Autore: Francesco Volpiana

Perfezionismo e Mentalità vincente: una riflessione tra limiti e opportunità

Il perfezionismo, spesso considerato una virtù, può trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Esigere standard elevati e sforzarsi di raggiungerli può stimolare la crescita personale, ma quando questi obiettivi diventano irrealistici o radicati nel timore del fallimento, si rischia di cadere in un circolo vizioso di ansia e insoddisfazione.

La distinzione tra perfezionismo sano e perfezionismo disfunzionale, descritta da Hamacheck (1978), evidenzia come solo il primo consenta di accettare l’errore come parte del processo di apprendimento. Il perfezionismo sano, infatti, si manifesta come una ricerca dell’eccellenza che motiva a migliorarsi continuamente, senza che l’errore diventi una minaccia per la propria autostima. Chi abbraccia questo approccio vede nei fallimenti momenti di riflessione e crescita, piuttosto che ostacoli insormontabili.

Il perfezionismo disfunzionale, invece, è alimentato dalla paura costante di sbagliare e dall’esigenza di dimostrare il proprio valore attraverso risultati impeccabili. In questo stato mentale rigido, l’errore è vissuto come un fallimento assoluto, capace di innescare ansia e autocritiche severe. Si entra così in una logica “tutto o niente”, dove ogni risultato è considerato un successo completo o un disastro totale, impedendo di trarre soddisfazione anche dai traguardi raggiunti.

Questo stesso concetto, ad esempio, è centrale nella Mamba Mentality di Kobe Bryant.

Il leggendario cestista ha incarnato l’idea di focalizzarsi sull’obiettivo presente, vivendo ogni sfida come un’opportunità per superare i propri limiti. Per Kobe lavorare duramente significava studiare ossessivamente i dettagli, trasformando ogni errore in una lezione per perfezionare la propria strategia. Questa mentalità, che si spinge oltre il concetto di motivazione, invita a dedicarsi completamente al proprio percorso, senza paura di affrontare fallimenti come parte del processo.

Riconoscere i rischi del perfezionismo disfunzionale, come il pensiero dicotomico “successo o fallimento”, è fondamentale per evitare un blocco emotivo e una svalutazione di sé. Al contrario, adottare una visione orientata al miglioramento continuo, accogliendo il fallimento come spinta al cambiamento, può trasformare il perfezionismo in una risorsa potente.

 

E tu, come vivi il rapporto con gli errori e le aspettative? Forse è il momento di fermarti un istante e chiederti: gli standard che ti poni alimentano la tua crescita o ti imprigionano nella paura di non essere all’altezza? Accogliere una mentalità che valorizzi il processo, e non solo i risultati, significa trasformare ogni passo, anche quelli incerti, in un’opportunità per migliorare.

Abbracciare gli errori significa accettare che la strada verso l’eccellenza passa attraverso la capacità di sperimentare, sbagliare e rialzarsi più forti. Per questo, è fondamentale dotarsi di strategie che aiutino a vivere il perfezionismo in modo costruttivo, ad esempio:

  1. Ridefinisci l’errore: inizia a considerarlo come parte integrante dell’apprendimento. Chiediti: “Cosa posso imparare da questa esperienza?” anziché concentrarti solo su ciò che non è andato come previsto.
  2. Focalizzati sul progresso, non sulla perfezione: annota i miglioramenti raggiunti, anche se piccoli, e celebra i tuoi passi avanti, invece di aspettarti sempre risultati impeccabili.
  3. Stabilisci obiettivi realistici: suddividi i tuoi traguardi in obiettivi più piccoli e raggiungibili, per evitare la pressione di dover eccellere subito in tutto.
  4. Allenati alla flessibilità mentale: lavora per ridurre il pensiero “tutto o niente”. Impara a valutare i tuoi risultati su una scala di gradazioni, apprezzando i successi parziali.
  5. Crea uno spazio sicuro per l’autocritica costruttiva: quando valuti le tue prestazioni, fallo con gentilezza. Concentrati su ciò che hai fatto bene e su cosa puoi migliorare senza svalutarti.
  6. Circondati di supporto positivo: coltiva relazioni con persone che sostengano la tua crescita senza giudicarti, ma che siano pronte a darti un feedback costruttivo.
  7. Sperimenta senza paura del giudizio: datti il permesso di provare, anche quando il successo non è garantito. L’apertura all’esperienza è un potente alleato per superare le barriere del perfezionismo disfunzionale.

Inizia oggi con un piccolo passo: scegli un’attività che ti mette alla prova, anche se temi di non riuscire farla perfettamente. Affrontala con curiosità, vedendola come un’occasione per imparare e scoprire nuove possibilità. Lascia che ogni errore diventi una tappa del tuo percorso di crescita e osserva come cambia il tuo modo di vivere l’imperfezione.

Buon allenamento!

Federica Cominelli

Ripartire dopo uno stop : La forza della mente nel superare le difficoltà

Liberamente tratto dal racconto di un’esperienza di successo.

Era una giornata come tante, o almeno così sembrava. Dopo settimane di stop forzato a causa di un infortunio, avevo finalmente ottenuto il via libera per tornare in palestra. Non vedevo l’ora di riprendere il mio sport: la pallavolo. Mi ero immaginato molte volte quel momento. Credevo sarebbe stato entusiasmante, quasi catartico. Ma la realtà è stata diversa. I primi palleggi sembravano goffi, i movimenti rigidi, la palla scappava dalle mani come se non avessi mai giocato prima. Il mio corpo, che una volta rispondeva istantaneamente a ogni comando, ora era lento, esitante, quasi straniero. Mi sentivo frustrato, come se fossi lontano anni luce dall’atleta che ero prima.  In quel momento, però, è successo qualcosa che ha cambiato la mia prospettiva. Mi sono fermato, ho preso un respiro profondo e ho iniziato a parlare con me stesso. Non il dialogo interiore critico e giudicante che mi stava accompagnando fino a quel momento, ma un dialogo diverso: positivo, costruttivo, incoraggiante.

“Va bene così, è solo il primo passo,” mi sono detto. “Non devi dimostrare nulla oggi, solo esserci. Ogni allenamento sarà un piccolo miglioramento.”

Da quel momento in avanti, ho iniziato a concentrarmi non su ciò che non potevo fare, ma su ciò che stavo riuscendo a fare: il fatto stesso di essere tornato in palestra era una vittoria. Quella mentalità mi ha permesso di affrontare ogni esercizio con pazienza e perseveranza, trasformando la frustrazione in determinazione.  Questo e’ il potere dell’atteggiamento positivo.

 

La ricerca in psicologia dello sport supporta questa esperienza: un DIALOGO INTERNO positivo e mirato è un fattore cruciale nel superare i momenti di difficoltà. Quando ci parliamo in modo costruttivo, attiviamo processi cognitivi ed emotivi che influenzano la motivazione, la fiducia in noi stessi e la capacità di gestione dello stress.

 

Non avrei potuto affrontare quel periodo da solo. La mia rete di supporto mi ha dato una spinta invisibile, ma molto potente. Tornare a casa dopo un allenamento deludente non è facile, ma sapevo di avere accanto una rete di persone pronte a sostenermi. La mia famiglia, i miei amici e i miei compagni di squadra hanno fatto una differenza enorme.

Parlare con loro, condividere i miei progressi (anche minimi) e ascoltare le loro parole di incoraggiamento è stato essenziale per mantenere alto il morale. Il supporto sociale, infatti, non è solo una fonte di conforto, ma agisce anche come un potenziatore di fiducia e resilienza.

 

Il recupero, sia fisico che mentale, è un percorso fatto di alti e bassi. Ci saranno giorni in cui tutto sembrerà andare bene, e altri in cui ogni passo sembrerà un fallimento. Ma la perseveranza è ciò che ci permette di continuare, costruendo, un mattone alla volta.

 

Riflettendo su quella giornata in palestra, ora capisco che il mio successo non è stato segnato da un colpo perfetto o da un movimento fluido. È stato segnato dalla mia capacità di rimanere fedele al processo, di avere pazienza e di credere in me stesso anche quando il mio corpo non rispondeva come volevo.

 

La lezione più grande che ho imparato da questa esperienza è che quando si sta affrontandoun momento simile, è fondamentale evitare di giudicare i propri progressi in base ai risultati immediati. E’ bene invece concentrarsi sul processo, costruire un dialogo interno positivo e coinvolgere le persone che ci vogliono bene.  Il recupero, infatti, più che una corsa contro il tempo, è una maratona verso una versione più forte e resiliente di sé. Ogni piccolo passo avanti è una vittoria, e ogni difficoltà superata ci rende più consapevoli della propria forza interiore.

 

Quel primo allenamento è stato solo l’inizio di un lungo percorso. Ma oggi, guardandomi indietro, so che è stato un momento fondamentale. Ho imparato che, anche quando il corpo sembra non voler collaborare, la mente può diventare il nostro alleato più potente. E con pazienza, perseveranza e fiducia, possiamo affrontare qualsiasi sfida.

 

Ricordalo, se sarai in una difficoltà analoga.

 

Sandro Anfuso

 

Allenamento VS Partita : il focus sul presente

Certi giorni in allenamento mi sento imbattibile: a volte penso che il mio diritto lungolinea sia quasi sempre un vincente, il mio servizio piatto alla “T” sia forte e preciso, riesco a tenere la diagonale senza perdere campo. Ma in partita tutto cambia.

Le mie gambe diventano pesanti, il mio braccio rigido, e mi trovo a commettere errori banali, soprattutto davanti alla rete.

Non riesco a capacitarmene ed è così frustrante: se in allenamento funziona tutto, perché in partita sembrava che non sappia più giocare? Che senso ha iscrivermi ai tornei se poi gioco così male?

Un giorno, dopo aver brevemente raccontato il match al mio allenatore, mi guarda e mi dice: ‘Guarda che non è questione di tecnica o di tattica, è solo la tua testa. Sei troppo concentrato sull’idea di vincere e inizi a giocare tutto corto, così perdi campo.’

Questa esperienza è comune a moltissimi atleti e in uno sport come il tennis, dove l’aspetto mentale gioca un ruolo cruciale nelle pause tra un punto e l’altro, è estremamente evidente.

La differenza tra allenamento e partita non è né tecnica né tattica: è soprattutto psicologica. E spesso, è proprio la pressione (interna o esterna) a trasformare le migliori capacità in un’ombra di ciò che si è quando ci si allena.

Allenamento: uno spazio di libertà

In allenamento, tutto appare più semplice. Non ci sono giudici, spettatori o avversari pronti a notare o sfruttare ogni tuo errore. L’attenzione è rivolta al miglioramento: sbagliare fa parte del processo. Il tennista può lavorare su un colpo per ore, correggendo piccoli dettagli senza paura delle conseguenze. Il focus è sul presente, sull’azione in sé, senza l’ansia del risultato.

Per esempio, un giocatore che vuole migliorare il dritto si può concentrare esclusivamente sul movimento biomeccanico, provando diverse variazioni tecniche. Non c’è urgenza: ogni errore è solo un’opportunità per apprendere. Questo approccio permette di esprimere il massimo potenziale in un ambiente privo di giudizio, un lusso che la partita non concede.

La partita: quando la pressione si fa sentire

In partita, però, tutto cambia. L’allenamento lascia spazio alla competizione, e con essa arrivano le aspettative. Aspettative che ci s mette addosso da soli, o che si percepiscono dall’esterno: il desiderio di vincere, la paura di deludere il coach, i compagni o sé stessi.

Nel tennis, basta un semplice errore per cambiare il corso del match. Sbagliare un colpo che in allenamento va alla perfezione può generare un vortice di pensieri negativi: “Non dovevo sbagliare”, “Adesso perdo il set”, “Giocando così male, di sicuro perdo. Questo dialogo interno, spesso inconsapevole, aumenta il livello di tensione e impedisce al corpo di agire in modo fluido. I muscoli si irrigidiscono, i movimenti perdono naturalezza, e ciò che in allenamento sembrava facile diventa improvvisamente complicato.

Quando ci si lascia sopraffare da questi pensieri, il gioco ne risente. Non è raro vedere giocatori incapaci di esprimersi al meglio nei momenti decisivi, proprio perché la pressione li porta fuori dal loro stato ottimale.

Come allenare la mente per la partita

La buona notizia è che, così come si allena il corpo, si può allenare anche la mente.

Ecco alcune strategie utili che vengono insegnate in un percorso di preparazione mentale:

1.​Simulare la pressione in allenamento: inserire esercizi che riproducono la tensione della partita, come giocare tie-break sotto pressione aiuta ad abituarsi a gestire lo stress.

2.​Lavorare sul FOCUS: tecniche come la respirazione diaframmatica possono aiutare a mantenere il focus sul presente. Un esempio pratico: concentrarsi sul respiro tra un punto e l’altro, o utilizzare la visualizzazione prima di eseguire un colpo.

3.​Gestire le aspettative: smettere di pensare al risultato e focalizzarsi sulla tattica, anziché sul punteggio, permette di ritrovare la fluidità.

Dal campo di allenamento alla competizione

In definitiva, la differenza tra allenamento e partita non è una questione di abilità tecnica, ma di mentalità. Capire come la pressione influenza il gioco è il primo passo per trasformarla in una risorsa, invece che in un ostacolo. Perché, alla fine, il segreto non è solo saper colpire bene una pallina (moltissimi giocatori lo sanno fare molto bene), ma farlo anche quando conta davvero. E questa è una sfida che si vince dentro di sé, prima ancora che in un match di torneo.

 

Elena Uberti

La bussola del successo

Era la mia prima stagione come giocatore di basket in una squadra semi- professionistica. Mi allenavo tutti i giorni, seguivo il programma del coach, ma dentro di me c’era una sensazione strana, come se non bastasse. Non avevo un obiettivo chiaro: non sapevo se stavo lavorando per migliorare il mio tiro, la velocità, o per diventare un giocatore più completo. Ero solo concentrato a ‘fare tutto’, ma senza una direzione precisa. Dopo qualche mese, mi sono ritrovato frustrato e, peggio ancora, stanco mentalmente. È stato in quel momento che ho capito: senza una meta definita, stavo sprecando le mie energie e il mio potenziale.

Questa sensazione di smarrimento è comune a molti atleti, indipendentemente dal livello o dallo sport praticato. Che si tratti di basket, corsa, nuoto o qualsiasi altra disciplina, la mancanza di obiettivi chiari può portarci a vivere il nostro impegno come un viaggio senza destinazione. Ed è proprio qui che entra in gioco il GOAL SETTING, uno strumento essenziale per dare direzione e significato al nostro percorso.

Definire gli obiettivi cambia tutto.

Stabilire degli obiettivi significa dare un significato concreto al nostro impegno. Avere una meta, anche piccola, ci aiuta a sapere dove stiamo andando: quando abbiamo un obiettivo preciso, ogni allenamento, ogni sacrificio diventa un passo avanti verso qualcosa di tangibile. È come avere una BUSSOLA: magari il viaggio è lungo, ma sai di essere sulla strada giusta. Nei momenti in cui la fatica si fa sentire, quando i risultati sembrano lontani, gli obiettivi ci ricordano perché abbiamo iniziato. Sono il nostro punto di riferimento, la base a cui tornare quando tutto sembra confuso. Infine, definire gli obiettivi ci orienta a riconoscere il progresso: senza obiettivi, rischiamo di ignorare i piccoli successi quotidiani. Eppure, ogni miglioramento, per quanto piccolo, è una conquista che merita di essere celebrata, ogni volta.

Nutrirsi di soddisfazioni è essenziale.

La capacità di apprezzare il viaggio, non solo la destinazione ci dà grande forza. Quando abbiamo obiettivi chiari, possiamo dividerli in tappe intermedie, ognuna delle quali rappresenta un motivo per sentirci soddisfatti e motivati. Pensaci: quanto è diverso dire “voglio migliorare nella corsa” rispetto a “voglio abbassare di 5 minuti il mio tempo sui 10 km in tre mesi”. Il secondo obiettivo è concreto, misurabile, e ci permette di celebrare ogni piccolo passo avanti. Ogni miglioramento diventa una ricarica di energia, una conferma che il nostro impegno sta dando frutti.

Il goal setting è molto più di una strategia: è un alleato.

Ci aiuta a restare concentrati, a sentirci in movimento, e a dare un senso profondo al nostro lavoro. Non importa quanto lontano sia il traguardo finale: ciò che conta è sapere che stiamo avanzando, passo dopo passo. Perché in fondo, ogni successo nasce da una serie di piccoli passi, ciascuno più significativo di quanto immaginiamo. Ogni obiettivo raggiunto, anche il più piccolo, ci ricorda che siamo capaci di andare avanti. E questa consapevolezza, da sola, è la forza più grande che possiamo avere.

Sandro Anfuso

Il valore di una doccia

La mia sveglia suonava spesso alle 4:30. Acqua fresca sul viso, pantaloncini e maglietta indossati in fretta, calzini e scarpe allacciate. Uscivo di casa, il suono della serratura che si chiudeva dietro di me, mentre un’alba timida si preparava a svelare un’altra lunga giornata.

“I primi 2 km mentono; lascia fare al tuo corpo quello che sa fare meglio”, mi ripetevo, soprattutto quando la tentazione di tornare a casa si faceva insistente. Ma poi, con il sole che iniziava a illuminare la strada, un sorriso si allargava sul mio volto: era un momento intimo, un dialogo profondo fra la mia mente, il mio corpo e la natura che mi circondava. Un passo dopo l’altro, il ritmo si intensificava e i chilometri scorrevano, alcuni giorni più facilmente di altri. Negli ultimi due mesi di preparazione per il campionato del mondo di Ironman, gli allenamenti erano diventati una sfida continua di auto-controllo, perseveranza e disciplina.

Indipendentemente da come andassero le sessioni mattutine, ricordo con vividezza il momento che seguiva la fatica: la doccia. Aaaa che meraviglia! Sebbene sia una pratica igienica e sociale, in quel momento, per me la doccia assumeva un significato speciale: era un rituale di gratitudine, verso il mio corpo che mi permetteva di inseguire le mie passioni, e verso la mia mente, che mi faceva saltare giù dal letto alle 4:30 del mattino. La doccia dopo l’allenamento era per me un abbraccio alla fatica, ai chilometri corsi, al riconoscere l’impegno per raggiungere i propri obiettivi.

La gratitudine, spesso trascurata, è un sentimento incredibilmente potente: riconoscere gli allenamenti impegnativi, i sacrifici fatti e il supporto ricevuto da allenatori, amici e familiari ci aiuta a comprendere il valore del nostro percorso. Questa consapevolezza non solo allevia la pressione legata al risultato, ma ci permette anche di gestire meglio lo stress e di aumentare la nostra fiducia, preparandoci ad affrontare con determinazione le sfide di una gara sportiva o della vita.

L’invito è quindi di creare un momento in cui stringerti forte prima di una competizione per te importante, dopo un allenamento difficile, o quando stai attraversando un momento pieno di sfide: riconosci quanta strada hai già fatto, al di là di quanto sarà ancora lungo il viaggio.

Giada Cananzi

Vivere tra Sport e Like. La Sfida della Visibilità per gli Atleti

Nel mondo iperconnesso di oggi, un atleta non si limita più a vincere gare: vive sotto i riflettori dei media 24 ore su 24. Questa visibilità gioca un ruolo cruciale nella vita di ogni sportivo, infatti, i social sono sia il mezzo principale per la promozione di brand e messaggi, ma sono anche motivo di forti critiche e stress. Partendo dall’esempio di diversi sportivi, proveremo a capire quanto i social impattino nella loro routine e performance. I casi di Gianmarco Tamberi che aggiorna i suoi fan fino a sette volte in un solo giorno di gara, e di Naomi Osaka che si disconnette completamente dai social per mantenere la concentrazione, ci suggeriscono che la relazione tra sportivi e visibilità pubblica sembra rivelarsi un’arma a doppio taglio.

 

Il primo nome che viene in mente, quando si parla di sport e social, è sicuramente Cristiano Ronaldo. Infatti, possiede il profilo Instagram più seguito al mondo, con oltre 500 milioni di follower, CR7 non è solo una star del calcio, ma un vero e proprio brand globale. La sua capacità di curare meticolosamente la sua immagine sui social gli ha permesso di creare una vera e propria azienda il campo da gioco, collaborando con marchi internazionali e ora promuove i suoi prodotti brandizzati CR7, che vanno dall’abbigliamento, come intimo e materiale sportivo, fino a profumi e prodotti per la casa.

 

Nel mondo del tennis invece, possiamo citare due episodi recenti e radicalmente opposti. Queste due posizioni mostrano chiaramente come i social media possano influenzare le carriere degli atleti, sia in modo positivo che negativo. Da una parte c’è Naomi Osaka, che ha scelto di prendersi una pausa dai social media per concentrarsi meglio sul suo gioco e sulla sua salute mentale. Nel 2021, la tennista ha fatto notizia quando ha deciso di ritirarsi dal Roland Garros dopo aver rifiutato di parlare con i media, sottolineando l’impatto che la pressione e la i riflettori puntati hanno avuto su di lei. Questa scelta coraggiosa ha portato a un dibattito pubblico sulla salute mentale degli atleti, mettendo in evidenza quanto sia importante per loro allontanarsi dalle pressioni esterne e ritrovare la serenità necessaria per affrontare le sfide in campo. Osaka ha capito che, per poter dare il massimo nel tennis, doveva anche prendersi cura di sé, liberandosi dal rumore e dalle distrazioni.
Dall’altra parte, abbiamo Nick Kyrgios, che, dopo essersi infortunato durante la stagione estiva del 2023, ha trovato un nuovo modo per far parlare di sé. Invece di utilizzare questo tempo lontano dal campo per riflettere, ha cominciato a sfruttare la sua visibilità sui social media per alimentare polemiche. Non ha esitato a criticare diversi sportivi, tra cui Jannik Sinner, mettendo in discussione non solo l’atleta ma anche la sua persona: polemizzando sul caso di doping e la sua relazione. Questa scelta ha dimostrato come Kyrgios utilizzi la sua piattaforma per rimanere rilevante, provocando e generando controversie, rendendo evidente il divario tra chi cerca di mantenere la propria concentrazione sportiva e chi usa la visibilità per alimentare rivalità e tensioni.

 

In Italia, un caso emblematico è quello di Gianmarco Tamberi, campione olimpico di salto in alto alle Olimpiadi di Tokyo. Ha sfruttato i social media per promuovere la sua immagine e condividere momenti significativi della sua vita e della sua carriera. Tuttavia, alle recenti Olimpiadi di Parigi, non è riuscito a confermare il suo successo e ha subito forti critiche sui social. Molti lo hanno criticato, accusandolo di pensare troppo ai social, pubblicando anche sette post il giorno della gara. Ma in realtà, stava affrontando un problema ben più serio: soffriva di calcoli renali, un dolore insopportabile che l’ha costretto al ricovero prima della competizione. Questa condizione ha chiaramente compromesso la sua forma fisica e, quindi, la sua performance. Nonostante questo, molti hanno dato la colpa alla sua attività online, ignorando completamente il suo stato di salute. Invece di ricevere supporto, ha ricevuto solo critiche.

 

Questa situazione fa riflettere sul potere dell’esposizione sui social media. Mentre da una parte amplificano le vittorie e il potere mediatico degli atleti, dall’altra creano una pressione enorme. Gli sportivi con un’altissima visibilità, proprio come Tamberi, devono gestire le aspettative e i giudizi del pubblico, che influenzano e minano sia le loro prestazioni, sia la loro vita personale.

 

In conclusione, le esperienze di Naomi Osaka, Gianmarco Tamberi e Cristiano Ronaldo mettono in luce le diverse sfide e strategie che gli atleti affrontano nell’era dei social media. Chi ha saputo trasformare i social in un potente strumento per costruire il suo brand, dimostrando come la visibilità possa essere utilizzata strategicamente per promuovere. Oppure, chi ha vissuto la pressione della visibilità, trovandosi a dover affrontare critiche anziché supporto, spingendo molti sportivi al completo abbandono dei media.
Tutti questi casi sottolineano l’importanza di un approccio equilibrato e consapevole nei confronti della fama e della pressione, evidenziando la necessità di un ambiente di supporto che consideri le fragilità umane di tutti gli atleti.

 

L’illusione di una connessione diretta con i fan può diventare un’arma a doppio taglio. Gli atleti pagano un prezzo alto per la visibilità e il successo. È fondamentale che la società e i tifosi comprendano il peso di questa esposizione e creino un ambiente più supportivo, che consideri anche le fragilità umane degli atleti.

 

Che si tratti di un’opportunità o di un ostacolo, l’esposizione mediatica è ormai parte integrante della vita di ogni atleta. La vera sfida sta nel trovare un equilibrio: sfruttare il potenziale dei social media per crescere, senza farsi schiacciare dal peso della costante visibilità.

 

Federico Cesati

Il ritiro di Nadal e Ferrari: cosa c’è dietro il “gene” del talento?

Il recente ritiro di due grandi atleti, Rafael Nadal e Vanessa Ferrari, dal tennis e dalla ginnastica artistica, suscita una riflessione sul “talento” come dono imprescindibile degli atleti di successo.
Dopotutto, i risultati parlano chiaro: il tennista spagnolo vanta 22 Grandi Slam, oltre 90 titoli ATP e numerose settimane in vetta al ranking mondiale.
La ginnasta italiana, invece, ha conquistato il titolo mondiale nel corpo libero e diversi titoli sia europei che nazionali.

Cosa accomuna di così eccezionale queste due persone? È forse il gene del talento?

Esplorando la carriera di entrambi gli atleti, possiamo notare qualcosa che va oltre i loro risultati. Nel video di ringraziamento di Nadal e nelle righe scritte da Ferrari sui social, c’è un elemento comune: I ringraziamenti.

Il ruolo della rete di supporto è cruciale per la vita di un atleta. Allenatori, familiari, amici e compagni di squadra forniscono sostegno, supporto e fiducia. Entrambi gli atleti, infatti, hanno espresso gratitudine verso i propri cari e il proprio team che, per molti anni, ha accompagnato le loro carriere sportive.
Il “talento” è un concetto spesso dibattuto; eppure, una cosa è certa: la pratica, la dedizione e il supporto delle persone accanto all’atleta permettono ad ognuno di loro di spendersi ed esprimere appieno il proprio potenziale. Il successo all’interno dello sport, infatti, è un percorso di crescita della propria consapevolezza che richiede tempo e un ambiente favorevole.
L’idea che i grandi atleti siano “nati per vincere” è superficiale e rischia di dar per scontato che dietro a grandi risultati ci siano persone che “sono fatte così”, alimentando una cultura che dà poco valore alle risorse interne come motore della propria motivazione e, quindi, del proprio successo.

Ma cosa significa supportare l’atleta?
Supportare l’atleta significa, ad esempio, sostenerlo emotivamente attraverso un ascolto sincero e una comunicazione positiva, fornire feedback costruttivi, aiutarlo nella pianificazione del proprio gioco e sostenerlo nel mantenere un equilibrio tra sport e vita personale.
Un team di supporto ha numerosi benefici sull’atleta!
Pensiamo alla potenza di un allenatore o un genitore che ha fiducia nelle capacità dell’atleta: che si tratti di un allenamento o una gara, la persona porterà dentro di sé dei vissuti positivi sulle sue figure di riferimento, alimentando così la sua motivazione, prevenendo situazioni di profondo malessere e costruendo una rete che interviene in caso di difficoltà.
E così, anche Nadal e Ferrari, ringraziando personalmente il team che li ha sostenuti nei loro anni di carriera professionale, ci comunicano che il talento è solo la punta dell’Iceberg di un lavoro che parte dalla perseveranza dell’atleta e si poggia su un “materasso”, costituito dalle persone che hanno creduto e credono in loro.

E tu, hai mai pensato che il talento di un atleta nasconda, in realtà, dedizione, perseveranza, sacrifici e supporto di una rete di riferimento?

Tamara Sciuto

Cultura dell’alibi: Quando non succede quello che voglio

E’ il momento, il giorno tanto atteso è arrivato. Mi sveglio, seguo la mia routine e oggi mi sento sicura/o di me. Entro in campo e faccio un check-up interno delle mie sensazioni: fisicamente mi sento in forma, mentalmente pronta/o e motivata/o ad affrontare la sfida. Tutto sembra essere al posto giusto, ma ad un certo punto qualcosa cambia. L’energia comincia a calare, e nella mia testa inizia a farsi strada un pensiero insistente: “Non sta funzionando, non sta andando come previsto, voglio solo andare a casa.”

Il corpo inizia a tradirmi: la caviglia, da poco guarita, inizia a fare male, un senso di nausea mi assale. Penso subito: “Sarà che ho dormito poco? Sarà l’umidità? O forse è stata la colazione?” Le gambe diventano pesanti, il respiro si accorcia, il battito accelera, e, nonostante l’allenamento, mi sento stanca/o.

Dentro di me emerge una domanda che si fa sempre più forte: “Perché sta succedendo a me? Perché gli altri sembrano così tranquilli e al top?” E, come spesso accade, iniziano le autocritiche: “Ti sei sopravvalutata/o, non sei all’altezza. Devi allenarti di più.”

Sono lì, di fronte all’avversaria/o, ma soprattutto di fronte a me stessa/o. Mi trovo davanti ad una scelta: come reagire? So cosa avrei bisogno di fare, vorrei incoraggiarmi, ma qualcosa dentro di me mi blocca. Invece di accettare la situazione, comincio a cercare alibi: “Fa troppo caldo, ci sono troppe persone, le gambe non rispondono, la mia mente è invasa da pensieri incontrollabili.” Provo a dare la colpa agli altri, ma non funziona, perché so che la responsabilità è mia.

Dove posso trovare la forza e il coraggio per mettere in discussione tutto? Per accettare che la situazione non sta andando come previsto? Nella mia testa, avevo immaginato ogni dettaglio, avevo pianificato tutto, ma la realtà è diversa: perché?

 

L’alibi nello sport e nella vita: il bisogno di controllo

La situazione che ho appena descritto rappresenta un esempio di quella che viene definita “cultura dell’alibi” nello sport. Spesso, quando le cose non vanno come si vorrebbe, si tende a cercare dellescuse esterne per giustificare il disagio che si sente o il calo di performance. Quante volte, di fronte ad una difficoltà, la prima reazione è cercare cause esterne?

La verità è che è molto più facile dare la “colpa” a qualcosa o qualcuno piuttosto che guardare dentro di sé e assumersi le proprie responsabilità.

In realtà, la cultura dell’alibi è un meccanismo difensivo che si utilizza per proteggere la nostra autostima. Quando ci si trova in una situazione di stress, come una competizione sportiva, il cervello entra in “modalità protezione”. Invece di affrontare direttamente la sfida, si cerca di spostare l’attenzione su fattori che si ritengono essere fuori dal nostro controllo. Questo permette di evitare l’ammissione di un fallimento personale, ma allo stesso tempo impedisce di crescere e di imparare dall’esperienza.

Superare l’alibi e accettare l’imprevisto

Per uscire dalla cultura dell’alibi, è necessario sviluppare la capacità di accettare l’imprevisto e le difficoltà come parte integrante del processo di crescita sportivo (e della vita in generale). L’autoconsapevolezza è la chiave: essere in grado di riconoscere i propri limiti, ma anche le proprie risorse, permette di affrontare le sfide con maggiore serenità.

Il focus dovrebbe spostarsi dal controllo esterno a quello interno per chiedersi: “cosa posso fare qui ed ora per gestire e migliorare la mia performance?”

Federica Cominelli

Olimpiadi 2024: non solo podio!

Lunedì 23 Settembre 2024 sono andate in scena al Quirinale le premiazioni dei campioni sportivi italiani che hanno partecipato alle Olimpiadi e Paralimpiadi di Parigi 2024.

Quest’anno il Presidente Mattarella, per la prima volta nella storia del Paese, ha deciso di convocare ed incontrare non solo i vincitori di medaglie d’oro, d’argento e di bronzo, ma anche i vincitori della cosiddetta “medaglia di legno” cioè i quarti classificati.

Perché questa notizia merita attenzione?

Che cosa c’è di così rivoluzionario nel voler riconoscere anche gli sforzi di chi è rimasto fuori dal podio?
Come psicologi dello sport vogliamo offrire la nostra interpretazione e cogliere l’occasione per spiegare che ci sono precise ragioni legate alla promozione del benessere psico-emotivo degli sportivi per cui è doveroso iniziare a riconoscere l’importanza dell’essere stati presenti in gara, di averne potuto fare esperienza diretta e magari aver sfiorato il risultato sperato.

Una cerimonia che riconosce anche i quarti posti, quindi, simbolicamente ci dice di non pensare soltanto alle coppe o alle medaglie vinte, ma considerare i miglioramenti fatti nel tempo, avere ben chiari gli obiettivi e avere fiducia del fatto che se il percorso è orientato al benessere dell’atleta e favorisce la sua massima espressione nella performance, poi i risultati arrivano da soli.

Dal punto di vista mentale, infatti, focalizzarsi sulle tappe del percorso sportivo e quindi sugli obiettivi tecnici, tattici, fisici e mentali che ci permettono di performare al meglio, aumenta l’autostima, la motivazione interna e la fiducia in sé stessi. Al contrario, concentrarsi soltanto o soprattutto sul risultato (quindi sul vincere una medaglia a tutti i costi) favorisce la comparsa di ansia da prestazione, che si manifesta non solo con crisi di panico o di paura ma anche con comportamenti spesso meno visibili e del tutto inconsapevoli come autosabotaggi, evitamento e nello sport giovanile anche drop-out sportivo.

E’ questo il grande insegnamento che ci ha regalato, sempre alle Olimpiadi di Parigi, il pianto di gioia della nuotatrice Benedetta Pilato per il suo quarto posto nei 100 rana!

Con questo non vogliamo semplificare dicendo che “l’importante è partecipare”. Ma vogliamo far riflettere sul peso che obiettivi esclusivamente di risultato possono avere sugli atleti e sulle conseguenze dirette sulla loro salute psico-emotiva e sulla loro crescita agonistica.

E tu? Ricerchi la medaglia a tutti i costi e quindi entri in frustrazione se non la vinci oppure sai vedere i risultati del tuo lavoro in allenamento anche nei più piccoli miglioramenti?

Valentina Marchesi

 

Perché “Bravo!” Fa Bene: La Cultura del Riconoscimento nello Sport

Immagina la scena: sei in palestra, o magari sul campo di gara, hai dato tutto te stesso e, alla fine dell’allenamento o della competizione, qualcuno ti dice “Bravo!”. Sembra una cosa semplice, vero? Eppure, quel piccolo gesto, quelle poche lettere, possono avere un impatto incredibile sulla tua motivazione, sul piacere di fare sport e sul tuo impegno costante.

Questo tema e’ semplice ma molto importante nello sport e nella vita: la cultura del riconoscimento. Che tu sia un atleta professionista o semplicemente ami il movimento nel tempo libero, sentirsi apprezzati può fare una grande differenza.

Un “Bravo” non e’ mai sprecato. Che tu abbia dato il meglio di te in una maratona o fatto semplicemente una serie di piegamenti, il riconoscimento è fondamentale, vale sempre. Non sto parlando solo di premi o medaglie, ma di un semplice “Bravo!”. Riconoscere uno sforzo, piccolo o grande che sia, genera una spinta emotiva. È come ricevere una mini-ricarica di energia mentale che ti dice: “Stai facendo bene, continua così!”.

Essere riconosciuti dagli altri ci fa sentire visti, impotanti, e questo è uno dei fattori più potenti nella motivazione. Quando un allenatore, un compagno di squadra o anche solo un amico ti dice che hai fatto un buon lavoro, la tua mente associa lo sforzo all’appagamento emotivo. È come se il tuo cervello pensasse: “Ok, fare fatica porta a qualcosa di positivo”. Ed ecco che, quasi senza accorgertene, sei più propenso a metterci lo stesso impegno la prossima volta… se non di più!

Non bisogna limitarsi al riconoscimento post gara o a fine allenamento. In molti sottovalutano quanto possa essere prezioso anche prima di una competizione o di una sessione importante. Dire “Bravo!” o “Hai lavorato bene fin qui, continua così!” prima di una gara aiuta a entrare nella giusta mentalità. Un incoraggiamento pre-gara può ridurre l’ansia, aumentare la fiducia e preparare la mente per affrontare lo sforzo con il giusto spirito. Al contrario, il post gara è il momento perfetto per tirare le somme e fare un bilancio. Anche quando il risultato non è dei migliori, un riconoscimento per l’impegno è cruciale. Ricorda: non si vince sempre, ma si può sempre fare del proprio meglio. Apprezzare l’impegno è il primo passo per migliorare.

La cultura del riconoscimento aiuta a costruire un ambiente sportivo sano e positivo. Se fai parte di una squadra, ad esempio, dire “bravo” ai tuoi compagni aiuta a creare un clima di supporto reciproco. Più il gruppo è unito e si apprezza a vicenda, più aumentano l’ingaggio e il piacere di allenarsi e competere insieme.

Dire “Bravo!” non significa solo premiare i successi, ma anche incoraggiare lo sviluppo, la crescita. Anche nei giorni in cui senti di aver fatto fatica e di non aver raggiunto il tuo massimo potenziale, il riconoscimento aiuta a concentrarsi sul progresso. Ogni passo avanti, anche piccolo, è un traguardo. Ricorda: la crescita nello sport è un percorso, non una destinazione.

Ti invito, la prossima volta che finisci un allenamento o una gara, a regalare un “Bravo!” a qualcuno. Non solo a te stesso, cosa fondamentale da inserire nella propria pratica quotidiana,ma anche agli altri. Ti accorgerai di come, piano piano, si creerà un circolo virtuoso di positività, motivazione e impegno. Lo sport diventa più divertente, e i risultati arrivano prima di quanto pensi.

Quindi, Bravo! anche a te che hai letto fino a qui. Ora vai là fuori e goditi il piacere di fare sport con un sorriso!

 

Sandro Anfuso

LE MENTAL SKILLS NELL’ATLETICA

I campionati europei di atletica leggera a Roma hanno rappresentato un trionfo importante per l’Italia, consolidando il successo già ottenuto alle Olimpiadi di Parigi, svoltesi lo scorso agosto. Gli atleti italiani hanno ottenuto risultati straordinari, vincendo il medagliere di questa edizione svoltasi in casa. Le vittorie azzurre non sono state solo frutto di abilità fisiche, ma anche di un intenso allenamento mentale che, soprattutto dopo il successo ottenuto alle Olimpiadi di Tokyo, ha permesso all’Italia di ritornare tra i protagonisti.

Un esempio significativo di questo connubio tra preparazione fisica e mentale è rappresentato dai fratelli Mattia ed Erika Furlani. Mattia, giovane saltatore in lungo, ha già dimostrato il suo grande potenziale battendo il record, prima italiano e poi mondiale, di categoria. Sta ora costruendo la sua carriera con l’ambizione di arrivare a superare la barriera dei 9 metri, accompagnato da una notevole consapevolezza mentale. “C’è un clima veramente assurdo. Tokyo è stata decisiva sotto questo punto di vista. Tutti quanti stanno prendendo consapevolezza che alcuni risultati non sono impossibili e si possono raggiungere rimanendo concentrati sul proprio percorso. Mi piace l’attenzione che c’è verso di me. Se faccio tutto questo, è soprattutto per il pubblico e per far sognare la gente. Far capire di credere in se stessi è una parte fondamentale del mio compito. Sono contento che il pubblico sia sempre più appassionato all’atletica, poi ovviamente è fondamentale rimanere tranquilli. Io sono ancora in una fase di crescita biologica importante e non vorrei che una gara andata male mettesse in discussione tutto ciò che c’è stato prima. In un percorso ci sono delle tappe che bisogna rispettare.”

Anche sua sorella, Erika Furlani, è un esempio di come la preparazione mentale possa fare la differenza. Da anni è seguita dagli psicologi dello sport di SMA team, un gruppo di professionisti specializzati nel mondo dell’atletica. Questa collaborazione proficua e duratura ha contribuito in maniera determinante alla sua crescita come atleta, permettendole di affinare le sue mental skills e affrontare le competizioni con un approccio sempre più consapevole. Il team di preparatori mentali di SMA include anche ex-atleti a livello nazionale, il cui contributo è fondamentale. La loro preparazione e competenza mentale si integrano perfettamente con l’esperienza diretta da atleti e allenatori, creando un approccio multidisciplinare che è uno degli elementi chiave del successo degli atleti seguiti da questo team di professionisti.

Inoltre, l’importanza della fiducia e della sfida verso se stessi in un processo di miglioramento costante è sostenuta da altri atleti come Marcell Jacobs. Dopo l’oro olimpico a Tokyo, ha deciso di stravolgere tutto e uscire dalla propria comfort zone, mettendosi nuovamente alla prova. Non è stato risparmiato dal clamore mediatico che l’ha subito messo alle strette dopo i risultati delle prime gare svolte quest’anno, che non rispecchiavano i tempi da lui corsi due anni fa. Tuttavia, si è subito dovuto ricredere dopo la vittoria agli europei, in cui ha siglato 10.02. Queste le sue parole: “Nella mia testa non c’è mai la parola sconfitta. Uno scende in pista per dare sempre il 100%. Sono molto contento, anche se sapevo che potevo correre più forte. È un processo che bisogna saper rispettare, un percorso che ho fatto con il mio nuovo allenatore che mi dà tanta fiducia siccome sa sempre cosa stiamo facendo e come lo stiamo facendo.”

In questo movimento, molti giovani si sono fatti trasportare dall’energia e dallo spirito di questa squadra, nella quale si respira fiducia verso se stessi e ottimismo verso il futuro, con il focus sul percorso. Ricordano il proprio valore e le proprie risorse, che permettono loro di giocarsi le medaglie e non scendere più in campo solo per partecipare. Prima fra tutti, Zaynab Dosso, che sottolinea l’importanza degli obiettivi. “Quello che hanno fatto a Tokyo mi ha lasciato un fuoco dentro incredibile. Ero lì, alle prese con mille infortuni, ma mi hanno trasmesso grande energia,” racconta Dosso. “È stato un momento magico. Quando sono tornata, mi sono detta che avrei dovuto fare qualcosa per me stessa. Sto dedicando tutta la mia vita a provare a raggiungere i miei obiettivi”.

Nonostante l’attenzione su altri grandi atleti, Gianmarco Tamberi rimane un simbolo di resilienza. La sua storia ha contribuito a ispirare molti giovani, tra cui gli stessi fratelli Furlani. La sua capacità di trasformare un grave infortunio alla caviglia, che gli era costato l’esclusione dalle Olimpiadi di Rio nel 2016, in uno stimolo per crescere e tornare a volare con ancora più motivazione e determinazione, è esemplare. Dopo quella vicenda, Tamberi si è fissato un obiettivo specifico: vincere a Tokyo 2020. È riuscito a coronare questo sogno, rendendo la vittoria ancora più unica e memorabile condividendola con il suo amico Barshim, sottolineando i valori di lealtà e amicizia che alimentano lo sport.

Sono così anche nell’atletica sempre più ricorrenti i temi di fiducia, goal setting, resilienza, resistenza mentale, focus e intensità, la cui importanza è sempre più riconosciuta. Questo denota come l’allenamento delle mental skills, affiancato all’allenamento fisico e al duro lavoro, permetta di tirar fuori le proprie risorse e gestire gli elementi non tecnici, sia personali che contestuali, che inevitabilmente influenzano la performance, spostando sempre il focus dal problema alla soluzione e migliorando nettamente l’efficienza delle prestazioni.

 

Di Elena Uberti

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