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Mental Training in periodo di infortunio

L’infortunio è una delle sfide più grandi per un atleta, non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico. La perdita temporanea della capacità di praticare il proprio sport può avere un impatto profondo sulla motivazione, sulla sensazione di autoefficacia e sull’umore. La psicologia dello sport ha sviluppato diverse tecniche efficaci per supportare gli atleti durante un infortunio. Approfondiremo in questo articolo la visualizzazione e l’imagery: due strumenti potenti per accelerare il processo di recupero e migliorare la performance mentale.

La visualizzazione è una tecnica che implica l’uso della mente per creare immagini vivide e dettagliate di situazioni, movimenti o esperienze. Gli atleti utilizzano la visualizzazione per “vedere” mentalmente se stessi eseguire determinati compiti o comportamenti (come l’esecuzione di una tecnica, il completamento di un percorso o il superamento di un ostacolo). Queste immagini mentali possono essere tanto potenti quanto l’esperienza fisica stessa, e si dimostrano molto utili nel migliorare la preparazione psicologica e il focus dell’atleta.

Il termine imagery è spesso utilizzato in modo intercambiabile con la visualizzazione, ma include un concetto più ampio. L’imagery non si limita solo alla creazione di immagini visive, ma coinvolge tutti i sensi. Questo significa che, attraverso l’imagery, un atleta può immaginare non solo visivamente, ma anche sonoramente, tattilmente ed emotivamente, sperimentando una performance o una situazione nella sua interezza, proprio come se stesse accadendo in quel momento reale.

Questo accade grazie alla stimolazione dei “neuroni specchio” . Il concetto di neuroni specchio è stato introdotto negli anni ’90 da un gruppo di neuroscienziati italiani, tra cui Giacomo Rizzolatti e nello specifico sono un tipo speciale di cellule neuronali che si attivano sia quando una persona esegue un’azione, sia quando osserva un’altra persona compiere la stessa azione. I neuroni specchio consentono al cervello di “rispecchiare” il comportamento altrui come se fosse il proprio. Questa scoperta è stata rivoluzionaria, poiché ha dimostrato che il nostro sistema nervoso è in grado di attivare circuiti motori non solo durante l’azione fisica, ma anche quando si osserva l’azione stessa o, addirittura, quando la si immagina. I neuroni specchio sono coinvolti nell’apprendimento motorio, nell‘emulazione, nell’empatia e nell’immaginazione.

Un esempio pratico risiede nell’esperienza comune di assistere allo sbadiglio di un’altra persona e sentire attivarsi in noi il bisogno di sbadigliare, questo accade proprio per l’attivazione di tali cellule. Tornando al contesto sportivo quando un atleta utilizza la visualizzazione, il cervello attiva molti degli stessi circuiti neurali che sarebbero attivati durante l’esecuzione fisica del movimento. In altre parole, quando si immagina di fare un salto o di calciare una palla, il cervello non solo “vede” l’azione, ma stimola anche le aree cerebrali (come la corteccia motoria) responsabili di quell’azione.

Quando un atleta si trova in fase di recupero da un infortunio, la visualizzazione e l’imagery offrono numerosi vantaggi, sia psicologici che fisici. Queste tecniche permettono, infatti all’atleta di continuare a lavorare sulla propria performance mentale, mantenere la motivazione e migliorare la connessione corpo-mente, anche quando non è possibile allenarsi fisicamente.

Alcuni degli aspetti più difficili di un infortunio sono: la separazione dall’attività sportiva, il timore di non tornare alla forma precedente, l’essere costretti ad abbandonare l’attività, il rivedere i propri obiettivi e la paura di rinfortunarsi dopo il rientro. Queste preoccupazioni possono portare a sentimenti di frustrazione e depressione. La visualizzazione e l’imagery aiutano l’atleta a mantenere una connessione mentale con lo sport, permettendogli di continuare ad allenare la mente e a immaginare di essere sul campo mantenendo alto il senso di autoefficacia come fattore protettivo rispetto a pensieri negativi.

Durante il recupero da un infortunio, inoltre, l’atleta può sentirsi distaccato dal proprio corpo, soprattutto se è costretto a ridurre o interrompere l’attività fisica. La visualizzazione e l’imagery, permettono di “allenare” il corpo anche a livello mentale. L’atleta può immaginare di eseguire i movimenti corretti, attivando il sistema neuromuscolare e mantenendo la memoria motoria attiva. Questo aiuta a mantenere la consapevolezza delle proprie capacità fisiche e prepara il corpo per un ritorno graduale all’attività. Studi scientifici hanno dimostrato che la visualizzazione e l’imagery possano stimolare il recupero fisico, in particolare per quanto riguarda la guarigione muscolare e il recupero funzionale, sebbene non possano sostituire il trattamento fisico, queste tecniche riescono a supportare il processo di guarigione attivando la mente e creando stimoli positivi per il corpo. L’immaginazione di sè stessi mentre si eseguono correttamente i movimenti può accelerare la riabilitazione e migliorare l’efficacia degli esercizi fisici che si svolgono durante la fase di recupero.

Il dolore fisico che accompagna un infortunio può anche avere un impatto psicologico significativo, aumentando ansia e frustrazione. L’imagery è una tecnica efficace per affrontare il dolore, poiché aiuta l’atleta a concentrarsi su immagini positive e rilassanti, riducendo la percezione del dolore, lo stress e l’ansia associati al recupero, permettendo una gestione più serena dell’esperienza. Durante un infortunio, inoltre, la fiducia in se stessi può diminuire. La visualizzazione e l’imagery consentono all’atleta di riprendersi mentalmente, migliorando la fiducia nelle proprie capacità, rafforzando la motivazione e il desiderio di continuare a lavorare verso il recupero facendo rivivere momenti in cui esso stesso è stato altamente prestazionale ricordandogli quelle sue risorse.

La mente gioca un ruolo fondamentale nel processo di guarigione, dunque utilizzando la visualizzazione e l’imagery, gli atleti possono sfruttare appieno le potenzialità per tollerare le difficoltà fisiche e superare le fragilità psicologiche associate.

 

Chiara Feno

Allenamento VS Partita : il focus sul presente

Certi giorni in allenamento mi sento imbattibile: a volte penso che il mio diritto lungolinea sia quasi sempre un vincente, il mio servizio piatto alla “T” sia forte e preciso, riesco a tenere la diagonale senza perdere campo. Ma in partita tutto cambia.

Le mie gambe diventano pesanti, il mio braccio rigido, e mi trovo a commettere errori banali, soprattutto davanti alla rete.

Non riesco a capacitarmene ed è così frustrante: se in allenamento funziona tutto, perché in partita sembrava che non sappia più giocare? Che senso ha iscrivermi ai tornei se poi gioco così male?

Un giorno, dopo aver brevemente raccontato il match al mio allenatore, mi guarda e mi dice: ‘Guarda che non è questione di tecnica o di tattica, è solo la tua testa. Sei troppo concentrato sull’idea di vincere e inizi a giocare tutto corto, così perdi campo.’

Questa esperienza è comune a moltissimi atleti e in uno sport come il tennis, dove l’aspetto mentale gioca un ruolo cruciale nelle pause tra un punto e l’altro, è estremamente evidente.

La differenza tra allenamento e partita non è né tecnica né tattica: è soprattutto psicologica. E spesso, è proprio la pressione (interna o esterna) a trasformare le migliori capacità in un’ombra di ciò che si è quando ci si allena.

Allenamento: uno spazio di libertà

In allenamento, tutto appare più semplice. Non ci sono giudici, spettatori o avversari pronti a notare o sfruttare ogni tuo errore. L’attenzione è rivolta al miglioramento: sbagliare fa parte del processo. Il tennista può lavorare su un colpo per ore, correggendo piccoli dettagli senza paura delle conseguenze. Il focus è sul presente, sull’azione in sé, senza l’ansia del risultato.

Per esempio, un giocatore che vuole migliorare il dritto si può concentrare esclusivamente sul movimento biomeccanico, provando diverse variazioni tecniche. Non c’è urgenza: ogni errore è solo un’opportunità per apprendere. Questo approccio permette di esprimere il massimo potenziale in un ambiente privo di giudizio, un lusso che la partita non concede.

La partita: quando la pressione si fa sentire

In partita, però, tutto cambia. L’allenamento lascia spazio alla competizione, e con essa arrivano le aspettative. Aspettative che ci s mette addosso da soli, o che si percepiscono dall’esterno: il desiderio di vincere, la paura di deludere il coach, i compagni o sé stessi.

Nel tennis, basta un semplice errore per cambiare il corso del match. Sbagliare un colpo che in allenamento va alla perfezione può generare un vortice di pensieri negativi: “Non dovevo sbagliare”, “Adesso perdo il set”, “Giocando così male, di sicuro perdo. Questo dialogo interno, spesso inconsapevole, aumenta il livello di tensione e impedisce al corpo di agire in modo fluido. I muscoli si irrigidiscono, i movimenti perdono naturalezza, e ciò che in allenamento sembrava facile diventa improvvisamente complicato.

Quando ci si lascia sopraffare da questi pensieri, il gioco ne risente. Non è raro vedere giocatori incapaci di esprimersi al meglio nei momenti decisivi, proprio perché la pressione li porta fuori dal loro stato ottimale.

Come allenare la mente per la partita

La buona notizia è che, così come si allena il corpo, si può allenare anche la mente.

Ecco alcune strategie utili che vengono insegnate in un percorso di preparazione mentale:

1.​Simulare la pressione in allenamento: inserire esercizi che riproducono la tensione della partita, come giocare tie-break sotto pressione aiuta ad abituarsi a gestire lo stress.

2.​Lavorare sul FOCUS: tecniche come la respirazione diaframmatica possono aiutare a mantenere il focus sul presente. Un esempio pratico: concentrarsi sul respiro tra un punto e l’altro, o utilizzare la visualizzazione prima di eseguire un colpo.

3.​Gestire le aspettative: smettere di pensare al risultato e focalizzarsi sulla tattica, anziché sul punteggio, permette di ritrovare la fluidità.

Dal campo di allenamento alla competizione

In definitiva, la differenza tra allenamento e partita non è una questione di abilità tecnica, ma di mentalità. Capire come la pressione influenza il gioco è il primo passo per trasformarla in una risorsa, invece che in un ostacolo. Perché, alla fine, il segreto non è solo saper colpire bene una pallina (moltissimi giocatori lo sanno fare molto bene), ma farlo anche quando conta davvero. E questa è una sfida che si vince dentro di sé, prima ancora che in un match di torneo.

 

Elena Uberti

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