Autore: Francesco Volpiana

Il dialogo interiore di Roger Federer 🧠

Quando pensiamo ad un atleta come Roger Federer, siamo abituati ad associare le sue vittorie al talento, alla tecnica e all’eleganza in campo. Ma Federer stesso ha più volte ricordato che dietro i suoi trionfi c’è anche – e soprattutto – un lavoro mentale.

Un esempio emblematico è la sua vittoria contro Rafael Nadal nella finale dell’Australian Open 2017. A 35 anni, dopo mesi lontano dal campo per infortunio, Federer si trovò a fronteggiare il suo storico rivale. Cosa lo ha sostenuto in quel momento? La mentalità e il dialogo interiore.

🎾 Giocare punto per punto

Federer racconta:

Vai là fuori e gioca punto per punto. Credici e continua a prendertela con Rafa, poi se è troppo bravo, è troppo bravo”.

Questa frase racchiude un concetto semplice ma potentissimo: la capacità di restare nel presente, credere nel proprio gioco e accettare che non tutto è sotto il proprio controllo.

🗣️ Il dialogo interiore come strumento

Federer ha spiegato anche come, durante la partita, si sia parlato in questi termini:

È stato facile dire a me stesso: non hai nulla da perdere, Roger. Va bene perdere”.

Questa forma di auto-dialogo gli ha permesso di abbassare la pressione, ridurre l’ansia e affrontare i punti decisivi con più libertà mentale.

Che cos’è il dialogo interiore?

Secondo Hardy e Zoubanos (2016), il dialogo interiore è composto da affermazioni, frasi o parole chiave rivolte a sé stessi, che possono essere espresse ad alta voce o solo mentalmente, e che hanno lo scopo di motivare, spiegare, interpretare o sostenere l’azione.

Latinjak et al. (2019) distinguono due tipologie principali:

1️⃣ Dialogo interiore organico
È quello spontaneo, che emerge naturalmente durante una prestazione. Federer, dicendosi “va bene perdere”, stava usando un dialogo interiore organico: un pensiero nato dalla situazione, utile a gestire la pressione.

2️⃣ Dialogo interiore strategico
È quello pianificato e deliberato. Per esempio, ripetere frasi come “respira e resta concentrato” o “gioca aggressivo con il diritto” è un dialogo interiore strategico, usato come vera e propria tecnica mentale per orientare la performance (Hatzigeorgiadis et al., 2011).

💡 Cosa impariamo da Federer?

Il dialogo interiore è una risorsa a disposizione di tutti, non solo i campioni.
Allenarlo significa imparare a riconoscere le frasi spontanee (organiche) e ad adottarne di più funzionali (strategiche).
Anche nei momenti di massima pressione, parlarsi con equilibrio e fiducia può fare la differenza tra bloccarsi e sfruttare il proprio potenziale.

👉 In SMA lavoriamo proprio su questi strumenti: aiutiamo gli atleti a prendere consapevolezza del proprio dialogo interiore e a trasformarlo in un alleato per la prestazione.

 

di Elena Uberti – Psicologa dello Sport e Psicoterapeuta

OLTRE LA TECNICA: LA RELAZIONE E LE EMOZIONI NELL’EQUITAZIONE

Nelle discipline equestri, ancor prima della componente tecnica, della preparazione fisica, il costrutto fondamentale che permette di praticare questo sport, nelle sue diverse specialità, è la relazione.

Relazione che il cavaliere instaura con l’altra componente del binomio: il cavallo, un animale dalle dimensioni e dal peso importanti, con cui è necessario saper comunicare in modo chiaro ed efficace. La comunicazione e la relazione sono fondamentali per ottenere qualsiasi risultato, dal vincere un Gran Premio, allo spostarsi dal punto A al punto B insieme, senza essere abbandonati indietro a seguito di una fuga o rimanendo invece bloccati al punto iniziale per un tempo indefinito.

Relazioni ed emozioni

Come in tutte le relazioni, centrale è l’importanza attribuita alle emozioni. La consapevolezza delle emozioni che proviamo ogni volta che saliamo a cavallo è un fondamentale elemento da cui raccogliere informazioni, sulla natura della situazione, sul nostro stato psicofisico e, non certo per ultimo, sullo stato psicofisico del cavallo. Accade, anche qui, come in tutte le relazioni, che vi siano incomprensioni e che le richieste del cavaliere non ottengano da parte del cavallo la risposta sperata. Questo tipico esempio ci può aiutare a capire meglio l’importanza della consapevolezza delle emozioni che proviamo quando entriamo in contatto con questi straordinari animali.

La paura è negativa?

La paura è un’emozione che può verificarsi all’interno sport come l’equitazione, in cui sono presenti pericoli oggettivi. Questa emozione ci ricorda, innanzitutto, un sano desiderio di auto conservazione: il segnale di un pericolo da cui proteggerci, o, ancora, il desiderio di perseguire un obiettivo a noi caro. Riconoscere, accettare e gestire la paura ci permette di avere un approccio lucido alla situazione ed agire nel modo migliore per risolvere la contingenza e superare gli ostacoli (letterali e simbolici) che si pongono davanti all’atleta e, in questo caso, al binomio. La paura è un’emozione forte, legata ad alti livelli di attivazione: il sistema nervoso simpatico si attiva e a livello fisiologico avvengono cambiamentiimportanti (Adolphs, 2013), come l’aumento della frequenza cardiaca, aumento della sudorazione e del rilascio di adrenalina; aumenta anche la tensione muscolare. Tutti questi segnali fisiologici vengono letti dal cavallo, filogeneticamente determinato come preda, come segnali i ulteriore pericolo: se ti preoccupi anche tu, come posso essere tranquillo io?

“Non devo più provare paura quindi?”

È importante, dunque, far sì che tale attivazione fisiologica venga riconosciuta, compresa e gestita da parte del cavaliere/dell’amazzone, così da poter utilizzare la giusta quantità di attivazione fisica per comunicare con il cavallo ed indirizzarlo verso l’obiettivo, come andare oltre all’ostacolo o semplicemente avanzare nella direzione da noi prescelta dopo un momento di fuga o simili.

Non provare più paura è irrealistico e dannoso.

Le domande da porsi sono, dunque: cosa ci sta comunicando quella emozione che stiamo provando? Cosa possiamo fare per gestirla in modo funzionale per noi e per il nostro partner equino, o in generale per la nostra performance sportiva? In breve: di cosa abbiamo bisogno in questo momento? Da questa domanda si aprono mondi interi per il mondo della psicologia, in questo caso quella sportiva. Lo psicologo dello sport, in SMA, si occupa di accompagnarti nel tuo percorso verso una maggior consapevolezza e capacità di gestione delle tue emozioni; processo che, irrimediabilmente, passa per l’identificazione di quelli che sono i tuoi bisogni. Sei pronto/a a scoprirli?

Bibliografia:

Adolphs, R. (2013). The biology of fear. Current biology, 23(2), R79-R93.

Prevenzione e mental training: il ruolo della mente nel rischio di infortunio sportivo

Quando si parla di infortunio sportivo, si pensa subito al corpo: muscoli, articolazioni, gesti tecnici. Eppure, la ricerca scientifica ha dimostrato con chiarezza che anche la mente gioca un ruolo decisivo nel rischio di infortunio.

Secondo il modello di Williams & Andersen (1998), lo stress percepito è uno dei fattori più rilevanti. Non si tratta solo di “sentirsi tesi”: sotto stress, l’atleta può sviluppare risposte psicologiche e fisiologiche che aumentano concretamente le probabilità di farsi male.

Quali sono i meccanismi psicologici che aumentano il rischio?

Tensione muscolare: il corpo non è più fluido, i movimenti diventano più rigidi e meno efficaci.
Restringimento percettivo: l’atleta riduce il proprio campo visivo e attentivo, perdendo informazioni importanti (es. posizione degli avversari).
Incremento della distraibilità: la mente vaga, l’errore tecnico cresce e l’incidente è più probabile.

Questi fenomeni spiegano perché:

Atleti con alti livelli di stress hanno maggiori probabilità di infortunio.
Atleti che integrano strategie di preparazione mentale riducono il rischio, perché imparano a gestire lo stress, mantenere la concentrazione e ascoltare meglio i segnali del corpo.

Dal rischio alla prevenzione: il ruolo della preparazione mentale

Allenare la mente non significa solo “prepararsi alla gara”, ma anche costruire condizioni di benessere psicofisico che hanno effetti protettivi sulla salute.
In SMA lo vediamo ogni giorno sul campo: tecniche di respirazione, routine di concentrazione, visualizzazioni e lavori sulla consapevolezza corporea non solo migliorano la performance, ma diventano strumenti di prevenzione degli infortuni.

Un approccio integrato per proteggere l’atleta

La preparazione mentale, inserita nel piano di allenamento, contribuisce a:

Ridurre la tensione muscolare attraverso il rilassamento;
Mantenere il focus anche in situazioni di pressione;
Rafforzare la capacità di interpretare segnali interni (stanchezza, dolore, carico psicologico);
Promuovere uno stato di equilibrio psico-fisico costante.

Un atleta mentalmente preparato non è solo più performante, ma anche più protetto. Lavorare sulla mente significa prendersi cura del corpo, prevenendo incidenti e garantendo continuità di allenamento e crescita sportiva.

Per questo, nei nostri percorsi SMA, il lavoro sulla prevenzione infortuni passa anche dalla testa: perché salute e performance non si separano mai.

Ylenia Scola e Elena Uberti

Autoregolazione: la vera base della performance

Chi ha lavorato con squadre della NFL come il collega Alex Auerbach (Ph.D), con i parajumperdell’Air Force e con CEO di aziende sa qual è la competenza che accomuna tutti i performer di élite. No, non è il talento. No, non è l’intelligenza.

È la capacità di autoregolarsi: saper mantenere mente e corpo in equilibrio anche sotto la massima pressione.Ed è proprio qui che la maggior parte delle persone commette l’errore più comune: si avvicina all’allenamento mentale al contrario. Partono dalla visualizzazione o dal dialogo interiore positivo quando il loro sistema nervoso è già disregolato.
È come costruire una casa partendo dal tetto, senza fondamenta.

La gerarchia dell’autoregolazione

Per costruire un gioco mentale solido, l’ordine più funzionale potrebbe essere questo:

1. Regolazione dell’attivazione (introduzione)

Se la tua risposta allo stress è fuori controllo, niente funziona.
Imparare a regolare l’arousal – con il respiro, la consapevolezza corporea, le routine pre-performance – è la base su cui poggia tutto il resto.

2. Controllo dell’attenzione (step successivo)

Solo quando sei in grado di gestire il livello di attivazione puoi portare l’attenzione dove serve.
Se sei caotico internamente, la concentrazione non regge.

3. Strategie cognitive (Step avanzato)

Visualizzazione, self-talk, decision making…sono strumenti potenti.
Ma funzionano solo se poggiano su fondamenta solide.

Cosa ci dice la ricerca?

Gli atleti d’élite ottengono punteggi più alti nell’automonitoraggio e nella regolazione dello sforzo.
Non sono solo più forti o più veloci: sono maestri di questa gerarchia.

Non saltare i fondamentali.
Impara prima a regolare il tuo sistema nervoso.
Solo dopo costruisci l’attenzione.
Infine, applica le strategie cognitive.

Molti saltano il primo livello e si chiedono perché il loro allenamento mentale non migliori.

Non essere “la maggior parte delle persone”.
Costruisci le tue fondamenta con professionisti esperti della preparazione mentale.

Con SMA lavoriamo ogni giorno con atleti, allenatori e squadre su queste competenze.
L’autoregolazione non è un talento innato, ma una abilità allenabile.

E tu?
A quale livello stai lavorando nella tua performance?

di Elena Uberti co-founder SMAteam

Trovare il giusto stato mentale in gara: la chiave per rendere al massimo

C’è chi entra in campo con l’adrenalina a mille e sbaglia i primi tre passaggi.
C’è chi parte troppo calmo e impiega metà partita a “svegliarsi”. In entrambi i casi il problema è lo stesso: non trovarsi nel proprio stato mentale ottimale per competere. In psicologia si parla di livello di attivazione: non troppo alto, non troppo basso, ma quello giusto per te.
Ed è proprio questa zona di equilibrio che può trasformare una gara da anonima a indimenticabile.

Quando sei troppo carico: iper-attivazione

Ti senti “a mille”, cuore che corre già nel riscaldamento, tanta voglia di dimostrare.
Il rischio? Frenesia, tensione muscolare, errori di scelta.

Segnali tipici:

respiro corto e irregolare,
pensieri come “non posso sbagliare”,
rigidità nei movimenti,
impulsività e difficoltà a seguire il piano di gioco.

Quando sei troppo scarico: sotto-attivazione

A volte arrivi in campo “piatto”: fisicamente presente, ma mentalmente distante.
Le emozioni sembrano assenti, la concentrazione fatica a salire.

Cause comuni:

motivazione poco chiara,
routine monotone,
stanchezza mentale,
percezione di scarsa importanza della gara.

Risultato? Una partenza lenta e tanti errori per disattenzione.

La tua zona ideale

Non esiste un livello “giusto” per tutti.
C’è chi performa meglio con energia alta, chi con calma lucida.
L’importante è riconoscere la tua zona di attivazione ottimale e imparare a raggiungerla.

Puoi farlo riflettendo sulle tue gare migliori:

come ti sentivi?
qual era il tuo dialogo interno?
come reagivi a errori e pressioni?

Un semplice diario mentale post-gara può aiutarti a individuare schemi e segnali.

Strategie pratiche per regolare l’attivazione

🔻 Se sei troppo carico

Respirazione diaframmatica lenta.
Focus su obiettivi tecnici (“faccio bene le prime 3 giocate”).
Routine calmanti: musica soft, stretching, visualizzazione rilassante.
Trasforma il “devo spaccare tutto” in “inizio bene e mi adatto”.

🔺 Se sei troppo scarico

Attivazione fisica con esercizi brevi e intensi.
Playlist energizzante.
Frasi motivanti (“È il mio momento”).
Visualizzazione dinamica delle prime azioni con ritmo e intensità.

Allenare la mente in allenamento

Lo stato di attivazione non si improvvisa: si allena.
Ecco perché in Sport Mindset Agency proponiamo esercitazioni che simulano:

gare ad alta pressione,
momenti di noia o routine,
diversi tipi di riscaldamento mentale.

L’obiettivo? Aumentare consapevolezza e capacità di adattamento, per aiutare l’atleta a trovare il proprio “canale giusto” anche nei momenti decisivi.

Conclusione

La performance non dipende solo dal talento o dalla preparazione fisica.
Dipende da come ti presenti mentalmente al via.

Né troppo carico da bruciarti, né troppo spento da non partire: il segreto è trovare il tuo equilibrio.
E come ogni abilità, anche questa si può allenare.

In SMA lavoriamo ogni giorno con atleti e staff per sviluppare strumenti pratici che li aiutino a entrare in campo nella loro condizione mentale migliore.

Perché la differenza, spesso, non la fanno le gambe. La fa la testa.

1. Yerkes, R. M., & Dodson, J. D. (1908). The relation of strength of stimulus to rapidityof habitformation. Journal of Comparative Neurology and Psychology, 18, 459482. 2. Simply Psychology. (s.d.). What is the YerkesDodson Law? Retrieved from Simply Psychology website. (Comprende una chiara spiegazione della curva invertedU applicata alla prestazione.) 3. Verywell Mind. (s.d.). The YerkesDodson Law and Performance. Retrieved from Verywell Mind website.

Di Tecla Oliveri – consulente SMAteam

Quando il calcio parte dal pensiero

Nel calcio moderno non basta allenare gambe e tecnica. Per diventare atleti completi serve allenare la mente: la capacità di leggere le situazioni, prendere decisioni efficaci e adattarsi al contesto.
È qui che entra in gioco il Metodo Ekkono, un approccio che unisce pedagogia, cognizione e calcio, sviluppato da Carles Romagosa e David Hernández e applicato in club come PSG e Barcellona.

Dal gesto al pensiero

La forza del Metodo Ekkono sta in una convinzione semplice ma rivoluzionaria: non basta eseguire, bisogna capire.
Ogni esercizio diventa un problema da risolvere, ogni allenamento un’occasione per allenare non solo il corpo, ma anche il pensiero. Domande come:

  • “Dove si apre lo spazio?”
  • “Quale altra soluzione avevi?”
  • “Cosa sarebbe successo se…?”

guidano l’atleta a riflettere, prendere coscienza delle scelte e sviluppare autonomia.

Tre livelli di comprensione

Il percorso proposto da Ekkono procede per fasi:

  1. Egocentrica → comprendere le proprie azioni.
  2. Sommativa → riconoscere il rapporto con i compagni vicini.
  3. Collettiva → leggere il gioco come squadra.

Un cammino che aiuta i giovani a diventare giocatori pensanti, capaci di muoversi e decidere con intelligenza.

Cosa significa per SMA

In Sport Mindset Agency lavoriamo in sinergia con allenatori e staff tecnico proprio su questi aspetti: stimolare il pensiero, sviluppare consapevolezza, trasformare l’allenamento in uno spazio dove l’atleta non “subisce istruzioni”, ma diventa protagonista attivo del suo percorso. Le nostre sessioni mentali e i nostri interventi nei club (come ad esempio sarà la nostra stagione con il Cittadella Woman, accordo appena firmato in questi giorni) si integrano perfettamente con metodologie come Ekkono, perché condividiamo la stessa filosofia: allenare la mente è parte integrante della performance. Di questo e molto altro parleremo lunedì 8 settembre alle ore 21:00 in diretta su Instagram, durante il nostro appuntamento settimanale SMA_nday.
Un’occasione per riflettere su come allenare non solo il fisico, ma soprattutto la testa, e su quanto questo possa fare la differenza in campo.

 

Elena Uberti

“Se vuoi, puoi”. Ma è davvero così?

28 luglio 2025, Singapore. Medaglia d’argento per Nicolò Martinenghi nella finale dei 100m rana ai Campionati del Mondo World Aquatics.
Ai microfoni della Rai, subito dopo la gara, il Campione Olimpico ha raccontato:

“Ora posso dirlo. Ieri sera dopo la mia serata ho passato tutta la notte in bagno. Ero vuoto dentro ma ero pieno in testa e nel cuore oggi. Ho pensato di dare forfait, ma l’orgoglio ha prevalso. Sono al settimo cielo, anche se non sembra”.

Queste parole hanno acceso sul web la solita retorica del “Se vuoi, puoi”, come se bastasse crederci per raggiungere qualsiasi traguardo.
Dal punto di vista psicologico, questa semplificazione è rischiosa: soprattutto per i giovani atleti, può trasformarsi in una fonte di frustrazione e senso di inadeguatezza, invece che in una spinta a dare il meglio.

Cosa c’è dietro il risultato

Quello che raramente si dice è che Nicolò Martinenghi è un professionista di altissimo livello, con anni di allenamento, difficoltà superate, un oro olimpico alle spalle, competenze tecniche e mentali consolidate.
Ha raggiunto un livello di maturità sportiva e consapevolezza di sé che gli permette di fidarsi del proprio percorso e affrontare anche le giornate peggiori. Per questo lui può. E noi gli facciamo i complimenti più sinceri.

Il messaggio per i giovani atleti

Invece di ripetere “Se vuoi, puoi”, raccontiamo ai ragazzi perché lui ci è riuscito:

  • perché ha lavorato a lungo sulla fiducia in sé stesso
  • perché sa canalizzare le emozioni
  • perché sa rimanere nel qui ed ora
  • perché rispetta il proprio corpo e la propria mente

Il risultato è il punto di arrivo, non il punto di partenza. Nei progetti SMA lavoriamo costantemente su questo aspetto, costruire obiettivi a lungo termine, lavorando in sinergia con tutte le aree. In ogni progetto sottolineiamo ad allenatori, famiglie e atleti che i risultati possono arrivare solo quando si è coltivata la preparazione fisica, tecnica, tattica e mentale.

La sfida di SMA per allenatori e genitori

Sosteniamo i giovani nel costruire:

  • consapevolezza di sé
  • capacità di gestire le emozioni
  • un dialogo interno rispettoso
  • la pazienza di fare un passo alla volta

Perché dietro a ogni “Se vuoi, puoi” c’è sempre un “Se ti prepari, puoi”.

Valentina Marchesi – SMAteam

Supporto psicologico: risorsa integrata o responsabilità dell’atleta?

“Se hai bisogno, senti questa professionista, ti giro il suo numero.”
“Abbiamo uno psicologo di riferimento, ma devi prendere tu appuntamento.”

Sono frasi che sentiamo ancora troppo spesso nei contesti sportivi. Frasi che sembrano offrire supporto…ma che in realtà rischiano di scaricare sull’atleta tutta la responsabilità di chiedere aiuto.

Con SMAteam lavoriamo ogni giorno per portare la preparazione mentale al centro dell’esperienza sportiva, non ai margini. Perché sappiamo che l’accesso alla salute mentale, soprattutto in ambienti competitivi, non può essere lasciato alla buona volontà del singolo.

Un modello “fai da te” è complesso.
In molte realtà, la salute mentale è ancora trattata come un optional. L’atleta riceve una lista di contatti o un consiglio generico, ma poi deve fare tutto da solo: scegliere il professionista, capire come incastrarlo nel proprio calendario di allenamenti, costruire una relazione di fiducia…magari mentre cerca di rientrare da un infortunio o affronta una crisi di performance.

Tutto questo accade in ambienti dove la vulnerabilità è spesso percepita come debolezza. Dove chiedere aiuto è difficile, e farlo in modo tempestivo ancora di più.

Non basta “avere uno psicologo”: serve una vera integrazione.
Nel lavoro che facciamo con le squadre, SMA propone un modello diverso. Un modello in cui il supporto psicologico non è esterno, ma radicato nella cultura del team. Dove il professionista mentale è presente, riconosciuto, accessibile.

Questo vuol dire:

  • Essere parte della quotidianità dell’atleta, non un contatto esterno da cercare “in caso di emergenza”.
  • Avere accesso diretto, senza passaggi intermedi o barriere organizzative.
  • Allineare staff e allenatori, in modo che il messaggio sia condiviso e coerente.
  • Costruire una cultura che normalizza il lavoro su sé stessi, senza stigma.

Una riflessione per dirigenti e staff
Non faremmo mai scegliere a un atleta il proprio preparatore fisico sfogliando una lista. Non gli diremmo “buona fortuna” per trovare il fisioterapista adatto. Allora perché farlo con la salute mentale?

Investire nella performance mentale non è un gesto simbolico, è un atto concreto di responsabilità. Significa creare spazi, figure e messaggi coerenti, perché l’atleta possa davvero prendersi cura della propria mente con lo stesso impegno con cui allena il corpo.

E questo, per noi di SMA, è uno dei passi più urgenti per costruire ambienti sportivi più sani, più completi, più umani.

Elena Uberti

Co-Fondatrice SMA Team

Il ruolo dei genitori nello sport: supporto o pressione?

Come l’atteggiamento dei genitori può influenzare fiducia, ansia e performance dei giovani atleti.

“Non serve a niente che ti alleni tutta la settimana se poi perdi queste partite.”
“Mi raccomando, non facciamo brutta figura.”
“Perché non giochi/ non vinci come il tuo compagno di allenamento?”

Quante volte frasi come queste – dette anche con buone intenzioni – finiscono per pesare sulle spalle dei giovani atleti? Il rapporto con i genitori può essere una delle spinte più forti per la crescita nello sport, ma anche una delle cause principali di ansia, frustrazione e calo di fiducia.

Nel lavoro quotidiano di SMAteam emerge spesso come la performance di un atleta sia fortemente condizionata non solo da ciò che succede in campo, ma anche dal clima familiare che lo accompagna fuori. Quando parliamo di mentalità vincente, non possiamo non considerare il ruolo dei genitori: a volte sono il motore, altre volte (senza volerlo) diventano un freno.

La passione trasmessa…in modi diversi

È naturale che un genitore voglia trasmettere la propria passione per uno sport ai figli. Come viene trasmessa questa passione fa tutta la differenza.

Un genitore che supporta, ascolta e incoraggia, aiuta il giovane atleta a mantenere alta la fiducia, a vivere le partite con maggiore serenità e a interpretare vittorie e sconfitte come occasioni di crescita. Al contrario, un genitore che critica, che mette a confronto con gli altri o che pretende risultati immediati, rischia di alimentare dubbi, insicurezze e frustrazioni.

Parole, sguardi, atteggiamenti: tutto comunica. E spesso, prima ancora delle tecniche o delle tattiche, sono questi dettagli a fare la differenza in campo.

Fiducia, ansia e performance: il triangolo delicato

Uno degli aspetti più delicati è la gestione dell’ansia pre-gara. Quando un atleta teme di deludere, la mente inizia a riempirsi di pensieri negativi: “Non posso sbagliare”, “Se perdo, cosa diranno?”, “Devo dimostrare che valgo”.

Questi pensieri aumentano la tensione, irrigidiscono il corpo e riducono la capacità di restare concentrati nel presente. Il risultato? Prestazioni sotto tono, errori banali, e un circolo vizioso di delusione e sfiducia.

Anche il post-partita è un momento critico: un genitore che manifesta delusione, anche solo con uno sguardo, può minare la fiducia del proprio figlio più di qualsiasi sconfitta.

Il ruolo chiave dei genitori nella preparazione mentale

La preparazione mentale di un atleta non può prescindere dal contesto familiare. Per questo, nei percorsi SMA coinvolgiamo sempre attivamente i genitori (anche nei corsi OPEN Academy predisposti in un calendario online con un appuntamento al mese), aiutandoli a riflettere su come sostenere i figli in modo costruttivo.

Ecco tre punti chiave su cui lavoriamo:

  1. Creare un clima positivo, dove il focus è sul miglioramento e non sul risultato.
  2. Rinforzare la fiducia, valorizzando l’impegno e il percorso, indipendentemente dall’esito della gara.
  3. Gestire la motivazione, aiutando l’atleta a restare concentrato e motivato anche nei momenti di difficoltà.

Il genitore non deve essere un “secondo allenatore” ossessionato dalla vittoria, ma un punto di riferimento emotivo, capace di accompagnare il figlio nelle sfide dello sport e della crescita personale.

Che tipo di genitore vuoi essere?

Ogni genitore ha il potere di influenzare il percorso sportivo del proprio figlio. La domanda è: vuoi essere un genitore che mette pressione o che costruisce fiducia?

Noi di SMAteam crediamo che educare alla mentalità sportiva significhi lavorare insieme: atleti, tecnici e famiglie. Nei nostri percorsi per genitori, offriamo strumenti concreti per supportare i figli non solo come sportivi, ma come persone che imparano a gestire le sfide con equilibrio, determinazione e consapevolezza.

Perché, alla fine, il vero risultato non è solo la vittoria in campo, ma la crescita di atleti sereni e motivati, pronti ad affrontare le competizioni…e la vita.

Elena Uberti

Co-Fondatrice SMA Team

Competizione e trasferta: routine mentali da allenare

Quando partiamo per un torneo all’estero, so che non sarà solo un torneo qualsiasi. È una partedi stagione che vivo con il mio gruppo di allenamento: quelli con cui ho condiviso i lunghi mesi di preparazione, le sessioni più faticose, le pause tra una sessione e l’altra e le risate in palestra.
Arriviamo insieme, ci sistemiamo in appartamento, facciamo la spesa, cuciniamo insieme, usciamo dopo cena. Ma poi, ad un certo punto, arriva quel momento: il pre-partita. E lì è il momento più importante per entrare in partita focalizzati
.

Questa è la voce di molti atleti che seguiamo e che vivono le trasferte come un equilibrio delicato tra esperienza collettiva e centratura personale.
Quando si è lontani da casa, la routine cambia, e il rischio è che la performance ne risenta. Ma è proprio in questi contesti che la preparazione mentale fa la differenza.

Fuori dal campo: il tempo che conta davvero

La vita in trasferta non è fatta solo di match. Anzi, il grosso del tempo si passa fuori dal campo. I momenti tra un allenamento e l’altro, le attese per il proprio turno di gioco, i pasti, le camminate post-cena, le chiacchierate in camera e nei viaggi.
Sono questi i momenti che fanno da sfondo emotivo al torneo: se vengono vissuti bene, l’atleta arriva in campo con una carica diversa, più stabile, più “centrata”.

Per questo aiutiamo gli atleti a strutturare delle routine anche fuori dalla competizione:
– spazi per il riposo e la rigenerazione,
– strategie per stare bene nel gruppo senza farsi travolgere,
tecniche mentali per ritrovare la propria energia.

Non serve “essere perfettamente in forma”. Serve sentirsi al proprio posto, nel proprio equilibrio.

Dentro il campo: una routine mentale allenata

Quando si avvicina il match, la tensione aumenta. Gli stimoli esterni diventano rumore, i pensieri iniziano ad affollarsi.
È in quei minuti che entra in gioco la routine pre-gara, costruita nei mesi precedenti con lo psicologo dello sport.

Ogni atleta ha la sua: c’è chi ascolta musica con le cuffie, chi si isola per respirare e visualizzare, chi scrive un obiettivo su un foglio e se lo tiene nel borsone per leggerlo in un momento cruciale.
Non è improvvisazione. È allenamento mentale. E funziona perché è stata preparata, provata e modificata, più e più volte.

Anziché entrare in campo in balia del battito a mille e dei pensieri che corrono, l’atleta entra con un obiettivo chiaro. Che non è Devo vincere”. Ma, ad esempio, tenere lo sguardo sulle corde tra un punto e l’altro, pianifico il 15 successivo o ripetere la propria routine tra un punto e l’altro.
Obiettivi concreti, allenabili, sotto controllo cosciente.

Più dei risultati e dei ranking: costruire memorie

Quando lavoriamo con un atleta a prepararsi mentalmente per una trasferta, non lo facciamo solo per i punti che può conquistare in questa trasferta.
Lo facciamo per contribuire a generare esperienze positive, che lascino un segno positivo anche in termini di auto efficacia.Quel giorno ho perso, sono comunque riuscito a lottare fino all fine“, “Lì ho capito che ero davvero cresciuto”.

La preparazione mentale non serve per aumentare la probabilità di risultati. Serve per vivere meglio, anche in contesti sfidanti, anche lontano da casa.
E alla fine, sono proprio quei ricordi che restano. E che fanno dell’atleta una persona più forte, dentro e fuori dal campo.

Elena Uberti
Sport Mindset Agency

Dall’Italia alla Florida: come il tennis e la psicologia dello sport cambiano la vita

Il racconto di una collega che lavora in SMA rispetto alla propria esperienza personale:

“Trasferirsi negli Stati Uniti da sola a soli 18 anni è stata un’esperienza unica e indescrivibile.
La decisione di intraprendere questo grande cambiamento è nata dalla mia passione per il tennis, che mi ha spinta a far parte di una squadra universitaria americana, unendo così sport e studio all’interno di un contesto internazionale e stimolante.

Il cambiamento è una sfida mentale

Il mio viaggio è cominciato a Milano e mi ha portata fino a Tampa, in Florida. Fin dai primi giorni ho notato numerose differenze tra la vita in Italia e quella negli Stati Uniti: lo stile di vita, la lingua, il clima e, soprattutto, il sistema universitario. Le università americane si distinguono da quelle italiane per il metodo di studio, l’attenzione allo sport e il supporto fornito agli studenti-atleti, che spesso vengono considerati prioritari.

All’inizio, affrontare un cambiamento così radicale non è stato semplice. Mi sono trovata a gestire incertezze, ansia e una forte nostalgia di casa. Per superare queste difficoltà, avevo bisogno di allenare la mia mente; ho lavorato sulla costruzione di una routine e su obiettivi personali che mi aiutassero a trovare un equilibrio emotivo e a mantenere alta la motivazione.

Giornate intense e allenamento mentale

Le mie giornate erano (e sono tuttora) molto intense: trascorro diverse ore ad allenarmi in campo o in palestra, frequento corsi di formazione, e mi dedico allo studio o passo il tempo libero con gli amici. Questo stile di vita, seppur gratificante, può risultare faticoso sia a livello fisico che mentale. Per affrontarlo in modo sano ed equilibrato, ho imparato a utilizzare tecniche di concentrazione che mi aiutano a focalizzarmi in momenti specifici — come lo studio, gli allenamenti o le competizioni — e tecniche di rilassamento utili per gestire situazioni stressanti, siano esse accademiche o sportive.

Sport, studio e benessere

Le università americane offrono inoltre un ampio supporto agli studenti: sono disponibili tutor, academic advisors e terapisti, che possono aiutare a gestire lo stress, l’ansia o anche semplicemente a fare chiarezza sul percorso da intraprendere, sia a livello accademico che professionale e sportivo. La vita universitaria negli Stati Uniti non ruota solo intorno allo studio e allo sport: è fortemente caratterizzata anche da una ricca vita sociale. All’interno della squadra si creano legami profondi, grazie alla condivisione della stessa passione per il tennis. Ma anche al di fuori del campo è possibile stringere amicizie: in aula, durante i lavori di gruppo o partecipando agli eventi organizzati dal college. Le università americane promuovono infatti numerose attività sociali e culturali — dalle “game nights” alle “movie nights”, fino a eventi di beneficenza — che offrono agli studenti la possibilità di conoscere persone nuove e aprirsi a culture differenti.

 

Il ruolo di SMA nel percorso degli student-athletes

Affrontare un cambiamento di tale portata può certamente essere difficile all’inizio, soprattutto per via delle barriere linguistiche, culturali e della lontananza da casa. SMA lavora con atleti proprio in questi momenti chiave, prima della partenza, durante l’adattamento e nel percorso del college. Il supporto dato agli atleti consiste in:

  • Costruire routine mentali efficaci per mantenere un equilibrio tra sport, studio e vita sociale;
  • Gestire lo stress e ansie delle competizioni, esami, e del cambiamento in generale;
  • Sviluppare concentrazione e motivazione, che possono essere utili in momenti di difficoltà, ma anche in ogni attività quotidiana;
  • Affrontare un possibile calo motivazionale e solitudine dovuta alla distanza da casa o ai cambiamenti;
  • Coltivare una mentalità di crescita, che possa servire sia nello sport che nella parte accademica e professionale.

Un’esperienza che cambia

Studiare e giocare negli Stati Uniti è un’esperienza incredibilmente arricchente, che permette di crescere sotto ogni punto di vista: accademico, professionale, sportivo e personale. Più di ogni altra cosa, apre molte porte per il futuro, offrendo opportunità che raramente si presentano restando nella propria zona di comfort. Ma per viverla appieno, è importante essere preparati fisicamente e mentalmente. SMA supporta gli studenti-atleti nel loro percorso, aiutandoli ad affrontare momenti difficili, vivendoli come sfide ed occasione. L’obiettivo è di migliorare la performance, ma soprattutto di promuovere il benessere completo, fuori e dentro dal campo.


Elena Uberti

Co-Fondatrice di SMA 

Costruire la resilienza un passo alla volta

Nel mondo dello sport, pochi ambiti offrono una finestra così potente sulla resilienza umana quanto le competizioni di ultra-resistenza. Parliamo di eventi che spingono corpo e mente ben oltre i confini della fatica: lo Spartathlon in Grecia richiede agli atleti di correre l’equivalente di 6 maratone in 36 ore; la Terra Australis Bike Epic è una competizione di circa 6000km che porta i ciclisti lungo l’intera costa orientale del continente; i concorrenti dell’Iditarod Trail Invitational è un’ultra maratona che dura fino a 30 giorni in Alaska, e numerosi altri eventi per il mondo.

Negli ultimi decenni, la partecipazione a questi eventi è aumentata esponenzialmente: solo in Nord America, il numero di persone che hanno completato un’ultra maratona è passato da 650 nel 1980 a oltre 79.000 nel 2017 (1). Ma cosa spinge sempre più atleti verso queste sfide estreme? E, soprattutto, cosa ci insegnano sull’essere umani?

Abitare la fatica

Robin Harvie, in The Lure of Long Distances, ricorda che il termine “atleta” deriva dal greco antico e significa “colui che lotta, che soffre”. Per molti ultra-atleti, la sofferenza non è un ostacolo, ma un elemento da esplorare: un’occasione per interrogarsi sul proprio senso di esistere, sulle proprie risorse mentali, sulla relazione tra dolore e il suo significato. In queste gare, resistere significa spesso procedere un passo alla volta, in un contesto dove gioia e fatica coesistono. È proprio questa convivenza, a tratti paradossale, che alimenta la motivazione profonda e permette agli esseri imani di sopportare ciò che è apparentemente insopportabile. La sensazione che “la gara non finisca mai” è comune tra chi affronta lunghi eventi di endurance. Questa distorsione del tempo somiglia a quella vissuta da chi vive momenti di profonda sofferenza psicologica: un’esperienza sospesa, dilatata, in cui ogni minuto sembra interminabile (2).
Allenarsi alla fatica significa anche sviluppare strategie cognitive e mentali per “stare dentro” queste sensazioni, senza esserne sopraffatti. L’ambiente gioca un ruolo chiave: la natura, i paesaggi, la luce dell’alba o un cielo stellato diventano risorse mentali. Emozioni di trascendenza collocano il dolore e la fatica in un contesto diverso (3). Sperimentare uno stato di elevazione in un momento di profondo sfinimento ricorda che lampi di pura felicità possono sorprenderti anche quando le cose sembrano più desolate.

La chimica della resilienza

Nel 2015, durante la Yukon Arctic Ultra, gli scienziati del Center for Space Medicine and Extreme Environments di Berlino (4) analizzarono il sangue degli atleti: rilevarono livelli altissimi di irisina, un ormone prodotto durante l’attività fisica. Oltre a facilitare il metabolismo dei grassi, l’irisina agisce sul cervello stimolando il sistema della ricompensa e migliorando l’umore. Questo ormone, come altre miochine, proteine rilasciate dai muscoli durante l’esercizio, dimostra che il movimento non agisce solo sul corpo, ma anche sulla mente. Ogni passo, ogni contrazione muscolare, invia segnali biochimici al cervello, rafforzando la resilienza (5). E non serve attraversare l’Artico per beneficiarne: ogni attività fisica, se svolta con regolarità, stimola questi processi.

Il triangolo corpo, mente e relazione

Nonostante l’apparente individualità delle gare di ultra-endurance, nessuno sente di essere completamente da solo: molti atleti si sentono rincuorati semplicemente sapendo che ci sono altri partecipanti anch’essi là fuori, da qualche parte, di fronte ai propri demoni. L’idea che “non sei l’unico” ad affrontare quella sfida, fisica e mentale, diventa una fonte potente di sostegno emotivo (6).
Il dolore condiviso crea legami profondi. Studi antropologici dimostrano che le esperienze difficili vissute collettivamente generano coesione: diventiamo “famiglia” nei momenti in cui siamo vulnerabili, non in quelli in cui sembriamo invincibili (7). L’ultra-endurance è un laboratorio per comprendere come il corpo, la mente e le relazioni si intrecciano nella gestione della fatica. Saper tollerare la difficoltà, accettare la vulnerabilità e cercare il significato anche nella sofferenza sono abilità che ogni atleta, e ogni persona, può allenare. Non necessariamente su un sentiero ghiacciato in Alaska, ma ogni giorno, nella propria routine (8).

Le esperienze degli atleti di ultra-endurance ci insegnano che la resilienza non nasce solo dal talento o dalla forza fisica, ma da una pratica costante: quella di abitare la fatica e restare presenti nel discomfort. Che tu stia affrontando una gara estrema o una sfida personale nella vita quotidiana, i meccanismi sono sorprendentemente simili: si va avanti un passo alla volta, si impara a convivere con l’incertezza e si costruisce la propria forza mentale anche grazie alla connessione con gli altri.

Referenze

1. http://realendurance.com/summary.php

2. Doloress A. Christensen (2017), “Over the mountains and through the woods; Psychological processes of ultramarathon runners”, Spingfield College

3. Karen Weekes (2004), “Cognitive coping strategies and motivational profiles of ultra- endurance athletes”, Dublin City University.

4. Robert H. Coker et al. (2017), “Metabolic responses to the Yukon Arctic Ultra: Longest and coldest in the world”, Medicine and Science in Sport and Exercise, 49 (2), 357-362.

5. Judit Zsuga et al. (2016), “FNDC5/irisin, a molecular target for boosting reward related learning motivation”, Medical Hypothesis, 90, 23-28.

6. 7. “Over the mountains and through the woods”, Christensen. Dimitris Xygalatas (2014), “The biosocial basis of collective effervescence an experimental anthropological study of a fire-walking ritual”, Fieldwork in Religion, 9 (1), 53-67.

8. Doug Anderson (2001), “Recovering humanity: Movement, sport, and nature”, Journal of the Philosophy of Sport, 28 (2), 140-150.

 

Giada Cananzi

Parole che potenziano – Parte 2: La comunicazione che costruisce team e identità

Se nella prima parte abbiamo esplorato il self-talk come motore interno della prestazione, ora ci concentriamo su un altro aspetto fondamentale: la comunicazione nel gruppo e il linguaggio dei coach. In SMA, ci occupiamo proprio di questo: creare ambienti comunicativi sani, positivi e motivanti, dentro e fuori dal campo.

L’energia che si contagia

Ogni parola detta in un gruppo sportivo ha un impatto sul clima emotivo. Anche nello sport individuale, esiste un team intorno all’atleta: allenatori, compagni, genitori, preparatori.

Esempi: Un compagno che incoraggia può riattivare la fiducia. Un leader positivo ispira coesione, Uno staff empatico costruisce appartenenza e sicurezza.

Tecniche efficaci per comunicare meglio nel gruppo:

  • Feedback costruttivo: specifico, sul comportamento, immediato.
  • Ascolto attivo: non interrompere, porre domande, riformulare per comprendere.
  • Comunicazione non violenta: esprimere bisogni senza colpevolizzare.

Un cambiamento piccolo può avere un impatto enorme:

❌ “Hai sbagliato di nuovo, così non andiamo da nessuna parte”
✅ “Cosa possiamo migliorare insieme? Riproviamoci, con più calma.”

Il coach come riferimento emotivo

Il linguaggio dell’allenatore non corregge solo errori, costruisce identità. Un buon coach:

  • Sceglie parole che motivano senza distruggere.
  • Sa quando parlare…e quando ascoltare.
  • Comunica anche con lo sguardo, il tono e il corpo.

SMA lavora a fianco degli allenatori per aiutarli a riconoscere e rafforzare queste competenze comunicative fondamentali, anche in situazioni di stress e alta pressione.

Le parole costruiscono realtà: Le neuroscienze lo confermano: parole e immagini creano esperienze quasi reali nel cervello. Dire “non ce la faccio” o dire “sto migliorando” attiva circuiti cerebrali totalmente diversi. La comunicazione crea identità, aspettative, comportamenti.

In conclusione: comunica come vuoi diventare

Le parole che usiamo oggi, dentro e fuori il campo, stanno costruendo l’atleta che diventeremo domani. SMA è al fianco di chi vuole allenare non solo il corpo, ma anche il linguaggio mentale e relazionale, per una crescita completa, consapevole, efficace.

 

Elena Uberti

Parole che potenziano – Parte 1: Il potere del self-talk nello sport

Nel mondo dello sport ogni dettaglio conta: preparazione fisica, tecnica, alimentazione…Ma c’è un aspetto troppo spesso sottovalutato, eppure potentissimo: la comunicazione, con sé stessi e con gli altri. SMA – un team di psicologi dello sport – lavora ogni giorno proprio su questo: aiutare atleti, coach e squadre a usare le parole come strumento di crescita, motivazione e performance.

Il tuo primo allenatore sei tu

Ogni atleta convive con una voce interiore: quella che può abbattere o sollevare, frenare o dare forza. Si chiama self-talk, e rappresenta il dialogo interno che ciascuno di noi ha in allenamento, in gara o nelle difficoltà.

Self-talk negativo: “Sono un disastro.” “Non combino mai nulla.”

Risultati? Ansia, demotivazione, frustrazione, calo energetico.

Self-talk positivo: “So cosa fare.” “Un punto alla volta, voglio farcela.”

Effetti? Più concentrazione, resilienza, motivazione, senso di controllo.

Come allenarlo?

Gli psicologi dello sport SMA propongono strumenti concreti:

  • Ancoraggi: frasi brevi da usare prima o durante la prestazione.
  • Ristrutturazione cognitiva: imparare a cambiare pensieri inutili o sabotanti.
  • Diario del self-talk: scrivere per qualche giorno i pensieri dominanti, per imparare a gestire quelli dannosi e rafforzare quelli utili.

Allenare la propria voce interna è come potenziare un muscolo mentale: all’inizio costa fatica, ma può diventare una risorsa automatica e potentissima. E il supporto di un team come SMA può fare la differenza nel rendere questo lavoro concreto, mirato e duraturo.

👉 Nella Parte 2, parleremo di come la comunicazione nel gruppo e quella del coach possano costruire un clima vincente, e di come le parole creino la realtà.

 

Elena Uberti

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