo in modo sano ed equilibrato, ho imparato a utilizzare tecniche di concentrazione che mi aiutano a focalizzarmi in momenti specifici — come lo studio, gli allenamenti o le competizioni — e tecniche di rilassamento utili per gestire situazioni stressanti, siano esse accademiche o sportive.

Sport, studio e benessere

Le università americane offrono inoltre un ampio supporto agli studenti: sono disponibili tutor, academic advisors e terapisti, che possono aiutare a gestire lo stress, l’ansia o anche semplicemente a fare chiarezza sul percorso da intraprendere, sia a livello accademico che professionale e sportivo. La vita universitaria negli Stati Uniti non ruota solo intorno allo studio e allo sport: è fortemente caratterizzata anche da una ricca vita sociale. All’interno della squadra si creano legami profondi, grazie alla condivisione della stessa passione per il tennis. Ma anche al di fuori del campo è possibile stringere amicizie: in aula, durante i lavori di gruppo o partecipando agli eventi organizzati dal college. Le università americane promuovono infatti numerose attività sociali e culturali — dalle “game nights” alle “movie nights”, fino a eventi di beneficenza — che offrono agli studenti la possibilità di conoscere persone nuove e aprirsi a culture differenti.

 

Il ruolo di SMA nel percorso degli student-athletes

Affrontare un cambiamento di tale portata può certamente essere difficile all’inizio, soprattutto per via delle barriere linguistiche, culturali e della lontananza da casa. SMA lavora con atleti proprio in questi momenti chiave, prima della partenza, durante l’adattamento e nel percorso del college. Il supporto dato agli atleti consiste in:

  • Costruire routine mentali efficaci per mantenere un equilibrio tra sport, studio e vita sociale;
  • Gestire lo stress e ansie delle competizioni, esami, e del cambiamento in generale;
  • Sviluppare concentrazione e motivazione, che possono essere utili in momenti di difficoltà, ma anche in ogni attività quotidiana;
  • Affrontare un possibile calo motivazionale e solitudine dovuta alla distanza da casa o ai cambiamenti;
  • Coltivare una mentalità di crescita, che possa servire sia nello sport che nella parte accademica e professionale.

Un’esperienza che cambia

Studiare e giocare negli Stati Uniti è un’esperienza incredibilmente arricchente, che permette di crescere sotto ogni punto di vista: accademico, professionale, sportivo e personale. Più di ogni altra cosa, apre molte porte per il futuro, offrendo opportunità che raramente si presentano restando nella propria zona di comfort. Ma per viverla appieno, è importante essere preparati fisicamente e mentalmente. SMA supporta gli studenti-atleti nel loro percorso, aiutandoli ad affrontare momenti difficili, vivendoli come sfide ed occasione. L’obiettivo è di migliorare la performance, ma soprattutto di promuovere il benessere completo, fuori e dentro dal campo.


Elena Uberti

Co-Fondatrice di SMA 

Costruire la resilienza un passo alla volta

Nel mondo dello sport, pochi ambiti offrono una finestra così potente sulla resilienza umana quanto le competizioni di ultra-resistenza. Parliamo di eventi che spingono corpo e mente ben oltre i confini della fatica: lo Spartathlon in Grecia richiede agli atleti di correre l’equivalente di 6 maratone in 36 ore; la Terra Australis Bike Epic è una competizione di circa 6000km che porta i ciclisti lungo l’intera costa orientale del continente; i concorrenti dell’Iditarod Trail Invitational è un’ultra maratona che dura fino a 30 giorni in Alaska, e numerosi altri eventi per il mondo.

Negli ultimi decenni, la partecipazione a questi eventi è aumentata esponenzialmente: solo in Nord America, il numero di persone che hanno completato un’ultra maratona è passato da 650 nel 1980 a oltre 79.000 nel 2017 (1). Ma cosa spinge sempre più atleti verso queste sfide estreme? E, soprattutto, cosa ci insegnano sull’essere umani?

Abitare la fatica

Robin Harvie, in The Lure of Long Distances, ricorda che il termine “atleta” deriva dal greco antico e significa “colui che lotta, che soffre”. Per molti ultra-atleti, la sofferenza non è un ostacolo, ma un elemento da esplorare: un’occasione per interrogarsi sul proprio senso di esistere, sulle proprie risorse mentali, sulla relazione tra dolore e il suo significato. In queste gare, resistere significa spesso procedere un passo alla volta, in un contesto dove gioia e fatica coesistono. È proprio questa convivenza, a tratti paradossale, che alimenta la motivazione profonda e permette agli esseri imani di sopportare ciò che è apparentemente insopportabile. La sensazione che “la gara non finisca mai” è comune tra chi affronta lunghi eventi di endurance. Questa distorsione del tempo somiglia a quella vissuta da chi vive momenti di profonda sofferenza psicologica: un’esperienza sospesa, dilatata, in cui ogni minuto sembra interminabile (2).
Allenarsi alla fatica significa anche sviluppare strategie cognitive e mentali per “stare dentro” queste sensazioni, senza esserne sopraffatti. L’ambiente gioca un ruolo chiave: la natura, i paesaggi, la luce dell’alba o un cielo stellato diventano risorse mentali. Emozioni di trascendenza collocano il dolore e la fatica in un contesto diverso (3). Sperimentare uno stato di elevazione in un momento di profondo sfinimento ricorda che lampi di pura felicità possono sorprenderti anche quando le cose sembrano più desolate.

La chimica della resilienza

Nel 2015, durante la Yukon Arctic Ultra, gli scienziati del Center for Space Medicine and Extreme Environments di Berlino (4) analizzarono il sangue degli atleti: rilevarono livelli altissimi di irisina, un ormone prodotto durante l’attività fisica. Oltre a facilitare il metabolismo dei grassi, l’irisina agisce sul cervello stimolando il sistema della ricompensa e migliorando l’umore. Questo ormone, come altre miochine, proteine rilasciate dai muscoli durante l’esercizio, dimostra che il movimento non agisce solo sul corpo, ma anche sulla mente. Ogni passo, ogni contrazione muscolare, invia segnali biochimici al cervello, rafforzando la resilienza (5). E non serve attraversare l’Artico per beneficiarne: ogni attività fisica, se svolta con regolarità, stimola questi processi.

Il triangolo corpo, mente e relazione

Nonostante l’apparente individualità delle gare di ultra-endurance, nessuno sente di essere completamente da solo: molti atleti si sentono rincuorati semplicemente sapendo che ci sono altri partecipanti anch’essi là fuori, da qualche parte, di fronte ai propri demoni. L’idea che “non sei l’unico” ad affrontare quella sfida, fisica e mentale, diventa una fonte potente di sostegno emotivo (6).
Il dolore condiviso crea legami profondi. Studi antropologici dimostrano che le esperienze difficili vissute collettivamente generano coesione: diventiamo “famiglia” nei momenti in cui siamo vulnerabili, non in quelli in cui sembriamo invincibili (7). L’ultra-endurance è un laboratorio per comprendere come il corpo, la mente e le relazioni si intrecciano nella gestione della fatica. Saper tollerare la difficoltà, accettare la vulnerabilità e cercare il significato anche nella sofferenza sono abilità che ogni atleta, e ogni persona, può allenare. Non necessariamente su un sentiero ghiacciato in Alaska, ma ogni giorno, nella propria routine (8).

Le esperienze degli atleti di ultra-endurance ci insegnano che la resilienza non nasce solo dal talento o dalla forza fisica, ma da una pratica costante: quella di abitare la fatica e restare presenti nel discomfort. Che tu stia affrontando una gara estrema o una sfida personale nella vita quotidiana, i meccanismi sono sorprendentemente simili: si va avanti un passo alla volta, si impara a convivere con l’incertezza e si costruisce la propria forza mentale anche grazie alla connessione con gli altri.

Referenze

1. http://realendurance.com/summary.php

2. Doloress A. Christensen (2017), “Over the mountains and through the woods; Psychological processes of ultramarathon runners”, Spingfield College

3. Karen Weekes (2004), “Cognitive coping strategies and motivational profiles of ultra- endurance athletes”, Dublin City University.

4. Robert H. Coker et al. (2017), “Metabolic responses to the Yukon Arctic Ultra: Longest and coldest in the world”, Medicine and Science in Sport and Exercise, 49 (2), 357-362.

5. Judit Zsuga et al. (2016), “FNDC5/irisin, a molecular target for boosting reward related learning motivation”, Medical Hypothesis, 90, 23-28.

6. 7. “Over the mountains and through the woods”, Christensen. Dimitris Xygalatas (2014), “The biosocial basis of collective effervescence an experimental anthropological study of a fire-walking ritual”, Fieldwork in Religion, 9 (1), 53-67.

8. Doug Anderson (2001), “Recovering humanity: Movement, sport, and nature”, Journal of the Philosophy of Sport, 28 (2), 140-150.

 

Giada Cananzi

Parole che potenziano – Parte 2: La comunicazione che costruisce team e identità

Se nella prima parte abbiamo esplorato il self-talk come motore interno della prestazione, ora ci concentriamo su un altro aspetto fondamentale: la comunicazione nel gruppo e il linguaggio dei coach. In SMA, ci occupiamo proprio di questo: creare ambienti comunicativi sani, positivi e motivanti, dentro e fuori dal campo.

L’energia che si contagia

Ogni parola detta in un gruppo sportivo ha un impatto sul clima emotivo. Anche nello sport individuale, esiste un team intorno all’atleta: allenatori, compagni, genitori, preparatori.

Esempi: Un compagno che incoraggia può riattivare la fiducia. Un leader positivo ispira coesione, Uno staff empatico costruisce appartenenza e sicurezza.

Tecniche efficaci per comunicare meglio nel gruppo:

  • Feedback costruttivo: specifico, sul comportamento, immediato.
  • Ascolto attivo: non interrompere, porre domande, riformulare per comprendere.
  • Comunicazione non violenta: esprimere bisogni senza colpevolizzare.

Un cambiamento piccolo può avere un impatto enorme:

❌ “Hai sbagliato di nuovo, così non andiamo da nessuna parte”
✅ “Cosa possiamo migliorare insieme? Riproviamoci, con più calma.”

Il coach come riferimento emotivo

Il linguaggio dell’allenatore non corregge solo errori, costruisce identità. Un buon coach:

  • Sceglie parole che motivano senza distruggere.
  • Sa quando parlare…e quando ascoltare.
  • Comunica anche con lo sguardo, il tono e il corpo.

SMA lavora a fianco degli allenatori per aiutarli a riconoscere e rafforzare queste competenze comunicative fondamentali, anche in situazioni di stress e alta pressione.

Le parole costruiscono realtà: Le neuroscienze lo confermano: parole e immagini creano esperienze quasi reali nel cervello. Dire “non ce la faccio” o dire “sto migliorando” attiva circuiti cerebrali totalmente diversi. La comunicazione crea identità, aspettative, comportamenti.

In conclusione: comunica come vuoi diventare

Le parole che usiamo oggi, dentro e fuori il campo, stanno costruendo l’atleta che diventeremo domani. SMA è al fianco di chi vuole allenare non solo il corpo, ma anche il linguaggio mentale e relazionale, per una crescita completa, consapevole, efficace.

 

Elena Uberti

Allenarsi mentalmente: tra intelligenza e saggezza

Nel mondo dello sport, si parla sempre più spesso di mental coaching, tecniche di visualizzazione, esercizi di concentrazione. Ma il rischio è quello di ridurre l’allenamento mentale a una lista di strumenti da applicare, come se bastasse seguire un manuale per essere “forti di testa”.

E se invece l’essenza dell’allenamento mentale fosse un’altra? Se non si trattasse tanto di “fare bene” le cose, ma di fare le “cose giuste”? Qui entra in gioco una distinzione fondamentale: quella tra intelligenza e saggezza.

Intelligenza: capire come funzionano le cose

L’intelligenza è la capacità di imparare in fretta, risolvere problemi, trovare strategie. Se capisci subito come risolvere un’equazione, se intuisci il meccanismo tecnico di un salto o il piano tattico dell’avversario, stai usando la tua intelligenza.

Nello sport, l’intelligenza ti aiuta a essere efficiente: a fare le cose in modo corretto, veloce, preciso.

Saggezza: capire cosa è giusto fare

La saggezza invece è un’altra cosa: è quella qualità che ti permette di usare l’esperienza, il buon senso e la sensibilità per scegliere bene. È la capacità di dire la cosa giusta al momento giusto, di capire cosa conta davvero in una situazione.

La saggezza è efficacia: fare le scelte giuste, in linea con i propri valori e obiettivi.
Ti guida non solo nel come, ma soprattutto nel perché.

Tecniche o consapevolezza?

Applicare tecniche senza sapere perché le stai usando può essere sterile. Magari funziona, ma non lascia traccia. L’allenamento mentale vero comincia quando ti allei con te stesso, quando costruisci un dialogo interno consapevole.

La tecnica serve quando è al servizio di un’intenzione chiara.
Altrimenti è solo un esercizio vuoto.

La saggezza mentale è quella che ti fa chiedere:

“Perché sto reagendo così?”
“Cosa voglio davvero da questa gara?”
“Qual è la scelta più coerente con chi voglio diventare?”

Si può allenare la “saggezza”

Allenare la saggezza non è un lusso per filosofi o meditatori. È qualcosa di molto concreto, che si costruisce nel tempo con piccoli atti quotidiani. Ecco qualche esempio per farlo anche nello sport:

Ritaglia spazi di riflessione. Dopo un allenamento, una gara, o anche una giornata intensa: fermati. Pensa a cosa è successo, come hai reagito, cosa hai imparato. La saggezza cresce nel terreno della riflessione.

Allena le relazioni con gli altri. Parla con i tuoi compagni, allenatori, familiari. Ascolta davvero. Mettersi nei panni degli altri è una palestra formidabile per l’empatia e la comprensione, verso gli altri e verso se stessi.

Impara a farti domande migliori. Vai oltre le risposte automatiche. Allenati a chiederti: “Che impatto ha questa scelta?”, “Cosa mi serve davvero adesso?”, “Sto andando nella direzione giusta?”

L’alleanza tra mente e identità

Nel lavoro con SMA, ci accorgiamo ogni giorno che gli atleti più maturi mentalmente non sono quelli che usano più strumenti, ma quelli che hanno imparato a conoscersi, a scegliere e a dare significato a ciò che fanno.

Allenarsi mentalmente, allora, non è solo allenare la mente, ma allenare una visione.
Un modo di stare nello sport che unisce prestazione e crescita personale, risultati e identità.

L’intelligenza ti fa correre veloce.
La saggezza ti fa scegliere dove andare.

Scopri come sviluppare un mindset consapevole e orientato alla crescita. Contattaci per iniziare il tuo percorso di allenamento mentale personalizzato.

Sandro Anfuso

L’effetto Sinner-Musetti: quando la forza mentale diventa contagiosa

Due italiani in semifinale al Roland Garros dopo sessant’anni. Non è solo una questione di talento, ma anche di modello e spinta collettiva.

È di nuovo un momento storico per il tennis italiano. Dopo sessant’anni, due giocatori azzurri approdano contemporaneamente alle semifinali del Roland Garros, uno dei tornei più ambiti del circuito mondiale. Jannik Sinner, con una prestazione solida e decisa, ha liquidato il kazako Sascha Bublik in tre set secchi. Lorenzo Musetti, dal canto suo, ha firmato un’autentica impresa contro Frances Tiafoe, guadagnandosi un posto tra i migliori quattro di Parigi, dove sfiderà il campione in carica Carlos Alcaraz.
Ma ciò che colpisce, oltre al valore tecnico, è la tenuta mentale con cui questi ragazzi stanno affrontando sfide sempre più grandi. La testa fa la differenza, e questi risultati lo confermano. Non è solo il braccio a portare in semifinale, ma una mente costruita, solida, lucida nei “Big Point”.

Quando un italiano arriva così in alto, accade qualcosa di potente anche intorno a lui: cambia la percezione del possibile. I successi di Sinner e Musetti non restano confinati nei tabelloni internazionali, ma si riflettono nei sogni – e nella motivazione – dei tanti giovani che si allenano ogni giorno in Italia.

Questi atleti hanno fin da piccoli incontrato nel loro percorso il sistema delle selezioni nazionali dove è ormai da anni prevista la presenza del preparatore mentale. Ai tempi erano ragazzi molto giovani, ma già allora avevano iniziato ad avvicinarsi alla dimensione mentale della performance. Con un team di psicologi dello sport (tra cui la Dott.ssa Elena Uberti, co-fondatrice di Sport Mindset Agency) si è lavorato fin da subito sull’aspetto della consapevolezza: attraverso il confronto tra le percezioni degli atleti e quelle degli allenatori, si è cominciato a costruire un’immagine solida e realistica dei punti di forza, prima ancora di parlare di debolezze dell’avversario. Un lavoro sottile ma fondamentale, che ha messo le basi per lo sviluppo della fiducia e dell’identità sportiva.

Facciamo riferimento a tutto l’attuale movimento italiano: vedere un pari età, un volto familiare, salire sul palcoscenico dei più grandi riduce quella distanza percepita tra l’ideale e il reale. Il campione smette di essere solo un mito irraggiungibile e diventa un riferimento tangibile: “se ce l’ha fatta lui, posso farcela anch’io”. È in quel confronto orizzontale, tra pari, che si attiva una delle leve più potenti per il miglioramento individuale: l’identificazione.

Non c’è motivazione più autentica del sentirsi parte di qualcosa che evolve, che cresce. Quando nel gruppo qualcuno riesce a compiere un salto di qualità, anche gli altri iniziano a percepire la scalata come possibile. La forza mentale diventa allora contagiosa, si allena nel confronto, si rinforza nell’esempio.
Ecco perché, in un momento come questo, parlare di “preparazione mentale” non è un lusso, ma una necessità.
I risultati non si costruiscono solo con i servizi vincenti, ma anche nella capacità di restare lucidi, affrontare la pressione, sostenere l’aspettativa e – soprattutto – credere fino in fondo di meritarsi quel posto.

Il Roland Garros 2025, con due italiani a un passo dalla finale, non è solo una pagina di storia sportiva.
È una finestra aperta sul potenziale umano che si sprigiona quando il talento incontra la consapevolezza.
L’augurio è che in tanti, guarderanno al lavoro sulla consapevolezza, con occhi diversi.

 

Elena Uberti

Come si riconosce un atleta forte mentalmente?

È una domanda che mi sono sentito fare tante volte, da atleti, allenatori, genitori, colleghi. Una domanda semplice all’apparenza, ma che nasconde una complessità enorme. Perché spesso, quando pensiamo a un “atleta forte mentalmente”, ci vengono in mente immagini stereotipate: chi non si arrabbia mai. Chi non sbaglia mai. Chi ha esperienza da vendere.

E invece… no. Non funziona così.

L’esperienza non basta!

Fare sport da tanti anni non equivale ad avere forza mentale. Conosco atleti che hanno calcato i campi per decenni e ancora oggi si lasciano travolgere dalla rabbia o dalla frustrazione al primo errore. Allo stesso tempo, vedo amatori che non vivono di sport, ma hanno sviluppato una consapevolezza e un’autoregolazione che superano quella di molti professionisti.

Perché? Cosa rende davvero forte un atleta a livello mentale?

La risposta è: l’equilibrio

La chiave è quella. La forza mentale non è qualcosa di rigido o definitivo. È piuttosto la capacità di trovare e ritrovare il proprio centro, anche quando le cose si muovono. Un atleta mentalmente forte non è sempre calmo, non è sempre lucido, non è sempre

perfetto. Sa riconoscere cosa gli sta succedendo, dove si trova emotivamente e mentalmente, ma soprattutto conosce gli strumenti ha a disposizione e come usarli.

Questa immagine racconta moltissimo di cosa significa essere forti mentalmente. L’equilibrista non ha appigli, né sicurezze assolute: cammina su una fune sottile, sospeso tra due realtà: il cuore e il cervello. Non è solo l’equilibrio fisico a tenerlo su, ma la sua capacità di sentire, ascoltare, dosare. È un equilibrio dinamico, fragile e vivo, proprio come quello interiore degli atleti. Essere forti mentalmente non vuol dire “non cadere mai”, ma sapere da che parte si pende, riconoscere cosa sta tirando di più, l’emozione o la razionalità , e trovare ogni volta il modo per tornare al centro.

Cosa fanno quindi gli atleti forti mentalmente?

Si conoscono. Sanno chi sono, cosa li fa rendere, cosa li fa crollare. Riconoscono le emozioni. Non le negano, non le evitano. Le ascoltano, le usano. Usano gli strumenti. E lo fanno con consapevolezza: respiro, focus, dialogo interno, pause, visualizzazioni… Accettano i momenti di crisi. Non si giudicano per una brutta giornata. Sanno che anche questo fa parte del gioco. Ritrovano il proprio equilibrio. Perché l’equilibrio non è statico: si perde e si ritrova, ogni volta.

Allenare la forza mentale: si può davvero?

Sì, e si deve. La forza mentale non è un talento innato con cui si nasce o meno. È un insieme di abilità che possono essere sviluppate, allenate, rafforzate — proprio come si fa con la tecnica o la preparazione fisica. Il primo passo è smettere di pensare che “funzioni solo per alcuni”: non esistono atleti destinati ad essere forti mentalmente e altri no. Esistono atleti che si allenano anche su questo piano, e altri che ancora non l’hanno fatto. L’allenamento mentale richiede costanza, proprio come quello atletico. Inizia con piccoli gesti quotidiani: fare una pausa per respirare consapevolmente prima di servire, riconoscere quando la mente si distrae, notare quando si sta diventando troppo critici con sé stessi. E poi scegliere, attivamente, come riportarsi al presente, come coltivare fiducia, come affrontare una sfida. Non si tratta di “pensare positivo”, ma di costruire e cercare risposte efficaci al problema che ci è posto davanti.

La buona notizia è che l’allenamento mentale non richiede attrezzatura, né orari precisi: si può cominciare ovunque, anche fuori dal campo. Ogni occasione è utile per conoscere le proprie reazioni, sperimentare strategie, allenare la consapevolezza. E con il tempo, proprio come accade con i muscoli o i riflessi, anche la mente diventa più pronta, più stabile, più forte.

Da dove cominciare?

Dalle piccole cose Se la forza mentale non è qualcosa che si ha o non si ha, allora è qualcosa che si può costruire. E per farlo, serve allenamento, certo, ma serve anche curiosità. Serve il coraggio di farsi domande e la voglia di conoscersi un po’ di più ogni giorno.

Un buon punto di partenza? Uno strumento semplice, ma potente: il diario. Scrivere, anche solo poche righe, cosa è andato bene, cosa ci ha messo in difficoltà, che emozioni abbiamo provato, che pensieri hanno guidato la giornata. Riflettere su cosa ci fa perdere equilibrio e cosa, invece, ci aiuta a ritrovarlo.

Oppure fermarsi cinque minuti dopo un allenamento, o dopo una partita, e chiedersi: com’ero mentalmente oggi? Come ho reagito alle difficoltà? Quale piccolo passo posso fare per essere più consapevole domani?

Sono strumenti semplici, accessibili a tutti. Ma, se usati con costanza, diventano leve potentissime per crescere. Perché la forza mentale non si mostra solo nei grandi momenti, ma si costruisce nei dettagli quotidiani.

Quindi la vera domanda è: Tu da dove vuoi cominciare?

Federico Cesati

Dalla testa al traguardo: il potere delle routine mentali per il benessere e la performance

Se pratichi uno sport, a qualsiasi livello, ti sarà capitato almeno una volta di pensare: “La testa oggi non c’era”, oppure “Fisicamente stavo bene, ma mentalmente no”. Succede spesso. Perché la verità è che la mente gioca un ruolo enorme nella performance, anche se spesso la sottovalutiamo.

Negli ultimi anni, anche grazie agli esempi di atleti professionisti, si parla sempre di più di preparazione mentale. Ma pochi sanno davvero come funziona e, soprattutto, come allenarla concretamente. È proprio di questo che voglio parlarti oggi.

Ma cosa significa davvero “preparazione mentale”? E perché sempre più atleti, professionisti e amatoriali, adottano routine mentali per migliorare le proprie prestazioni?

Routine mentali: cosa sono e perché fanno la differenza

Le routine mentali sono piccole strategie che aiutano l’atleta a prepararsi mentalmente prima, durante e dopo una prestazione, mantenendo equilibrio, concentrazione e fiducia.

Non si tratta di riti scaramantici o frasi motivazionali vuote, ma di strumenti concreti, studiati e adattabili a ogni atleta, in base alla sua età, al suo sport e ai suoi obiettivi.

Le tre fasi della routine mentale

Costruire una routine mentale significa individuare piccoli gesti o pensieri da inserire nei momenti chiave dell’esperienza sportiva:

Prima della gara o dell’allenamento

“Come ti prepari influenza come ti esprimi.”

  • Visualizzazione positiva: immagina, anche solo per 1-2 minuti, come vuoi affrontare l’allenamento o la gara. Concentra l’attenzione su ciò che puoi controllare.
  • Respirazione consapevole: pochi respiri profondi aiutano a rallentare corpo e mente, creando uno spazio di calma prima dell’azione.
  • Frasi guida: brevi affermazioni positive e realistiche, che aiutano a focalizzare (es. “Mi fido del mio corpo”“Porto attenzione su quello che sto facendo”).

Durante la prestazione

“Gestire la mente nel momento è un’abilità che si può allenare.”

  • Parole-àncora: termini brevi da ripetere per tornare al presente nei momenti più intensi (es. “Respira”“Spingi”“Ci sono”).
  • Gestione dell’errore: saper accettare un errore, respirare, e rientrare in partita fa spesso la differenza. Serve allenamento mentale anche per questo.

Dopo la gara o l’allenamento

“Anche la mente ha bisogno di recuperare e ricaricarsi.”

  • Debriefing mentale: riconosci cosa ha funzionato, cosa puoi migliorare, cosa ti porti alla prossima volta.
  • Gratitudine per l’impegno: imparare a vedere valore anche nelle giornate “no” aiuta a coltivare motivazione e autostima a lungo termine.

Un esempio concreto: Michael Phelps e la visualizzazione

Michael Phelps, pluricampione olimpico, usava una routine mentale precisa: ogni sera, visualizzava le sue gare nei minimi dettagli.

Nel 2008, durante una finale, gli si riempirono d’acqua gli occhialini. Panico? No. Aveva già “vissuto” quella situazione decine di volte nella sua mente. La visualizzazione lo ha aiutato a restare lucido e a vincere comunque.

Un piccolo esercizio da provare già da oggi

Ti proponiamo un esempio di mini-routine che puoi testare nel tuo sport, anche a livello amatoriale:

  1. 30 secondi di respirazione lenta (inspira per 4, trattieni per 4, espira per 6).
  2. Visualizza un momento in cui ti sei sentito efficace, presente, centrato.
  3. Ripeti una frase semplice e positiva che ti aiuti a entrare nel giusto mindset.
  4. Dopo la sessione, scrivi due cose che ti sono piaciute e una su cui vuoi migliorare.

Piccoli gesti, grande impatto.

Conclusione

SMATeam crediamo che benessere e performance vadano di pari passo. Le routine mentali aiutano l’atleta a sentirsi più consapevole, stabile e pronto ad affrontare sfide e difficoltà.
Non servono strumenti complicati, ma costanza, allenamento e supporto professionale.

Federica Cominelli

Psicologa dello Sport

Il rientro di Sinner: la psicologia dello sport tra sospensione, identità e resilienza

Il ritorno di Jannik Sinner agli Internazionali d’Italia non è solo una notizia sportiva: è anche un’occasione di riflessione sul mondo interiore degli atleti di alto livello. Dopo tre mesi di sospensione brusca dalla sua carriera, Sinner si prepara a rientrare in campo con una “mentalità un po’ diversa, come ha dichiarato lui stesso nell’intervista al TG1.

La psicologia ci invita a interrogarci su cosa possa accadere nella mente di un atleta costretto a fermarsi per così tanto tempo dalle competizioni. Come si rientra davvero in campo, non solo fisicamente ma anche psicologicamente?

Quando si ha l’occasione di ripartire, con più forza di prima

Per un atleta come Sinner, tornare in campo dopo uno stop così lungo non significa solo ricominciare a vivere l’adrenalina del match, ma farlo portando con sé tutto quello che ha attraversato come persona. Le pause forzate possono essere sfruttate come occasioni per conoscersi meglio e tornare in contatto con i propri valori.

La fatica di allenarsi senza l’obiettivo di una competizione nel breve termine, la pressione mediatica, il peso di dover lasciarsi alle spalle una vicenda spiacevole: tutto questo può mettere alla prova l’atleta. Ma al momento del rientro, si scende in campo inevitabilmente con qualcosa in più di prima. Di certo con la consapevolezza di aver resistito e aver continuato a lottare per i propri obiettivi, anche nei momenti più difficili.

La forza di Sinner, allora, non sarà solo quella che è in grado di imprimere sulla prima servizio o nella rotazione della palla sul diritto, ma anche quella silenziosa che ha costruito ogni giorno in questi tre lunghi mesi, quando nessuno guardava. È questa la forza che rende un ritorno non solo possibile, ma anche più denso di significato.

Il rientro: tra pressione e riscatto

Tornare in campo dopo una pausa forzata significa confrontarsi con almeno tre sfide mentali: il giudizio esterno, le aspettative personali e il bisogno di ritrovare sé stessi. Sotto i riflettori di Roma, Sinner non rientrerà soltanto sulla terra rossa con la sua racchetta in mano, ma tornerà con una pesante storia superata: quella di un giovane atleta che ha gestito l’accusa, la sospensione, il senso di ingiustizia e la rielaborazione psicologica di tutto ciò in un periodo senza dubbio intenso.

In psicoanalisi, questo processo si chiama “momento di incontro”, Stern descrive come certi eventi (come traumi, passaggi, pause) interrompano la continuità del sé e richiedano un riassestamento. Lo stop di Sinner può essere visto come una transizione critica: un passaggio che, se supportato adeguatamente da riferimenti di valore, può rafforzare la resilienza dell’atleta e ricontattare le motivazioni più profonde. Tuttavia, queste fasi possono divenire “disfunzionali” se vissute senza un adeguato supporto, l’atleta può rischiare di sperimentare un’insicurezza che minacci la qualità della sua prestazione.

Il ruolo della mente nella prestazione

La frase di Sinner “sono molto contento di rientrare, ma con una mentalità un po’ diversa” è centrale. Può essere interpretata come la consapevolezza che l’esperienza vissuta abbia lasciato un segno dentro di sé, ma anche il desiderio di tornare più forte di prima. Questo è uno passaggio chiave nel percorso di crescita di un atleta: accettare il cambiamento, l’imprevisto, integrare il vissuto e fare spazio alla ricerca di nuovo equilibrio identitario. Alcune domande utili possono guidare questo processo: chi sono quando non gioco a tennis? Quanto valgo come persona se il mio ranking scende? Chi voglio essere ora che torno a competere? Come integro la ferita subita con il desiderio di riscatto?

 

Il contributo di SMAteam: oltre il campo a supporto della persona

Proprio per il supporto alla persona (prima ancora che all’atleta) si sviluppa il lavoro di SMAteam (Sport Mindset Agency), che da anni accompagna atleti, squadre e staff tecnici in percorsi di preparazione mentale e supporto psicologico personalizzato. L’obiettivo non è solo ottimizzare la performance, ma aiutare ogni atleta a ritrovare centratura, motivazione e senso, anche nei momenti più complessi del proprio percorso sportivo.

Il caso di Sinner evidenzia quanto oggi sia fondamentale affiancare al lavoro tecnico e fisico anche un lavoro psicologico strutturato con professionisti specializzati. Non basta che qualcuno dica “cosa fare”: bisogna anche essere preparati sul come esserci, dentro ogni fase del proprio percorso, fatto di imprevisti e ostacoli, con una mente presente e consapevole.

Lo sport come spazio di evoluzione

Il caso di Sinner ci ricorda che il tennis è anche un terreno esistenziale: i match si giocano in campo, ma anche dentro di sè. Le pause interrompono un flusso che a volte sembra continuo e inarrestabile. Eppure, ogni stop può diventare un’occasione unica in cui investire energie per crescere a livello psicologico.

SMAteam continua a promuovere una cultura sportiva che integri competenze psicologiche nel quotidiano di atleti e staff. Perché è proprio lì, nel quotidiano, che si costruisce il tipo di mentalità di cui parlava Sinner: quella più consapevole.

La psicologia dello sport e la psicoterapia possono offrire strumenti concreti per attraversare queste transizioni: dal lavoro sull’autoefficacia alla gestione dell’ansia, dal dialogo interiore alla rielaborazione emotiva degli eventi critici. Oggi più che mai è evidente quanto questi aspetti siano determinanti per sentirsi davvero pronti.

A Roma non tornerà solo un numero uno del tennis, ma un giovane uomo che ha vissuto una complessa prova di vita e che, forse, potrà costituire una delle sue più grandi risorse interne.

Elena Uberti

Motivazione e confronto: capire e sostenere gli adolescenti nello sport

“Lo vedo spento.”
“Ha talento, ma non ci crede abbastanza.”
“Quando ha iniziato a giocare era più motivato e si divertiva…ora sembra svogliato.”
“Non si impegna come potrebbe, e non solo nello sport: anche a scuola è lo stesso.”

Chi lavora con adolescenti – che siano genitori, allenatori o insegnanti – riconoscerà queste frasi. Sono osservazioni ricorrenti, che riflettono una difficoltà concreta e profonda: come si sostiene la motivazione in una fase della vita in cui tutto cambia?

Come psicologi dello sport, stiamo lavorando in diverse società sportive con ragazzi tra i 13 e i 18 anni. In questa fascia d’età così critica, il rischio di vedere calare l’entusiasmo e l’impegno è reale. Ma il nostro lavoro, ispirato a strumenti di valutazione e confronto, dimostra che la motivazione si può osservare, ascoltare e coltivare.

Il progetto di SMAteam: ascoltare e confrontare

Durante i percorsi stagionali proposti da Sport Mindset Agency (solitamente da settembre a giugno), ogni atleta viene invitato a valutarsi su una serie di abilità mentali: attenzione, fiducia, gestione dello stress, motivazione, impegno, costanza. In parallelo, uno dei membri dello staff compila una valutazione esterna sugli stessi parametri.

L’obiettivo non è “dare voti”, ma far emergere elementi in comune e differenze tra come un ragazzo si percepisce e come viene percepito, aprendo spazi di dialogo e riflessione. Questi dati ci permettono di costruire una fotografia utile e dettagliata.

Perché è così importante farlo ora?

Perché l’adolescenza è una fase fondamentale: ci si separa dall’identità di bambini e si mettono le basi per costruire l’identità adulta. E in questa fase, predisporre i passi verso il proprio futuro sembra a volte troppo complicato. I ragazzi faticano ad immaginare obiettivi realistici, a reggere la frustrazione per un fallimento, a trovare un senso nelle fatiche quotidiane.

Come scrivevano De Beni e Moè (2000), la motivazione non è innata: è un equilibrio instabile tra ciò che si sente dentro e ciò che viene riconosciuto fuori. E se manca un contesto che aiuti a dare valore allo sforzo, il rischio è che i ragazzi si ritirino, anche inconsapevolmente, da ciò che potrebbe farli crescere.

Allenare la motivazione: SMA propone strumenti

Le società sportive possono diventare luoghi straordinari per allenare il senso di impegno, la costanza, la responsabilità. Ma non basta dire “ci vuole grinta”: servono strumenti. E questo è ciò che SMAteam lavora da anni in progetti mirati per offrire a tutte le figure coinvolte questi preziosi strumenti.

Il confronto tra valutazione interna ed esterna diventa, in questo senso, una bussola concreta.
Se un ragazzo si percepisce motivato ma l’allenatore non lo percepisce così, c’è un tema su cui confrontarsi. Se lo staff nota potenziale ma l’atleta si sottovaluta, si può iniziare a lavorare sull’autoefficacia. Se entrambi vedono disimpegno, si può agire prima che diventi ritiro.

Piccoli passi per un futuro possibile

Molti genitori e allenatori oggi si chiedono: come faranno questi ragazzi a costruirsi un futuro?
È una domanda legittima, ma spesso carica di ansia. La verità è che nessun adolescente costruisce da solo una visione del futuro. Ha bisogno di adulti che sappiano accompagnarlo, non solo con aspettative, ma con strumenti e tempo e soprattutto fiducia.

Per questo il nostro progetto non si limita a “misurare” ciò che c’è. Serve a gettare le basi per percorsi individuali di sviluppo mentale, che i ragazzi potranno continuare anche oltre la nostra presenza in campo e di gruppo. SMA offre la possibilità di avviare percorsi individuali, e lo ribadisce in ogni contesto: il tempo che abbiamo per incidere è limitato (a volte una stagione sportiva altre 6-7 stagioni consecutive), ma quello che imparano in adolescenza può restare con loro a lungo.

Un lavoro per tutti: atleti, staff e famiglie

I dati condivisi da SMA nelle società sportive diventano poi una banca comune, un punto di partenza per futuri interventi di psicologia anche con lo staff. Perché la motivazione non si sostiene solo al singolo ragazzo, ma nell’ambiente che lo circonda.
E se l’ambiente – fatto di allenatori, educatori, adulti attenti – è capace di leggere le criticità e valorizzare i segnali di crescita, allora diventa un luogo fertile.

In conclusione: SMA educa alla motivazione

Educare alla motivazione significa veicolare il messaggio che i risultati arrivano in un processo, con costanza, che gli obiettivi si costruiscono un passo alla volta, che sbagliare non è fallire ma parte del processo.

E soprattutto, significa non smettere di credere che un ragazzo possa cambiare, anche quando sembra spento, disinteressato, svogliato.

Perché a volte, dietro quella maschera, c’è solo bisogno di qualcuno che dica:

“Ti vedo. Ti ascolto. Possiamo lavorarci insieme.”

Elena Uberti

Co-fondatrice di SMAteam

La paura del cambiamento nello sport: come affrontarla con le giuste mental skill

Il cambiamento è una costante nello sport: nuovi allenatori, nuove strategie, nuove categorie, infortuni e persino il passaggio dal dilettantismo al professionismo. Tuttavia, nonostante il cambiamento sia inevitabile, molti atleti lo vivono con ansia e timore. Ma perché succede? La paura del cambiamento nasce spesso dall’incertezza, dalla perdita del controllo e dal timore di fallire. Tuttavia, sviluppare le giuste mental skill può aiutare gli atleti a trasformare questa paura in un’opportunità di crescita.

Perché il cambiamento spaventa gli atleti?

  1. Paura dell’ignoto: il cervello umano è programmato per preferire ciò che è familiare. Un nuovo ambiente o una nuova sfida possono generare stress e insicurezza. Ad esempio, un calciatore che passa in una squadra più competitiva può temere di non essere all’altezza.
  2. Timore del fallimento: cambiare significa spesso confrontarsi con nuove sfide e difficoltà e il rischio di non essere “abbastanza bravi”. Per esempio, un giovane tennista che entra in una categoria superiore può sentire il peso delle aspettative e la paura di perdere più partite del previsto.
  3. Perdita della zona di comfort: ogni atleta ha delle routine consolidate che lo fanno sentire sicuro. Cambiare queste abitudini può sembrare destabilizzante: pensiamo a un atela che deve cambiare allenatore e modificare completamente il suo metodo di allenamento.
  4. Pressione esterna: allenatori, compagni di squadra, tifosi: le aspettative degli altri possono rendere il cambiamento ancora più faticoso. Un esempio può essere un giovane cestista che viene promosso in prima squadra e sente la pressione di dover dimostrare subito il proprio valore.

Mental skill per affrontare il cambiamento

  1. Tecniche di rilassamento e gestione dell’ansia
    Tecniche di respirazione e mindfulness possono ridurre l’ansia e migliorare la gestione dello stress legato al cambiamento, aiutando l’atleta a restare concentrato sul presente senza farsi sopraffare dai pensieri negativi sul futuro. Un esempio è utilizzare la respirazione diaframmatica per rimanere calmo prima della gara.
  2. Flessibilità cognitiva
    Essere mentalmente flessibili significa saper adattarsi rapidamente alle nuove situazioni. Per allenare questa capacità, gli atleti possono esercitarsi nell’accogliere il cambiamento come un’opportunità anziché come una minaccia, riformulando le proprie credenze e i propri pensieri in modo costruttivo. Ad esempio, un maratoneta che si infortuna e deve ridurre il chilometraggio può concentrarsi sulla forza e sulla tecnica anziché sul volume di corsa.
  3. Goal setting efficace
    Stabilire obiettivi chiari e realistici aiuta a mantenere il focus. Gli obiettivi SMART (Specifici, Misurabili, Accessibili, Rilevanti, Temporizzati) danno una direzione e riducono l’incertezza. Ad esempio, un giocatore di basket che cambia squadra potrebbe fissare l’obiettivo di migliorare la propria media punti entro tre mesi.
  4. Visualizzazione positiva
    Immaginare sé stessi affrontare con successo la nuova sfida aiuta a ridurre l’ansia e ad aumentare la fiducia. Un esempio è uno sciatore che visualizza mentalmente la sua discesa prima della gara per migliorare la concentrazione e ridurre lo stress.
  5. Self-talk positivo
    Il dialogo interno ha un enorme impatto sulle emozioni e sulle prestazioni. Frasi come “Sono in grado di adattarmi” o “Ogni cambiamento è un’opportunità” possono rafforzare la resilienza mentale. Un atleta che affronta un avversario temuto può ripetersi mentalmente frasi motivanti per mantenere la fiducia.
  6. Resilienza e gestione delle emozioni
    Accettare che il cambiamento possa portare momenti di difficoltà aiuta a sviluppare una mentalità resiliente. Lavorare con uno psicologo dello sport può essere utile per imparare strategie di coping e gestione delle emozioni. Un esempio può essere un ginnasta che, dopo una brutta caduta, lavora sulla sua resilienza mentale per tornare in pedana con determinazione.

Il cambiamento nello sport è inevitabile, ma affrontarlo con la giusta mentalità e le giuste mental skill permette agli atleti di trasformarlo in un’opportunità di crescita. Saper lasciare andare ciò che era e accettare una nuova immagine di sé è parte del percorso, così come imparare a vedere nel cambiamento una possibilità di evoluzione. Lavorare sulla gestione dello stress, la flessibilità mentale e il self-talk positivo può fare la differenza tra chi si lascia bloccare dalla paura e chi la trasforma in un trampolino di lancio per il successo. E, in fondo, la vera forza sta nel sapersi reinventare, lasciando andare ciò che era per abbracciare ciò che può diventare.

 

Federica Cominelli

I 3 grandi errori mentali da evitare prima di una gara

Ti trovi in quei brevi istanti in cui tutto si decide. Il battito del cuore pulsa nel petto ad un ritmo continuo. Il corpo emana calore ed energia ad ogni tuo respiro. I muscoli si preparano a scattare in un battito di ciglia. Ascolti gambe e braccia per capire a che punto sei. Quei movimenti li hai realizzati decine e decine di volte in allenamento. Mentre ascolti le sensazioni del corpo ti parli nella mente, in modo calmo e deciso. Quelle parole sono solo tue, ti trasmettono quella sicurezza e quel conforto che ti serve ad ogni gara. Il momento è arrivato! Coi tuoi tempi ti metti in posizione ai blocchi di partenza. Le emozioni sono tante, forse troppe da riconoscere in poco tempo, ma per te rappresentano quel momento per cui ti sei allenato per mesi. Sei un tutt’uno con quello che fai, corpo e mente sono sincronizzati. Fai un ultimo respiro profondo, attendi finalmente lo sparo e…BANG!

Ogni atleta sa che questi attimi prima di una gara, o di un match, sono al tempo stesso i più intensi e i più complicati da vivere. Una minima distrazione può farti uscire dalla tua zona e complicarti la gestione del momento. Ogni piccolo dettaglio è un tassello del domino che deve stare al suo posto. In alcune discipline, dopo la partenza, si ha ancora modo di cambiare rotta e rifocalizzarsi, ma non tutti gli atleti dispongono di questa opportunità. In alcune specialità, infatti, un inizio impreciso può davvero compromettere un’intera prestazione.

Quali sono allora i 3 grandi errori mentali che un’atleta dovrebbe evitare prima di una gara?

Scopriamoli assieme!

Indipendentemente dal tipo di prestazione o di disciplina praticata, l’obiettivo di ogni atleta è sempre lo stesso: competere al meglio delle proprie possibilità dall’inizio della prestazione fino al suo termine. Eppure gli istanti prima di una gara sono così sensibili che basta anche solo una banale distrazione per esprimere una prestazione non all’altezza.

Il primo errore da evitare è molto comune: quello di pensare troppo avanti alla gara, anticipando le possibili conseguenze della vittoria o della sconfitta. Questo può succedere per vari motivi, a causa dell’elevato sforzo della preparazione, dalle aspettative di risultato o ancora dalla paura di fallire. Quando questo accade la propria concentrazione diventa molto meno selettiva, si perde il focus nel momento presente e la prestazione decade. Il vincere o il perdere non deve essere la principale preoccupazione dell’atleta. L’unico pensiero che deve avere è quello di seguire il proprio piano gara rimanendo nel processo, potremmo dire con una logica step by step sui propri fattori chiave. Se invece ci focalizziamo su elementi su cui non abbiamo il controllo, come ad esempio il risultato, stiamo sprecando le nostre energie fisiche e mentali su fattori indipendenti da noi. Tuttavia, considerare la vittoria come una conseguenza e non come il fine del nostro lavoro, è un “game changer” mentale ben più complesso a dirsi che a farsi.

Il secondo errore mentale piu comune è quello di voler “strafare” quando siamo di fronte ad un avversario piu forte. Di solito dietro a questo comportamento risiede la convinzione limitante che per poter battere il nostro avversario dobbiamo mettere in pratica una prestazione erculea, al di sopra delle nostre possibilità. Anche in questo caso l’atleta mette in gioco una quantità di energie esagerate, perdendo il contatto con ciò che è importante per lui ed allontanandosi da una prestazione ottimale. Tutto ciò che serve risiede già nella tua preparazione e nella routine che hai perfezionato. Rimanere nel presente e fare ciò per cui ti sei allenato, è molto piu efficace della ricerca di un piano gara improvviso. Fidati del lavoro che hai svolto e lascia che il tuo corpo si esprima liberamente.

Il terzo e ultimo errore mentale è quello di concentrarsi sugli aspetti negativi. Gli atleti che tendono a vedere la propria prestazione con delle lenti “in negativo”, di solito richiedono la perfezione nella propria performance o cercano di insistere con uno standard ideale difficile da soddisfare. È difficile considerarlo, ma all’interno di ogni competizione c’è un margine di errore, a volte molto sottile se siamo in competizioni di alto livello mentre, altre volte piu largo. Coltivare la falsa credenza che ogni giocata, ogni possesso o ognitiro, debba essere perfetto incrementa notevolmente lo stress percepito. I pensieri negativi sono l’anticamera della frustrazione e del pessimismo, condizioni che risucchiano energia e forza mentale. Per questo, prima di una gara, è importante lasciare andare i pensieri negativi e recuperare un atteggiamento positivo su ciò che si fa. È un mindset che richiede tempo e lavoro per poterlo concretizzare, non basta agirlo solo il giorno della gara, perché come tutti gli aspetti della preparazione sportiva, anche quella mentale ha bisogno di costanza e pratica.

Se ti senti preso in causa in una di queste “situazioni” evita di giudicarti. Sappi che sono tanti gli atleti che hanno vissuto questi momenti di forte stress almeno una volta nella propria carriera sportiva. Il problema non è viverli e tanto meno eliminarli, ma sapere che possiamo farvi fronte. Non esistono soluzioni magiche se non quelle del lavoro consapevole. Accogli questi momenti come parte del tuo processo di crescita e, se desideri lavorarci sopra, i professionisti del Team di SMA sono pronti e a tua disposizione.

Andrea MARTINETTI

Choking: quando il blackout arriva improvvisamente durante una performance

Ti è mai successo, durante una prestazione sportiva, di vivere all’improvviso un picco di ansia, un blackout inaspettato e, di conseguenza, un notevole crollo della tua performance?

Forse hai vissuto quello che nel mondo della Psicologia dello Sport definiamo Choking.

Che cos’è esattamente il Choking?

E’ definito Choking un acuto e considerevole declino nell’esecuzione delle abilità (tecniche, tattiche, fisiche, mentali) e della performance, causato da un aumento dei livelli di ansia innescato dalla percezione di sentirsi sotto pressione (Choking under pressure).

Quando può accadere?

Di solito accade in situazioni in cui potenzialmente l’atleta può performare al suo meglio, lo sa e ne è convinto, ma all’improvviso non riesce a causa delle PRESSIONI (interne e/o esterne) che percepisce.

Ma come faccio a capire se sto vivendo un momento di Choking o “semplici” eventi di Ansia da Prestazione?

Innanzitutto, il Choking è episodico: le sensazioni tra il prima e il dopo sono talmente nette che riesci a percepire chiaramente quando inizia e quando finisce e, al termine dell’episodio di Choking, puoi tornare rapidamente ai tuoi livelli di performance personale. Inoltre è specifico: può riguardare un momento particolare di una partita o di una gara, oppure può accadere sempre negli stessi momenti di una partita (ad esempio nel tennis quando si è sotto e si deve recuperare o, al contrario, quando si è sopra e si può vincere nettamente) oppure quando si presentano le stesse caratteristiche di gara (ad esempio in finale, contro un certo avversario, ecc..).

Ci sono inoltre alcuni sintomi fisici e psicologici che caratterizzano il Choking e che possono aiutarti a riconoscerlo. Tra i sintomi fisici più comuni, gli atleti riportano di sentire costrizione e tensione muscolare, mancanza di forza, pesantezza e stanchezza improvvisa, fino a fare esperienza di tremori e di instabilità. Tra i sintomi psicologici, invece, gli atleti affermano di sentirsi sopraffatti da uno stato di panico improvviso, enorme insicurezza, paura e fretta nel voler uscire dalla situazione percepita come insopportabile o “troppo grande” per loro.

Chiudiamo l’articolo con alcune tips di gestione del momento di Choking: se puoi esci dalla situazione stressante o allunga i tempi di pausa per riprenderti (staccare è importante e ti permette di ricentrarti); sposta il focus della tua attenzione dal risultato agli obiettivi di performance (tecnici, tattici, fisici e mentali) che ti sei dato/a per la partita/gara; usa un Self-Talk (dialogo interno) semplice e orientato all’azione; in generale semplifica al massimo la tua strategia di gara.

Infine, se ti accade spesso di vivere momenti di Choking, contatta uno Psicologo dello Sport e inizia un percorso di Mental Training che possa sostenerti nel ri-orientare le tue aspettative e farti vivere le tue performance in modo più consapevole, sereno e fiducioso delle tue potenzialità.

 

Se sei interessato/a ad approfondire questo fenomeno, ne abbiamo parlato nella nostra pillola Academy che puoi acquistare al seguente link:

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Valentina Marchesi

L’importanza della concentrazione nello sport: allenare la mente per migliorare la performance

La concentrazione è uno degli aspetti più importanti nella performance sportiva. Gli atleti che riescono a mantenere un alto livello di attenzione nei momenti decisivi hanno un vantaggio significativo rispetto a chi si lascia distrarre dagli eventi esterni o dai propri pensieri. La capacità di concentrarsi non è innata, ma si costruisce con allenamento, consapevolezza e pratica.
Chiunque può imparare a migliorare la propria attenzione e ottenere risultati straordinari, dentro e fuori dal proprio campo di azione.

Uno dei motivi per cui la concentrazione è così importante risiede nel fatto che lo sport richiede un grande equilibrio tra azione fisica e mentale. Tiger Woods, uno dei più grandi golfisti della storia, ha più volte parlato dell’importanza della concentrazione: “Il mio successo dipende dalla mia capacità di restare focalizzato su ciò che devo fare, senza lasciarmi distrarre da niente” (Woods, 2001). Anche Serena Williams, tra le tenniste più forti della storia, ha più volte sottolineato come la sua capacità di rimanere concentrata nei momenti cruciali delle partite sia stata determinante per le sue vittorie (Williams, 2015).

Ogni disciplina sportiva richiede un diverso tipo di concentrazione. Per citare qualche esempio, nel pattinaggio artistico, gli atleti devono mantenere una concentrazione estrema per eseguire salti, piroette figure ed elementi con precisione, evitando di lasciarsi distrarre dal pubblico o dalla pressione della competizione. Nel tiro con l’arco, la concentrazione è fondamentale per controllare la respirazione e la postura, bloccando ogni distrazione esterna per mirare con precisione. Nel baseball, i battitori devono essere in grado di leggere la traiettoria della palla in una frazione di secondo, rimanendo concentrati sul lanciatore e ignorando il rumore dello stadio. Nella pallavolo, i giocatori devono mantenere un’attenzione costante sulla palla, sugli avversari e sulle strategie di gioco, adattando rapidamente la loro concentrazione a seconda delle fasi della partita. Nella vela olimpica, per esempio nella classe ILCA, la capacità di concentrazione è essenziale per mantenere la barca nella posizione ottimale rispetto al vento, regolando continuamente vele e assetto corporeo. Gli atleti devono adattarsi velocemente ai cambiamenti delle condizioni meteorologiche, gestendo la fatica e mantenendo il focus sulla strategia di gara e anticipare le mosse degli avversari.

La concentrazione non è un concetto monolitico, ma si compone di diverse dimensioni, ampie, ristrette, interne o esterne tra cui è importante saper shiftare (Nideffer, 1976). Saper gestire queste dimensioni a seconda della situazione è una competenza che può essere allenata, proprio come la tecnica o la capacità atletica.

Lavorare con uno psicologo dello sport può essere determinante per migliorare la capacità di concentrazione. Attraverso esercizi mirati, tecniche e strategie che coinvolgono in modi diversi pensieri, emozioni e comportamenti, è possibile sviluppare una mentalità focalizzata e resiliente.
In SMA molte delle nostre consulenze si estendono ad un lavoro intensivo sull’allenamento alla concentrazione, per accompagnare gli atleti alla consapevolezza, all’intenzione e azione sul focus attentivo, con obiettivo la padronanza di questa importante capacità.

Uno studio di Weinberg & Gould (2018) evidenzia come gli atleti che si avvalgono del supporto di un professionista della psicologia sportiva riescano a migliorare significativamente la loro gestione dell’attenzione e, di conseguenza, le loro performance. Come affermava Michael Phelps: “Il mio segreto? Quando sono in acqua, non esiste nient’altro. Sono solo io, il mio corpo e il mio obiettivo” (Phelps, 2016).

Sandro Anfuso

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