Autore: Francesco Volpiana

SMATeam nella King’s League: la preparazione mentale per atleti e staff

La King’s League non è solo un evento sportivo, ma una vera e propria rivoluzione nel mondo del calcio. Il suo approccio innovativo, che mescola la tradizione del calcio con dinamiche moderne e coinvolgenti, ha dato vita a una nuova era di sportivi e spettatori.
In questo contesto, gli atleti affrontano sfide che vanno oltre le normali aspettative tecniche e fisiche, trovandosi a gestire una pressione psicologica senza precedenti.
Proprio per questo, l’integrazione della psicologia dello sport nello staff tecnico diventa un elemento fondamentale per supportare i giocatori nell’affrontare le sfide quotidiane, dentro e fuori dal campo.

La competizione nella King’s League si distingue per un ambiente ad alta intensità: il tempo ridotto, gli imprevisti, le luci e i suoni che invadono lo spazio sono solo alcuni dei fattori che creano una cornice adrenalinica. Se da un lato questi stimoli possono essere emozionanti, dall’altro aggiungono un carico psicologico che può influenzare le prestazioni. A ciò si sommano l’impatto mediatico, le interazioni con il pubblico e la diretta streaming, che amplificano ulteriormente la pressione. Gli atleti non sono solo chiamati a competere contro gli avversari, ma a gestire il rumore e l’attenzione che il contesto moderno impone.

In questo scenario, la preparazione mentale non è più una semplice aggiunta, ma una vera e propria necessità. Come affermato da Anderson e Williams (2009), la mente è il muscolo più potente di un atleta”. La psicologia dello sport non solo aiuta gli atleti a rafforzare la propria resilienza, ma li prepara ad affrontare e superare le sfide emotive, la gestione dello stress e le aspettative che un contesto competitivo così visibile impone.

La preparazione mentale è, infatti, il segreto che permette a un atleta di affrontare la pressione senza esserne sopraffatto. Nel contesto dinamico e imprevedibile della King’s League, dove situazioni come il calcio di rigore, gli shootout o le interazioni con il pubblico possono alterare il normale flusso della partita, è essenziale che gli atleti imparino a vedere questi elementi come parte integrante del gioco, non come ostacoli.
Se non allenati, questi fattori possono compromettere la performance e limitare i livelli direndimento. La tensione derivante dalle aspettative esterne e la visibilità mediatica possono infatti minare la sicurezza degli atleti. È proprio in queste situazioni che il supporto di un preparatore mentale diventa determinante: il nostro ruolo è aiutare i giocatori a riconoscere, accettare e sfruttare questi stimoli come opportunità di crescita, piuttosto che come criticità da evitare.

SMATeam è entusiasta di essere parte di questo progetto innovativo. Da anni ci impegniamo a dimostrare quanto la preparazione mentale sia un fattore determinante nell’allenamento degli atleti. Nella King’s League, questa necessità è amplificata dalla natura della competizione, che richiede una gestione psicologica speficica. Il nostro obiettivo è affiancare gli atleti non solo durante le competizioni, ma anche nel loro percorso di crescita personale e sportiva. Il preparatore mentale non si limita ad essere una figura di supporto nel momento del bisogno, ma è una presenza costante che lavora sul benessere psicologico degli atleti, aiutandoli a mantenere la calma e la lucidità sotto pressione.

Nella prima fase abbiamo lavorato individualmente con atleti e membri dello staff, mentre nellaseconda fase del lavoro abbiamo introdotto un ulteriore strumento per affinare il percorso di crescita mentale: un sistema di valutazione che confronta la percezione interna degli atleti sulle proprie abilità mentali con la valutazione esterna fornita dai membri dello staff tecnico. Attraverso video-analisi, incontri di gruppo e questionari specifici, stiamo analizzando aree chiave come la gestione dello stress, la fiducia, la focalizzazione, la gestione dell’errore e della rabbia, con l’obiettivo di costruire basi solide per progetti di sviluppo individuale.
Questa metodologia consente di raccogliere dati preziosi sia per il miglioramento personale dei giocatori, sia per fornire allo staff strumenti concreti per conoscere più a fondo il potenziale di ciascun atleta. Alcuni atleti stanno inoltre avviando percorsi di preparazione mentale ancora più specifici, in vista dei match più importanti, segno della crescente consapevolezza dell’importanza di lavorare non solo sul fisico, ma anche sulla mente.

Ogni atleta coinvolto nella King’s League deve essere pronto a gestire le sfide impreviste che si presentano durante le partite, non solo dal punto di vista fisico, ma anche mentale. La capacità di reagire in tempo reale alle difficoltà, mantenendo alta la concentrazione, è la chiave per emergere in un contesto così competitivo. Come sottolineato dalla Dott.ssa Elena Uberti e dal Dott. Sandro Anfuso, soci fondatori dello SMAteam, il vero segreto del successo sta nella capacità di trasformare le difficoltà in opportunità. Questo approccio è il cuore del nostro lavoro con gli atleti e lo staff delle ZEBRAS, che stanno partecipando ad un ciclo di sessioni individuali per allenarsi ad affrontare le sfide quotidiane con resilienza e determinazione.

SMATeam è onorato di supportare un progetto così innovativo, mettendo a disposizione la nostra esperienza nella psicologia dello sport. La King’s League è l’occasione perfetta per dimostrare che, indipendentemente dal livello o dall’età, la preparazione mentale è essenziale nella ricerca dell’eccellenza sportiva e personale. La mentalità vincente si costruisce con il tempo e l’impegno, proprio come qualsiasi altra abilità, ed è ciò che fa la differenza tra chi spera di emergere e chi emerge.

Elena Uberti
Psicologa dello Sport e Co-fondatrice di SMATeam

Motivazione e confronto: capire e sostenere gli adolescenti nello sport

“Lo vedo spento.”
“Ha talento, ma non ci crede abbastanza.”
“Quando ha iniziato a giocare era più motivato e si divertiva…ora sembra svogliato.”
“Non si impegna come potrebbe, e non solo nello sport: anche a scuola è lo stesso.”

Chi lavora con adolescenti – che siano genitori, allenatori o insegnanti – riconoscerà queste frasi. Sono osservazioni ricorrenti, che riflettono una difficoltà concreta e profonda: come si sostiene la motivazione in una fase della vita in cui tutto cambia?

Come psicologi dello sport, stiamo lavorando in diverse società sportive con ragazzi tra i 13 e i 18 anni. In questa fascia d’età così critica, il rischio di vedere calare l’entusiasmo e l’impegno è reale. Ma il nostro lavoro, ispirato a strumenti di valutazione e confronto, dimostra che la motivazione si può osservare, ascoltare e coltivare.

Il progetto di SMAteam: ascoltare e confrontare

Durante i percorsi stagionali proposti da Sport Mindset Agency (solitamente da settembre a giugno), ogni atleta viene invitato a valutarsi su una serie di abilità mentali: attenzione, fiducia, gestione dello stress, motivazione, impegno, costanza. In parallelo, uno dei membri dello staff compila una valutazione esterna sugli stessi parametri.

L’obiettivo non è “dare voti”, ma far emergere elementi in comune e differenze tra come un ragazzo si percepisce e come viene percepito, aprendo spazi di dialogo e riflessione. Questi dati ci permettono di costruire una fotografia utile e dettagliata.

Perché è così importante farlo ora?

Perché l’adolescenza è una fase fondamentale: ci si separa dall’identità di bambini e si mettono le basi per costruire l’identità adulta. E in questa fase, predisporre i passi verso il proprio futuro sembra a volte troppo complicato. I ragazzi faticano ad immaginare obiettivi realistici, a reggere la frustrazione per un fallimento, a trovare un senso nelle fatiche quotidiane.

Come scrivevano De Beni e Moè (2000), la motivazione non è innata: è un equilibrio instabile tra ciò che si sente dentro e ciò che viene riconosciuto fuori. E se manca un contesto che aiuti a dare valore allo sforzo, il rischio è che i ragazzi si ritirino, anche inconsapevolmente, da ciò che potrebbe farli crescere.

Allenare la motivazione: SMA propone strumenti

Le società sportive possono diventare luoghi straordinari per allenare il senso di impegno, la costanza, la responsabilità. Ma non basta dire “ci vuole grinta”: servono strumenti. E questo è ciò che SMAteam lavora da anni in progetti mirati per offrire a tutte le figure coinvolte questi preziosi strumenti.

Il confronto tra valutazione interna ed esterna diventa, in questo senso, una bussola concreta.
Se un ragazzo si percepisce motivato ma l’allenatore non lo percepisce così, c’è un tema su cui confrontarsi. Se lo staff nota potenziale ma l’atleta si sottovaluta, si può iniziare a lavorare sull’autoefficacia. Se entrambi vedono disimpegno, si può agire prima che diventi ritiro.

Piccoli passi per un futuro possibile

Molti genitori e allenatori oggi si chiedono: come faranno questi ragazzi a costruirsi un futuro?
È una domanda legittima, ma spesso carica di ansia. La verità è che nessun adolescente costruisce da solo una visione del futuro. Ha bisogno di adulti che sappiano accompagnarlo, non solo con aspettative, ma con strumenti e tempo e soprattutto fiducia.

Per questo il nostro progetto non si limita a “misurare” ciò che c’è. Serve a gettare le basi per percorsi individuali di sviluppo mentale, che i ragazzi potranno continuare anche oltre la nostra presenza in campo e di gruppo. SMA offre la possibilità di avviare percorsi individuali, e lo ribadisce in ogni contesto: il tempo che abbiamo per incidere è limitato (a volte una stagione sportiva altre 6-7 stagioni consecutive), ma quello che imparano in adolescenza può restare con loro a lungo.

Un lavoro per tutti: atleti, staff e famiglie

I dati condivisi da SMA nelle società sportive diventano poi una banca comune, un punto di partenza per futuri interventi di psicologia anche con lo staff. Perché la motivazione non si sostiene solo al singolo ragazzo, ma nell’ambiente che lo circonda.
E se l’ambiente – fatto di allenatori, educatori, adulti attenti – è capace di leggere le criticità e valorizzare i segnali di crescita, allora diventa un luogo fertile.

In conclusione: SMA educa alla motivazione

Educare alla motivazione significa veicolare il messaggio che i risultati arrivano in un processo, con costanza, che gli obiettivi si costruiscono un passo alla volta, che sbagliare non è fallire ma parte del processo.

E soprattutto, significa non smettere di credere che un ragazzo possa cambiare, anche quando sembra spento, disinteressato, svogliato.

Perché a volte, dietro quella maschera, c’è solo bisogno di qualcuno che dica:

“Ti vedo. Ti ascolto. Possiamo lavorarci insieme.”

Elena Uberti

Co-fondatrice di SMAteam

Lo sport come risorsa educativa e il contributo dello psicologo dello sport per uno sviluppo funzionale dell’adolescente

In un mondo in cui gli adolescenti si trovano esposti a molteplici pressioni sociali, scolastiche e familiari, lo sport rappresenta uno dei contesti più potenti in cui possono trovare una direzione, un’identità e un senso di appartenenza. Ma lo sport non è solo movimento e competizione: è un vero e proprio ambiente educativo che può contribuire in modo determinante alla prevenzione di comportamenti devianti e allo sviluppo psicologico sano nei giovani.

A livello giovanile, lo sport non si limita all’allenamento del fisico, ma riveste un ruolo importante sulla formazione della personalità. Le regole, la disciplina, il rispetto dell’altro, il concetto di squadra e la gestione della sconfitta sono alcuni elementi che contribuiscono alla crescita personale e sociale del giovane atleta. Imparare a rispettare un avversario, a seguire indicazioni, a collaborare con i compagni e a gestire le emozioni in situazioni di stress sono competenze trasversali alla vita quotidiana.

Queste esperienze favoriscono lo sviluppo di valori prosociali, che rappresentano un potente antidoto contro il rischio di comportamenti devianti, come l’aggressività non controllata, il bullismo, l’abuso di sostanze o l’isolamento sociale, ecc.

L’adolescenza è una fase delicata e complessa dello sviluppo umano, segnata da cambiamenti ormonali, ricerca d’identità, bisogno di riconoscimento e confronto con l’altro. In assenza di riferimenti stabili e spazi sicuri di espressione, il rischio di smarrirsi aumenta. È proprio qui che lo sport entra in gioco, non solo come alternativa a esperienze negative e devianti, ma come contesto contenitivo e strutturante, dove l’adolescente può sperimentare se stesso in modo protetto.

Tuttavia, il solo fatto di praticare uno sport non garantisce automaticamente un effetto preventivo. È necessario che il contesto sportivo sia attento, sano, inclusivo, supportivo. E qui entra in scena una figura chiave: lo psicologo dello sport.

Lo psicologo dello sport è molto più di un esperto di performance: è una figura che lavora a stretto contatto con atleti, allenatori e famiglie per promuovere il benessere mentale, la crescita personale e relazionale, e la costruzione di un’identità solida e resiliente.

Affiancando i giovani atleti adolescenti, lo psicologo può:

  • favorire la gestione dell’ansia da prestazione e delle aspettative esterne;
  • sostenere l’autostima e l’identità personale, aiutando il ragazzo a non identificarsi unicamente con il risultato sportivo;
  • intervenire precocemente in situazioni di disagio, come segnali di burnout, isolamento, comportamenti a rischio o relazioni tossiche;
  • formare gli adulti di riferimento (allenatori e genitori) a comunicare in modo efficace e motivante e ad una gestione funzionale di squadre e gruppi sportivi contribuendo alla creazione di un clima sportivo positivo.

Quando lo psicologo è parte integrante del contesto sportivo, lo sport diventa uno spazio di crescita globale: il giovane atleta non solo migliora fisicamente, ma impara a conoscersi, ad ascoltarsi e a costruire relazioni sane.

In un’epoca in cui la salute mentale degli adolescenti è sempre più al centro dell’attenzione, riconoscere il valore educativo dello sport è fondamentale. Ma affinché questo valore si esprima appieno, è essenziale che ci sia una rete di adulti consapevoli e preparati, tra cui lo psicologo dello sport riveste un ruolo di primo piano.

Educare attraverso lo sport significa prevenire, proteggere e potenziare. Significa offrire ai ragazzi non solo un ambiente dove migliorare fisicamente, tecnicamente o atleticamente, ma un luogo dove imparare a diventare persone. Una società sportiva che integra la figura dello psicologo dello sport non solo migliora la performance degli atleti, ma investe nella loro salute mentale, nella prevenzione e nella formazione di persone consapevoli e resilienti.

Dott.ssa Maria Chiara Feno

Correre per connettersi: come l’”euforia del corridore” migliora il nostro benessere sociale

La sensazione di “euforia del corridore” (runner’s high) è da tempo un mistero affascinante. Originariamente descritta nel 1855 dal filosofo Alexander Bain (1), questa sensazione di felicità intensa è stata paragonata a un’estasi simile a quella di Bacco, il dio romano del vino. Il corridore e triatleta Scott Dunlap (2) riassume così la sensazione che prova quando corre: “lo equiparerei a due vodka Red Bull, tre ibuprofene, più un biglietto della lotteria vincente da 50 dollari in tasca”.

Ma non si tratta solo di corsa: ogni attività fisica prolungata che aumenti il battito cardiaco, come camminare, nuotare, danzare o praticare yoga, può suscitare questo stato di benessere.

Qual’è il significato di questa ricompensa? La teoria più recente sull’euforia del corridore è piuttosto audace: la nostra capacità di sperimentare questo tipo di euforia sarebbe legata alle vite dei nostri antenati che erano cacciatori e raccoglitori. Lo stato neurochimico che rende la corsa gratificante in origine poteva essere una ricompensa per sostenere la caccia e la raccolta da parte dei primi uomini. Ciò che oggi chiamiamo “euforia del corridore” potrebbe anche aver incoraggiato i nostri antenati a collaborare e a condividere il bottino di una caccia, favorendo la sopravvivenza del gruppo.

Nell’epoca moderna, la stessa euforia, raggiunta attraverso la corsa e altra attività fisica, può quindi elevare il nostro umore e facilitare la connessione sociale. Un esempio interessante arriva dalla Tanzania, terra che ospita gli Hadza, una delle ultime tribù esistenti di cacciatori-raccoglitori. Gli Hadza trascorrono gran parte della giornata a cacciare e/o a raccogliere piante: uomini, donne, e anziani praticano almeno due ore di attività fisica moderata al giorno (3). I componenti di questa tribù non solo non mostrano segni di malattie cardiovascolari, così diffuse nelle società industrializzate, ma ciò che è ancora più sorprendente è l’apparente assenza di altre due epidemie moderne: l’ansia e la depressione (4-5).

È impossibile dire se ciò abbia qualcosa a che fare con il loro stile di vita attivo, ma è anche difficile ignorarlo. David Raichlen, antropologo presso la University of Arizona, ipotizzò che le sostanze chimiche prodotte dal cervello durante un’attività prolungata fossero gli endocannabinoidi: le stesse sostanze chimiche mimate dalla cannabis o dalla marijuana. Molti effetti di queste sostanza sono coerenti con le descrizioni dell’euforia indotta dall’esercizio fisico, tra cui: il calo di preoccupazioni o stress, la riduzione del dolore, il rallentamento del tempo e l’amplificazione delle percezioni sensoriali (5).

In una ricerca del 2017 sul funzionamento del sistema endocannabinoide del cervello (6), gli scienziati hanno identificato 3 fattori che lo stimolano in modo significativo: l’intossicazione da cannabis, l’esercizio fisico e la connessione sociale. Gli stati psicologici più fortemente associati a bassi livelli di endocannabinoidi? Ansia e solitudine. Livelli elevati di endocannabinoidi aumentano quindi il piacere che deriva dall’essere vicino ad altre persone e riducono anche l’ansia sociale, che può ostacolare la connessione con l’altro. L’effetto del corridore, quindi, aiuta a creare legami.

È uno strano connubio, quello tra la corsa e il senso di appartenenza. Perché il nostro cervello collega l’attività fisica e la connessione sociale? La biologia dell’euforia del corridore si intreccia con la neurochimica della cooperazione, un legame che ci ha permesso l’evoluzione. L’esercizio fisico aumenta la sensibilità del cervello ai piaceri legati al sistema endocannabinoide, che amplifica non solo l’euforia del corridore, ma anche i piaceri sociali come la cooperazione, la condivisione, consentendo percezioni più spontanee di vicinanza, amicizia e appartenenza nei riguardi dei familiari, degli amici o degli estranei.

Il collegamento tra attività fisica e connessione sociale offre un motivo valido abbastanza per essere attivi durante la nostra quotidianità: se l’ansia e la depressione sono le nostre epidemie moderne, un passo verso la nostra natura ci può portare a una quotidianità più equilibrata e una maggiore soddisfazione della la propria vita (7).

 

REFERENZE

(1) Alexander Bain (1855), “The senses and the intellect, John W. Parker and Son, London.

(2) Scott Dunlap (2005), “Understanding the runner’s high”, 8 gennaio

(3) podcast “Story collider”

(4) Dennis M. Bramble, Daniel E. Lieberman (2004), “Endurance running and the evolution of Homo”, Nature, 432 (7015), 345-352.

(5) Raichlen et al. (2017), “Physical activity patterns and biomarkers of cardiovascular disease risk in hunter-gatherers”, American Journal of Human Biology, 29 (2).

(6) M.P. White et al. (2017) “Natural environments and subjective wellbeing: different types of exposure are associated with different aspects of wellbeing”, health and Place, 45, 77-84.

(7) Jaclyn P. Maher at al. (2014), “Daily satisfaction with life is regulated by both physical activity and sedentary behaviour” Journal of Sport and Exercise Psychology, 36 (2), 166-178.

 

Giada Cananzi

La paura del cambiamento nello sport: come affrontarla con le giuste mental skill

Il cambiamento è una costante nello sport: nuovi allenatori, nuove strategie, nuove categorie, infortuni e persino il passaggio dal dilettantismo al professionismo. Tuttavia, nonostante il cambiamento sia inevitabile, molti atleti lo vivono con ansia e timore. Ma perché succede? La paura del cambiamento nasce spesso dall’incertezza, dalla perdita del controllo e dal timore di fallire. Tuttavia, sviluppare le giuste mental skill può aiutare gli atleti a trasformare questa paura in un’opportunità di crescita.

Perché il cambiamento spaventa gli atleti?

  1. Paura dell’ignoto: il cervello umano è programmato per preferire ciò che è familiare. Un nuovo ambiente o una nuova sfida possono generare stress e insicurezza. Ad esempio, un calciatore che passa in una squadra più competitiva può temere di non essere all’altezza.
  2. Timore del fallimento: cambiare significa spesso confrontarsi con nuove sfide e difficoltà e il rischio di non essere “abbastanza bravi”. Per esempio, un giovane tennista che entra in una categoria superiore può sentire il peso delle aspettative e la paura di perdere più partite del previsto.
  3. Perdita della zona di comfort: ogni atleta ha delle routine consolidate che lo fanno sentire sicuro. Cambiare queste abitudini può sembrare destabilizzante: pensiamo a un atela che deve cambiare allenatore e modificare completamente il suo metodo di allenamento.
  4. Pressione esterna: allenatori, compagni di squadra, tifosi: le aspettative degli altri possono rendere il cambiamento ancora più faticoso. Un esempio può essere un giovane cestista che viene promosso in prima squadra e sente la pressione di dover dimostrare subito il proprio valore.

Mental skill per affrontare il cambiamento

  1. Tecniche di rilassamento e gestione dell’ansia
    Tecniche di respirazione e mindfulness possono ridurre l’ansia e migliorare la gestione dello stress legato al cambiamento, aiutando l’atleta a restare concentrato sul presente senza farsi sopraffare dai pensieri negativi sul futuro. Un esempio è utilizzare la respirazione diaframmatica per rimanere calmo prima della gara.
  2. Flessibilità cognitiva
    Essere mentalmente flessibili significa saper adattarsi rapidamente alle nuove situazioni. Per allenare questa capacità, gli atleti possono esercitarsi nell’accogliere il cambiamento come un’opportunità anziché come una minaccia, riformulando le proprie credenze e i propri pensieri in modo costruttivo. Ad esempio, un maratoneta che si infortuna e deve ridurre il chilometraggio può concentrarsi sulla forza e sulla tecnica anziché sul volume di corsa.
  3. Goal setting efficace
    Stabilire obiettivi chiari e realistici aiuta a mantenere il focus. Gli obiettivi SMART (Specifici, Misurabili, Accessibili, Rilevanti, Temporizzati) danno una direzione e riducono l’incertezza. Ad esempio, un giocatore di basket che cambia squadra potrebbe fissare l’obiettivo di migliorare la propria media punti entro tre mesi.
  4. Visualizzazione positiva
    Immaginare sé stessi affrontare con successo la nuova sfida aiuta a ridurre l’ansia e ad aumentare la fiducia. Un esempio è uno sciatore che visualizza mentalmente la sua discesa prima della gara per migliorare la concentrazione e ridurre lo stress.
  5. Self-talk positivo
    Il dialogo interno ha un enorme impatto sulle emozioni e sulle prestazioni. Frasi come “Sono in grado di adattarmi” o “Ogni cambiamento è un’opportunità” possono rafforzare la resilienza mentale. Un atleta che affronta un avversario temuto può ripetersi mentalmente frasi motivanti per mantenere la fiducia.
  6. Resilienza e gestione delle emozioni
    Accettare che il cambiamento possa portare momenti di difficoltà aiuta a sviluppare una mentalità resiliente. Lavorare con uno psicologo dello sport può essere utile per imparare strategie di coping e gestione delle emozioni. Un esempio può essere un ginnasta che, dopo una brutta caduta, lavora sulla sua resilienza mentale per tornare in pedana con determinazione.

Il cambiamento nello sport è inevitabile, ma affrontarlo con la giusta mentalità e le giuste mental skill permette agli atleti di trasformarlo in un’opportunità di crescita. Saper lasciare andare ciò che era e accettare una nuova immagine di sé è parte del percorso, così come imparare a vedere nel cambiamento una possibilità di evoluzione. Lavorare sulla gestione dello stress, la flessibilità mentale e il self-talk positivo può fare la differenza tra chi si lascia bloccare dalla paura e chi la trasforma in un trampolino di lancio per il successo. E, in fondo, la vera forza sta nel sapersi reinventare, lasciando andare ciò che era per abbracciare ciò che può diventare.

 

Federica Cominelli

I 3 grandi errori mentali da evitare prima di una gara

Ti trovi in quei brevi istanti in cui tutto si decide. Il battito del cuore pulsa nel petto ad un ritmo continuo. Il corpo emana calore ed energia ad ogni tuo respiro. I muscoli si preparano a scattare in un battito di ciglia. Ascolti gambe e braccia per capire a che punto sei. Quei movimenti li hai realizzati decine e decine di volte in allenamento. Mentre ascolti le sensazioni del corpo ti parli nella mente, in modo calmo e deciso. Quelle parole sono solo tue, ti trasmettono quella sicurezza e quel conforto che ti serve ad ogni gara. Il momento è arrivato! Coi tuoi tempi ti metti in posizione ai blocchi di partenza. Le emozioni sono tante, forse troppe da riconoscere in poco tempo, ma per te rappresentano quel momento per cui ti sei allenato per mesi. Sei un tutt’uno con quello che fai, corpo e mente sono sincronizzati. Fai un ultimo respiro profondo, attendi finalmente lo sparo e…BANG!

Ogni atleta sa che questi attimi prima di una gara, o di un match, sono al tempo stesso i più intensi e i più complicati da vivere. Una minima distrazione può farti uscire dalla tua zona e complicarti la gestione del momento. Ogni piccolo dettaglio è un tassello del domino che deve stare al suo posto. In alcune discipline, dopo la partenza, si ha ancora modo di cambiare rotta e rifocalizzarsi, ma non tutti gli atleti dispongono di questa opportunità. In alcune specialità, infatti, un inizio impreciso può davvero compromettere un’intera prestazione.

Quali sono allora i 3 grandi errori mentali che un’atleta dovrebbe evitare prima di una gara?

Scopriamoli assieme!

Indipendentemente dal tipo di prestazione o di disciplina praticata, l’obiettivo di ogni atleta è sempre lo stesso: competere al meglio delle proprie possibilità dall’inizio della prestazione fino al suo termine. Eppure gli istanti prima di una gara sono così sensibili che basta anche solo una banale distrazione per esprimere una prestazione non all’altezza.

Il primo errore da evitare è molto comune: quello di pensare troppo avanti alla gara, anticipando le possibili conseguenze della vittoria o della sconfitta. Questo può succedere per vari motivi, a causa dell’elevato sforzo della preparazione, dalle aspettative di risultato o ancora dalla paura di fallire. Quando questo accade la propria concentrazione diventa molto meno selettiva, si perde il focus nel momento presente e la prestazione decade. Il vincere o il perdere non deve essere la principale preoccupazione dell’atleta. L’unico pensiero che deve avere è quello di seguire il proprio piano gara rimanendo nel processo, potremmo dire con una logica step by step sui propri fattori chiave. Se invece ci focalizziamo su elementi su cui non abbiamo il controllo, come ad esempio il risultato, stiamo sprecando le nostre energie fisiche e mentali su fattori indipendenti da noi. Tuttavia, considerare la vittoria come una conseguenza e non come il fine del nostro lavoro, è un “game changer” mentale ben più complesso a dirsi che a farsi.

Il secondo errore mentale piu comune è quello di voler “strafare” quando siamo di fronte ad un avversario piu forte. Di solito dietro a questo comportamento risiede la convinzione limitante che per poter battere il nostro avversario dobbiamo mettere in pratica una prestazione erculea, al di sopra delle nostre possibilità. Anche in questo caso l’atleta mette in gioco una quantità di energie esagerate, perdendo il contatto con ciò che è importante per lui ed allontanandosi da una prestazione ottimale. Tutto ciò che serve risiede già nella tua preparazione e nella routine che hai perfezionato. Rimanere nel presente e fare ciò per cui ti sei allenato, è molto piu efficace della ricerca di un piano gara improvviso. Fidati del lavoro che hai svolto e lascia che il tuo corpo si esprima liberamente.

Il terzo e ultimo errore mentale è quello di concentrarsi sugli aspetti negativi. Gli atleti che tendono a vedere la propria prestazione con delle lenti “in negativo”, di solito richiedono la perfezione nella propria performance o cercano di insistere con uno standard ideale difficile da soddisfare. È difficile considerarlo, ma all’interno di ogni competizione c’è un margine di errore, a volte molto sottile se siamo in competizioni di alto livello mentre, altre volte piu largo. Coltivare la falsa credenza che ogni giocata, ogni possesso o ognitiro, debba essere perfetto incrementa notevolmente lo stress percepito. I pensieri negativi sono l’anticamera della frustrazione e del pessimismo, condizioni che risucchiano energia e forza mentale. Per questo, prima di una gara, è importante lasciare andare i pensieri negativi e recuperare un atteggiamento positivo su ciò che si fa. È un mindset che richiede tempo e lavoro per poterlo concretizzare, non basta agirlo solo il giorno della gara, perché come tutti gli aspetti della preparazione sportiva, anche quella mentale ha bisogno di costanza e pratica.

Se ti senti preso in causa in una di queste “situazioni” evita di giudicarti. Sappi che sono tanti gli atleti che hanno vissuto questi momenti di forte stress almeno una volta nella propria carriera sportiva. Il problema non è viverli e tanto meno eliminarli, ma sapere che possiamo farvi fronte. Non esistono soluzioni magiche se non quelle del lavoro consapevole. Accogli questi momenti come parte del tuo processo di crescita e, se desideri lavorarci sopra, i professionisti del Team di SMA sono pronti e a tua disposizione.

Andrea MARTINETTI

Choking: quando il blackout arriva improvvisamente durante una performance

Ti è mai successo, durante una prestazione sportiva, di vivere all’improvviso un picco di ansia, un blackout inaspettato e, di conseguenza, un notevole crollo della tua performance?

Forse hai vissuto quello che nel mondo della Psicologia dello Sport definiamo Choking.

Che cos’è esattamente il Choking?

E’ definito Choking un acuto e considerevole declino nell’esecuzione delle abilità (tecniche, tattiche, fisiche, mentali) e della performance, causato da un aumento dei livelli di ansia innescato dalla percezione di sentirsi sotto pressione (Choking under pressure).

Quando può accadere?

Di solito accade in situazioni in cui potenzialmente l’atleta può performare al suo meglio, lo sa e ne è convinto, ma all’improvviso non riesce a causa delle PRESSIONI (interne e/o esterne) che percepisce.

Ma come faccio a capire se sto vivendo un momento di Choking o “semplici” eventi di Ansia da Prestazione?

Innanzitutto, il Choking è episodico: le sensazioni tra il prima e il dopo sono talmente nette che riesci a percepire chiaramente quando inizia e quando finisce e, al termine dell’episodio di Choking, puoi tornare rapidamente ai tuoi livelli di performance personale. Inoltre è specifico: può riguardare un momento particolare di una partita o di una gara, oppure può accadere sempre negli stessi momenti di una partita (ad esempio nel tennis quando si è sotto e si deve recuperare o, al contrario, quando si è sopra e si può vincere nettamente) oppure quando si presentano le stesse caratteristiche di gara (ad esempio in finale, contro un certo avversario, ecc..).

Ci sono inoltre alcuni sintomi fisici e psicologici che caratterizzano il Choking e che possono aiutarti a riconoscerlo. Tra i sintomi fisici più comuni, gli atleti riportano di sentire costrizione e tensione muscolare, mancanza di forza, pesantezza e stanchezza improvvisa, fino a fare esperienza di tremori e di instabilità. Tra i sintomi psicologici, invece, gli atleti affermano di sentirsi sopraffatti da uno stato di panico improvviso, enorme insicurezza, paura e fretta nel voler uscire dalla situazione percepita come insopportabile o “troppo grande” per loro.

Chiudiamo l’articolo con alcune tips di gestione del momento di Choking: se puoi esci dalla situazione stressante o allunga i tempi di pausa per riprenderti (staccare è importante e ti permette di ricentrarti); sposta il focus della tua attenzione dal risultato agli obiettivi di performance (tecnici, tattici, fisici e mentali) che ti sei dato/a per la partita/gara; usa un Self-Talk (dialogo interno) semplice e orientato all’azione; in generale semplifica al massimo la tua strategia di gara.

Infine, se ti accade spesso di vivere momenti di Choking, contatta uno Psicologo dello Sport e inizia un percorso di Mental Training che possa sostenerti nel ri-orientare le tue aspettative e farti vivere le tue performance in modo più consapevole, sereno e fiducioso delle tue potenzialità.

 

Se sei interessato/a ad approfondire questo fenomeno, ne abbiamo parlato nella nostra pillola Academy che puoi acquistare al seguente link:

https://sportmindsetagency.thinkific.com/collections

 

Valentina Marchesi

L’importanza della concentrazione nello sport: allenare la mente per migliorare la performance

La concentrazione è uno degli aspetti più importanti nella performance sportiva. Gli atleti che riescono a mantenere un alto livello di attenzione nei momenti decisivi hanno un vantaggio significativo rispetto a chi si lascia distrarre dagli eventi esterni o dai propri pensieri. La capacità di concentrarsi non è innata, ma si costruisce con allenamento, consapevolezza e pratica.
Chiunque può imparare a migliorare la propria attenzione e ottenere risultati straordinari, dentro e fuori dal proprio campo di azione.

Uno dei motivi per cui la concentrazione è così importante risiede nel fatto che lo sport richiede un grande equilibrio tra azione fisica e mentale. Tiger Woods, uno dei più grandi golfisti della storia, ha più volte parlato dell’importanza della concentrazione: “Il mio successo dipende dalla mia capacità di restare focalizzato su ciò che devo fare, senza lasciarmi distrarre da niente” (Woods, 2001). Anche Serena Williams, tra le tenniste più forti della storia, ha più volte sottolineato come la sua capacità di rimanere concentrata nei momenti cruciali delle partite sia stata determinante per le sue vittorie (Williams, 2015).

Ogni disciplina sportiva richiede un diverso tipo di concentrazione. Per citare qualche esempio, nel pattinaggio artistico, gli atleti devono mantenere una concentrazione estrema per eseguire salti, piroette figure ed elementi con precisione, evitando di lasciarsi distrarre dal pubblico o dalla pressione della competizione. Nel tiro con l’arco, la concentrazione è fondamentale per controllare la respirazione e la postura, bloccando ogni distrazione esterna per mirare con precisione. Nel baseball, i battitori devono essere in grado di leggere la traiettoria della palla in una frazione di secondo, rimanendo concentrati sul lanciatore e ignorando il rumore dello stadio. Nella pallavolo, i giocatori devono mantenere un’attenzione costante sulla palla, sugli avversari e sulle strategie di gioco, adattando rapidamente la loro concentrazione a seconda delle fasi della partita. Nella vela olimpica, per esempio nella classe ILCA, la capacità di concentrazione è essenziale per mantenere la barca nella posizione ottimale rispetto al vento, regolando continuamente vele e assetto corporeo. Gli atleti devono adattarsi velocemente ai cambiamenti delle condizioni meteorologiche, gestendo la fatica e mantenendo il focus sulla strategia di gara e anticipare le mosse degli avversari.

La concentrazione non è un concetto monolitico, ma si compone di diverse dimensioni, ampie, ristrette, interne o esterne tra cui è importante saper shiftare (Nideffer, 1976). Saper gestire queste dimensioni a seconda della situazione è una competenza che può essere allenata, proprio come la tecnica o la capacità atletica.

Lavorare con uno psicologo dello sport può essere determinante per migliorare la capacità di concentrazione. Attraverso esercizi mirati, tecniche e strategie che coinvolgono in modi diversi pensieri, emozioni e comportamenti, è possibile sviluppare una mentalità focalizzata e resiliente.
In SMA molte delle nostre consulenze si estendono ad un lavoro intensivo sull’allenamento alla concentrazione, per accompagnare gli atleti alla consapevolezza, all’intenzione e azione sul focus attentivo, con obiettivo la padronanza di questa importante capacità.

Uno studio di Weinberg & Gould (2018) evidenzia come gli atleti che si avvalgono del supporto di un professionista della psicologia sportiva riescano a migliorare significativamente la loro gestione dell’attenzione e, di conseguenza, le loro performance. Come affermava Michael Phelps: “Il mio segreto? Quando sono in acqua, non esiste nient’altro. Sono solo io, il mio corpo e il mio obiettivo” (Phelps, 2016).

Sandro Anfuso

Mental Training in periodo di infortunio

L’infortunio è una delle sfide più grandi per un atleta, non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico. La perdita temporanea della capacità di praticare il proprio sport può avere un impatto profondo sulla motivazione, sulla sensazione di autoefficacia e sull’umore. La psicologia dello sport ha sviluppato diverse tecniche efficaci per supportare gli atleti durante un infortunio. Approfondiremo in questo articolo la visualizzazione e l’imagery: due strumenti potenti per accelerare il processo di recupero e migliorare la performance mentale.

La visualizzazione è una tecnica che implica l’uso della mente per creare immagini vivide e dettagliate di situazioni, movimenti o esperienze. Gli atleti utilizzano la visualizzazione per “vedere” mentalmente se stessi eseguire determinati compiti o comportamenti (come l’esecuzione di una tecnica, il completamento di un percorso o il superamento di un ostacolo). Queste immagini mentali possono essere tanto potenti quanto l’esperienza fisica stessa, e si dimostrano molto utili nel migliorare la preparazione psicologica e il focus dell’atleta.

Il termine imagery è spesso utilizzato in modo intercambiabile con la visualizzazione, ma include un concetto più ampio. L’imagery non si limita solo alla creazione di immagini visive, ma coinvolge tutti i sensi. Questo significa che, attraverso l’imagery, un atleta può immaginare non solo visivamente, ma anche sonoramente, tattilmente ed emotivamente, sperimentando una performance o una situazione nella sua interezza, proprio come se stesse accadendo in quel momento reale.

Questo accade grazie alla stimolazione dei “neuroni specchio” . Il concetto di neuroni specchio è stato introdotto negli anni ’90 da un gruppo di neuroscienziati italiani, tra cui Giacomo Rizzolatti e nello specifico sono un tipo speciale di cellule neuronali che si attivano sia quando una persona esegue un’azione, sia quando osserva un’altra persona compiere la stessa azione. I neuroni specchio consentono al cervello di “rispecchiare” il comportamento altrui come se fosse il proprio. Questa scoperta è stata rivoluzionaria, poiché ha dimostrato che il nostro sistema nervoso è in grado di attivare circuiti motori non solo durante l’azione fisica, ma anche quando si osserva l’azione stessa o, addirittura, quando la si immagina. I neuroni specchio sono coinvolti nell’apprendimento motorio, nell‘emulazione, nell’empatia e nell’immaginazione.

Un esempio pratico risiede nell’esperienza comune di assistere allo sbadiglio di un’altra persona e sentire attivarsi in noi il bisogno di sbadigliare, questo accade proprio per l’attivazione di tali cellule. Tornando al contesto sportivo quando un atleta utilizza la visualizzazione, il cervello attiva molti degli stessi circuiti neurali che sarebbero attivati durante l’esecuzione fisica del movimento. In altre parole, quando si immagina di fare un salto o di calciare una palla, il cervello non solo “vede” l’azione, ma stimola anche le aree cerebrali (come la corteccia motoria) responsabili di quell’azione.

Quando un atleta si trova in fase di recupero da un infortunio, la visualizzazione e l’imagery offrono numerosi vantaggi, sia psicologici che fisici. Queste tecniche permettono, infatti all’atleta di continuare a lavorare sulla propria performance mentale, mantenere la motivazione e migliorare la connessione corpo-mente, anche quando non è possibile allenarsi fisicamente.

Alcuni degli aspetti più difficili di un infortunio sono: la separazione dall’attività sportiva, il timore di non tornare alla forma precedente, l’essere costretti ad abbandonare l’attività, il rivedere i propri obiettivi e la paura di rinfortunarsi dopo il rientro. Queste preoccupazioni possono portare a sentimenti di frustrazione e depressione. La visualizzazione e l’imagery aiutano l’atleta a mantenere una connessione mentale con lo sport, permettendogli di continuare ad allenare la mente e a immaginare di essere sul campo mantenendo alto il senso di autoefficacia come fattore protettivo rispetto a pensieri negativi.

Durante il recupero da un infortunio, inoltre, l’atleta può sentirsi distaccato dal proprio corpo, soprattutto se è costretto a ridurre o interrompere l’attività fisica. La visualizzazione e l’imagery, permettono di “allenare” il corpo anche a livello mentale. L’atleta può immaginare di eseguire i movimenti corretti, attivando il sistema neuromuscolare e mantenendo la memoria motoria attiva. Questo aiuta a mantenere la consapevolezza delle proprie capacità fisiche e prepara il corpo per un ritorno graduale all’attività. Studi scientifici hanno dimostrato che la visualizzazione e l’imagery possano stimolare il recupero fisico, in particolare per quanto riguarda la guarigione muscolare e il recupero funzionale, sebbene non possano sostituire il trattamento fisico, queste tecniche riescono a supportare il processo di guarigione attivando la mente e creando stimoli positivi per il corpo. L’immaginazione di sè stessi mentre si eseguono correttamente i movimenti può accelerare la riabilitazione e migliorare l’efficacia degli esercizi fisici che si svolgono durante la fase di recupero.

Il dolore fisico che accompagna un infortunio può anche avere un impatto psicologico significativo, aumentando ansia e frustrazione. L’imagery è una tecnica efficace per affrontare il dolore, poiché aiuta l’atleta a concentrarsi su immagini positive e rilassanti, riducendo la percezione del dolore, lo stress e l’ansia associati al recupero, permettendo una gestione più serena dell’esperienza. Durante un infortunio, inoltre, la fiducia in se stessi può diminuire. La visualizzazione e l’imagery consentono all’atleta di riprendersi mentalmente, migliorando la fiducia nelle proprie capacità, rafforzando la motivazione e il desiderio di continuare a lavorare verso il recupero facendo rivivere momenti in cui esso stesso è stato altamente prestazionale ricordandogli quelle sue risorse.

La mente gioca un ruolo fondamentale nel processo di guarigione, dunque utilizzando la visualizzazione e l’imagery, gli atleti possono sfruttare appieno le potenzialità per tollerare le difficoltà fisiche e superare le fragilità psicologiche associate.

 

Chiara Feno

La differenza tra un atleta che sogna e un campione che vince: il ruolo fondamentale della mentalità nello sport

La differenza tra un atleta di successo e un campione non risiede solamente nelle sue capacità fisiche, ma nella sua preparazione mentale. Ad esempio, secondo uno studio di Weinberg e Gould (2015), le capacità psicologiche, come la gestione dello stress, la concentrazione e la resilienza, sono determinanti nel raggiungimento dell’eccellenza sportiva.

Gli atleti che si concentrano non solo sul miglioramento fisico, ma anche sul potenziamento delle proprie abilità mentali, sono più predisposti a gestire la pressione e a performare al massimo livello. Come affermato da Anderson e Williams (1999), “la mente è il muscolo più potente di un atleta”, suggerendo che la preparazione mentale è tanto fondamentale quanto quella fisica per ottenere risultati di alto livello.

Non solo muscoli, tecnica e resistenza fisica. Al contrario, il vero successo nello sport si costruisce spesso in modo silenzioso e nascosto, lavorando su qualcosa che va oltre l’allenamento tradizionale: la mentalità. La forza mentale è ciò che distingue un atleta di talento da un campione, ed è anche quella che permette di superare gli ostacoli e mantenere una performance costante anche nei momenti di difficoltà.

Sport Mindset Agency crede fermamente che l’aspetto mentale sia un fattore fondamentale, tanto quanto la preparazione fisica, per raggiungere l’eccellenza nello sport. Allenarsi mentalmente non significa solo affrontare l’ansia pre-gara o la pressione durante le competizioni, ma anche saper gestire la frustrazione, la delusione e le difficoltà psicologiche che inevitabilmente si presentano nel percorso di un atleta.

L’allenamento mentale aiuta a sviluppare quella resilienza che consente a un atleta di rimanere concentrato anche sotto pressione. Come ha sottolineato Simone Biles, una delle ginnaste più talentuose e vincenti di tutti i tempi, “il mio corpo può fare quello che voglio, ma è la mia mente che mi permette di fare quello che non pensavo fosse possibile”. La capacità di controllare i pensieri, le emozioni e l’atteggiamento è ciò che permette a un atleta di fare la differenza. Non solo durante la gara, ma anche nei periodi di difficoltà, quando le sfide personali sembrano sovrastare quelle professionali.

Per esempio, gli atleti di sport individuali, come il tennis o il golf, spesso si trovano a dover affrontare non solo gli avversari, ma anche un’intensa battaglia psicologica con se stessi. La solitudine delle lunghe ore di allenamento, l’incertezza di ogni match, il peso di una sconfitta…tutti fattori che possono influire negativamente sulla motivazione e sulla fiducia. Qui entra in gioco l’importanza di avere una solida rete di professionisti, per curare non solo aspetti fisici ma anche mentali. Allenatori, fisioterapisti, psicologi dello sport sono figure essenziali per affrontare i momenti di difficoltà.

In Sport Mindset Agency, ogni atleta è accompagnato in un percorso mentale che lo aiuti a rafforzare il proprio “mindset” attraverso strategie personalizzate, che includono anche tecniche di rilassamento, concentrazione e gestione delle emozioni.

Non importa se la sfida è un match importante, un periodo di risultati deludenti o un momento di stress nella vita quotidiana. L’obiettivo è imparare a vivere ogni difficoltà come un’opportunità di crescita. Questo è stato evidenziato anche da Gould e Udry (1994), che affermano che gli atleti che riescono a “trasformare le difficoltà in opportunità” sono quelli che più frequentemente raggiungono il successo.

Il team di SMA è fermamente convinto che il percorso di crescita di un atleta debba essere prima personale poi sportivo. Per questo offriamo percorsi di mental training che aiutano gli atleti ad attraversare le loro paure, a gestire la tensione pre-gara, a sviluppare una resilienza psicologica che li rende pronti ad affrontare qualsiasi tipo di sfida. La mentalità vincente non si sviluppa in un giorno, ma è il frutto di un costante allenamento, proprio come il corpo. Solo quando un atleta riesce a sincronizzare la forza fisica con la forza mentale, potrà davvero esprimere il proprio potenziale al massimo. E, alla fine, questo è ciò che fa la differenza tra un atleta che sogna e un campione che vince.

Elena Uberti

Gestire la rabbia in campo (come salvare la tua racchetta e la tua concentrazione)

La rabbia è un’emozione potente, soprattutto sul campo da tennis. Quando arriva, ti prende alla gola, ti stringe il petto, ti fa vedere tutto rosso. Se non la sai gestire, rischi di perdere la partita prima ancora che finisca. Ti distrai, commetti errori evitabili e, alla fine, ti sfoghi nel modo più classico: distruggendo una racchetta.

Se esistesse un campionato mondiale di racchette rotte, il vincitore sarebbe senza dubbio Marat Safin, che ne ha frantumate più di 1000 in carriera. Ma non è certo l’unico. John McEnroe ha costruito una leggenda sulle sue sfuriate contro arbitri e avversari, Nick Kyrgios alterna giocate da fenomeno a esplosioni di rabbia incontrollabile, e Andrey Rublev è uno di quelli che più fa parlare di sé per il suo rapporto con la rabbia.

Rublev è un libro aperto: non nasconde nulla. Se qualcosa non va, lo vedi subito. Urla, sbraita, lancia la racchetta con una forza tale da voler rompere non solo la racchetta, ma anche la partita stessa. Ma non è stato un episodio isolato: in passato ha colpito la sua borsa con la racchetta, si è dato pugni sulla gamba, ha scagliato oggetti lontano per la frustrazione.
È un giocatore di cuore, ma anche di tanta tensione. E questi momenti ci fanno capire quanto sia difficile gestire le emozioni quando la pressione è altissima. Non è detto però che la rabbia sia sempre un problema. Se riesci a incanalarla nel modo giusto, può diventare il carburante che ti serve per rimanere in partita. Il punto è capire il confine tra “rabbia che ti carica” e “rabbia che ti fa perdere il controllo”. È una linea sottile: troppa frustrazione ti porta a prendere decisioni sbagliate, a deconcentrarti e a compromettere la tua prestazione. Ma se riesci a usarla nel modo giusto, può darti quell’energia in più per spingere ancora, per rimanere lucido nei momenti decisivi, per non mollare quando tutto sembra andare storto.

Il Legame tra Rabbia e Concentrazione

Molti pensano che la rabbia sia solo distruttiva, ma non è sempre così. In alcuni casi, può diventare una spinta positiva. Il segreto è riuscire a trasformarla in concentrazione. Guarda i grandi campioni: tutti, prima o poi, hanno avuto momenti di frustrazione, ma i migliori sanno come usarla a loro vantaggio.
Prendiamo Novak Djokovic. All’inizio della carriera, aveva seri problemi con la gestione emotiva. Si innervosiva facilmente, perdeva il controllo, buttava via partite già vinte. Poi, negli anni, ha sviluppato un autocontrollo incredibile grazie alla meditazione, alla respirazione e a tecniche di gestione dello stress. Oggi, quando si arrabbia, non lascia che la frustrazione lo travolga: la usa per restare focalizzato.
La rabbia diventa un problema quando prende il sopravvento sulla concentrazione. Se inizi a pensare all’errore che hai appena commesso, se ti lasci trascinare dall’ansia o dal nervosismo, perdi il filo del gioco.

Ci sono diversi modi per rimanere lucidi quando la tensione sale. La respirazione profonda, per esempio, aiuta a rallentare il battito cardiaco e a evitare reazioni impulsive. Quando senti che la rabbia sta salendo, fai un respiro lungo e profondo, inspira contando fino a quattro, trattieni per un secondo e poi espira lentamente. Semplice e altrettanto efficace. Anche il dialogo interno è fondamentale. Se ti ripeti “Sto giocando malissimo, non ne azzecco una”, la frustrazione aumenta. Se invece provi a sostituire quei pensieri con frasi più utili, come “Respiro, mi riprendo, avanti punto dopo punto”, hai molte più probabilità di rimanere concentrato.

Un altro trucco è rallentare il ritmo e gestire il tempo. Prenditi qualche secondo in più tra un punto e l’altro. Non farti trascinare dalla frenesia. Se sei al servizio, fai un respiro in più prima di lanciare la palla. Se sei in risposta, sgranchisci le spalle, scuoti le braccia, fai qualsiasi cosa per staccarti un attimo dalla tensione. Anche immaginare il tuo stato emotivo ideale aiuta: visualizza come vorresti sentirti in quel momento e prova a ricrearlo mentalmente.

Dai Modelli di Rabbia a Quelli di Controllo

Jannik Sinner è un esempio interessante. Di solito è uno che in campo rimane sempre composto, quasi impassibile. Ma anche lui ha avuto il suo momento di frustrazione. Con una solamente una racchetta rotta in carriera, in un torneo under 18, di certo non è tra i primi posti della classifica. La differenza rispetto ad altri? Subito dopo, si è pentito e ha dichiarato:
“Non voglio che questo sia il mio modo di sfogare la rabbia, devo migliorare la mia gestione emotiva.”

E poi c’è Rafael Nadal. Se c’è qualcuno che ha fatto della concentrazione un’arte, quello è lui. Guardarlo giocare è come assistere a un rituale perfetto: le bottiglie allineate sempre nello stesso modo, come si sistema i capelli prima di servire, i tempi precisi tra un punto e l’altro. Non sono solo gesti automatici: sono strategie per mantenere il controllo, per rimanere focalizzato, per non lasciare che la rabbia o la frustrazione prendano il sopravvento.

La Mentalità Vince Sempre

Gestire la rabbia non significa reprimerla, ma imparare a usarla nel modo giusto. Gli atleti più forti non sono quelli che non provano emozioni, ma quelli che sanno come riconoscerle e gestirle. Ogni partita è una battaglia mentale tanto quanto fisica.
La prossima volta che senti la frustrazione salire, fermati un attimo. Respira. Ricordati che la rabbia può essere un’arma a doppio taglio: se la lasci sfuggire di mano, ti affonda. Ma se impari a controllarla, può diventare la spinta che ti porta alla vittoria. E, alla fine, la vera differenza la fa sempre la testa.

Federico Cesati

Costruire relazioni positive nello sport: una risorsa per il benessere e il successo

Lo sport non è solo una questione di performance, record o trofei. È anche una dimensione profondamente umana, fatta di connessioni, emozioni e relazioni. Quando pensiamo a un team vincente o a un atleta di successo, è facile concentrarci sulla loro abilità tecnica o sulla loro forza mentale. Ma c’è un altro elemento, spesso invisibile, che gioca un ruolo cruciale: le relazioni positive nell’ambiente sportivo.

Avere un supporto sociale solido all’interno del proprio ambiente sportivo è fondamentale per affrontare le sfide, gestire la pressione e mantenere la motivazione. Non importa se si gioca in uno sport di squadra o individuale: sentirsi parte di una rete di relazioni positive può fare la differenza nei momenti difficili. Gli studi dimostrano che il supporto sociale può ridurre i livelli di stress e migliorare il benessere psicologico (Rees e Hardy, 2004).

Pensate a un team sportivo che celebra una vittoria insieme, condividendo gioia e senso di appartenenza. O immaginate un allenatore che offre parole di incoraggiamento nei momenti critici, o un compagno di squadra che ascolta e sostiene durante una fase di difficoltà personale. Questi gesti, apparentemente semplici, creano un terreno fertile per lo sviluppo della resilienza e della fiducia reciproca.

Diversi atleti professionisti hanno sottolineato l’importanza delle relazioni nel loro percorso di successo. Novak Djokovic, uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi, ha parlato in più occasioni del ruolo fondamentale della sua squadra nel gestire la pressione durante i tornei (Djokovic, 2019). Allo stesso modo, Michael Phelps, il nuotatore più decorato della storia olimpica, ha attribuito il suo successo non solo al talento e all’impegno, ma anche al supporto ricevuto dai suoi allenatori e dai suoi compagni di squadra, specialmente nei momenti di difficoltà emotiva (Phelps, 2016).

Creare un ambiente sportivo positivo richiede intenzionalità e impegno da parte di tutti i membri. Ecco qualche tattica che può essere d’aiuto:

Comunicare, aprirsi. La comunicazione è la base di qualsiasi relazione. Parlare apertamente delle proprie esigenze, aspettative e difficoltà favorisce la comprensione reciproca.
Ascoltare attivamente. Mettersi nei panni dell’altro e ascoltare senza giudizio aiuta a creare un clima di fiducia.
Dare supporto, esserci. Essere presenti nei momenti importanti, sia in campo che fuori, rafforza il senso di comunità.
Celebrare i piccoli passi. Festeggiare insieme le vittorie, grandi o piccole, crea un legame più forte e rafforza la motivazione.
Vivere bene i conflitti: I conflitti sono inevitabili, ma starci in modo costruttivo può trasformarli in opportunità di crescita.

Con l’aiuto di uno psicologo dello sport, questi aspetti possono essere valorizzati, allenati e costruiti con successo nel tempo. Lo psicologo dello sport può offrire strumenti e strategie per migliorare la comunicazione, gestire i conflitti e rafforzare il senso di appartenenza all’interno di un team. Inoltre, aiuta gli atleti a sviluppare competenze emotive come l’empatia e la resilienza, creando un ambiente che favorisce il benessere e la performance. Attraverso percorsi personalizzati, gli psicologi dello sport lavorano per potenziare le relazioni interpersonali e per rendere gli atleti più consapevoli dell’importanza del supporto reciproco, favorendo un clima positivo e costruttivo.

Uno studio condotto da Jowett e Cockerill (2003) ha evidenziato che le relazioni di alta qualità tra atleti e allenatori sono associate a livelli superiori di soddisfazione, impegno e performance. Inoltre, un ambiente positivo riduce il rischio di burnout, un problema sempre più comune tra gli atleti a tutti i livelli. Creare relazioni solide non è solo una questione di benessere personale. Questi legami possono influenzare anche la performance sportiva. Un atleta che si sente sostenuto è più propenso a superare le difficoltà, a gestire la pressione e a mantenere alta la motivazione nel lungo termine.

L’importanza delle relazioni positive nello sport va oltre il mondo competitivo. Che siate atleti amatoriali, allenatori, genitori o semplici appassionati di sport, investire nelle relazioni può migliorare la qualità della vostra esperienza. Lo sport è, in fondo, una metafora della vita. E proprio come nella vita, le relazioni sono il cuore pulsante di ogni successo.

Per cui, se posso darvi un suggerimento, vi invito a sperimentarvi nel coltivare relazioni positive nel vostro ambiente sportivo. Siate presenti, ascoltate, sostenete e celebrate. Non solo migliorerete la vostra esperienza sportiva, ma contribuirete anche a creare una comunità più forte e resiliente.

 

Sandro Anfuso

Il Fair-Play nello Sport: valori e lezioni di vita

Il fair-play è un concetto legato alla correttezza sportiva e rappresenta un pilastro fondamentale per la crescita personale, sociale e culturale di ogni atleta. Si tratta di un insieme di valori che promuove il rispetto delle regole, dell’avversario e dello sport stesso, costituendo un vero e proprio stile di vita che trascende il campo di gioco.

L’Essenza del Fair-Play

Il termine “fair-play” si traduce letteralmente come “gioco leale” e implica una serie di comportamenti etici che ogni sportivo dovrebbe adottare. Questo significa rispettare le regole del gioco, accettare le decisioni degli arbitri senza proteste e riconoscere i meriti degli avversari e questo richiede un impegno attivo nel garantire un ambiente sportivo sano e inclusivo.

I Benefici del Fair-Play

Crescita Personale: importante qui è la gestione delle proprie emozioni, oltre che altre competenze come l’empatia e la capacità di gestire le situazioni difficili, valori utili non solo nello sport ma in ogni ambito della vita.
Valori: rispettare l’avversario significa riconoscere la dignità e il valore di ogni persona, indipendentemente dal risultato o dalla competizione.
Modelli: gli atleti che sono umili e praticano il fair-play diventano modelli positivi per i giovani, dimostrando che l’attenzione verso gli altri è fondamentale tanto quanto la vittoria.

Fair-Play e Competizione

Molti credono erroneamente che il fair-play sia in contrasto con il desiderio di competere e vincere. Al contrario, esso esalta la vera essenza della competizione: non si tratta solo di battere l’avversario, ma di farlo stando nelle regole e dimostrando le proprie capacità.

Episodi storici di sportivi che hanno anteposto l’etica alla vittoria dimostrano come il fair-play sia sinonimo di grandezza. Un esempio è il gesto dell’atleta italiano durante la finale degli AustralianOpen 2025, Jannik Sinner, che ha dato una lezione di fair-play e umanità. Dopo la vittoria contro Alexander Zverev in tre set consecutivi, quest’ultimo, visibilmente sconvolto e in lacrime per aver visto sfumare ancora una volta la vittoria in un Grande Slam, è stato rassicurato e abbracciato da Sinner, che ha offerto sostegno e accoglienza in un momento di grande difficoltà emotiva per il suo avversario.

Il Modello SMA: Allenarsi Mentalmente per il Fair-Play

Il concetto di fair-play può essere ulteriormente rafforzato integrando il modello SMA, che si concentra sull’allenamento mentale attraverso tre aree chiave: Elementi FondantiElementi Relazionali ed Elementi Autoregolativi. Questi pilastri non solo migliorano la performance sportiva, ma promuovono un comportamento etico, elementi essenziali per il fair-play.

Elementi Fondanti: riguardano la consapevolezza e la gestione della propria motivazione. Migliorare la fiducia in sé stessi e costruire un’immagine positiva di sé aiuta gli atleti ad affrontare le sfide con perseveranza e resilienza. Questo approccio è fondamentale per mantenere un atteggiamento leale anche in situazioni difficili, come il recupero da infortuni o insuccessi.
Elementi Relazionali: gli aspetti relazionali rappresentano il cuore del fair-play e dell’allenamento mentale. Lo sviluppo di empatia, ascolto attivo e comunicazione assertiva favorisce non solo la coesione del gruppo-squadra, ma anche l’integrazione con lo staff e la famiglia. Come Team, crediamo fermamente che queste figure abbiano un ruolo cruciale nel supportare l’atleta sia sul piano sportivo che umano, favorendo la collaborazione e la costruzione di un modello di azione positivo, in cui tutti si sentano parte di un progetto comune.
Elementi Autoregolativi: comprendono la gestione delle emozioni, dello stress e dell’ansia, oltre alla capacità di prendere decisioni sotto pressione. Pianificare strategie mentali e lavorare su routine pre-gara, ad esempio, può aiutare gli atleti a mantenere la concentrazione e a rispettare i principi del fair-play anche nei momenti di maggiore pressione competitiva.

Strategie per Promuovere il Fair-Play

Per garantire che il fair-play sia un valore centrale nello sport, è necessario promuoverlo a tutti i livelli:

1. Educazione: inserire il concetto e valore del fair-play nei programmi di allenamento per sensibilizzare i giovani sull’importanza del rispetto e della correttezza.
2. Il ruolo degli allenatori e delle famiglie: gli allenatori e le famiglie sono modelli di comportamento etico e possono promuovere un approccio basato sull’integrazione e la cooperazione.
3. Incentivi e riconoscimenti: premiare gli episodi di fair-play durante le competizioni aiuta a dare visibilità ai comportamenti positivi.

Il fair-play è molto più di un codice di condotta: è un’opportunità di costruire un modo di vivere lo sport in cui etica e competizione possano coesistere armoniosamente. Integrando il modello SMA, con un particolare focus sugli aspetti relazionali e sul ruolo dello staff e della famiglia, è possibile creare un ambiente sportivo positivo e funzionale. Tutti, infatti, hanno un impegno attivo e cruciale nel diffondere questo valore.

In un’epoca in cui la pressione del risultato spesso prende il sopravvento, il fair-play ci ricorda che il vero spirito sportivo risiede nel rispetto, nella lealtà e nella capacità di affrontare le sfide con integrità.

 

LA MEMORIA DEL CORPO: oltre il genere e le etichette

Lo sport viene spesso filtrato attraverso la lente di un genere che ne definisce, o più precisamente, ne limita l’essenza.

Quando pensiamo al calcio, ad esempio, il calcio, quello “vero” è quello maschile. Quello femminile, invece, ha bisogno dell’aggettivo per essere riconosciuto, come se fosse una versione derivata, una copia sbiadita di ciò che è considerato autentico.

Un pò come la vecchia storia della costola di Adamo.

Eppure, come suggerisce Judith Butler, le identità di genere non sono solo il risultato di un discorso, ma sono qualcosa che viene performato. Una performance che si ripete per secoli e che, se reiterata abbastanza a lungo, diventa quasi inconscia, un automatismo.

Ricordo una mia amica che da bambina amava giocare a calcio. Per gli adulti che la circondavano, questa passione appariva come una peculiarità da giustificare. Particolarità che si spiegava con un semplice: «Suo padre voleva un maschio, e ha proiettato sulla figlia quel desiderio».

Eppure, questa spiegazione non fa altro che consolidare l’idea che una donna che si allontana dai ruoli di genere predefiniti debba essere vista come un’anomalia. Le aspettative sociali, legate al ruolo che il genere impone, non solo influenzano la nostra percezione di noi stessi e degli altri, ma costruiscono e limitano anche le nostre possibilità di esprimere chi siamo veramente. Questo continuo doversi adattare ai modelli imposti è, per molti, un vero e proprio ostacolo alla realizzazione piena del sé.

Il corpo dell’atleta è un luogo di costruzione identitaria, un canovaccio su cui si scrivono, o meglio, si scolpiscono i segni della cultura e della biologia, una trama che intreccia il mondo esterno con quello interno. Lo sport non è solo allenamento e performance, ma un mezzo attraverso cui costruiamo la nostra identità.

A volte, mi capita di posare lo sguardo su cicatrici che parlano di cadute in bici o di ruzzoloni in montagna. Si accende un ricordo. Ma mi rendo conto che un corpo non basterebbe per accogliere i segni di tutto quel movimento, di tutto quel vivere: la maggior parte delle memorie del corpo sfuggono alla mente, e questa fallacia mi irrita.

E, forse, è proprio nel corpo che risiede la vera memoria di noi stessi, quella che va oltre le convenzioni e i giudizi, quella che ci parla più chiaramente di chi siamo e di cosa siamo capaci di fare, perché viviamo con il nostro corpo molto più di quanto la memoria ricordi.

 

Giada Cananzi

Resta sempre aggiornato sulle novità
Sport Mindset Agency!

Iscriviti alla Newsletter e ottieni uno sconto del 10% su un pacchetto a tua scelta.

    Accetto il trattamento dei dati personali come previsto dalla Privacy Policy

    info@smateam.it

    Elena Uberti: 349 513 4705

    Via Andrea Maffei 10 20135 Milano


    ©2024 | Piva 12330800967

    Web engineering and design by Sernicola Labs