La sensazione di “euforia del corridore” (runner’s high) è da tempo un mistero affascinante. Originariamente descritta nel 1855 dal filosofo Alexander Bain (1), questa sensazione di felicità intensa è stata paragonata a un’estasi simile a quella di Bacco, il dio romano del vino. Il corridore e triatleta Scott Dunlap (2) riassume così la sensazione che prova quando corre: “lo equiparerei a due vodka Red Bull, tre ibuprofene, più un biglietto della lotteria vincente da 50 dollari in tasca”.
Ma non si tratta solo di corsa: ogni attività fisica prolungata che aumenti il battito cardiaco, come camminare, nuotare, danzare o praticare yoga, può suscitare questo stato di benessere.
Qual’è il significato di questa ricompensa? La teoria più recente sull’euforia del corridore è piuttosto audace: la nostra capacità di sperimentare questo tipo di euforia sarebbe legata alle vite dei nostri antenati che erano cacciatori e raccoglitori. Lo stato neurochimico che rende la corsa gratificante in origine poteva essere una ricompensa per sostenere la caccia e la raccolta da parte dei primi uomini. Ciò che oggi chiamiamo “euforia del corridore” potrebbe anche aver incoraggiato i nostri antenati a collaborare e a condividere il bottino di una caccia, favorendo la sopravvivenza del gruppo.
Nell’epoca moderna, la stessa euforia, raggiunta attraverso la corsa e altra attività fisica, può quindi elevare il nostro umore e facilitare la connessione sociale. Un esempio interessante arriva dalla Tanzania, terra che ospita gli Hadza, una delle ultime tribù esistenti di cacciatori-raccoglitori. Gli Hadza trascorrono gran parte della giornata a cacciare e/o a raccogliere piante: uomini, donne, e anziani praticano almeno due ore di attività fisica moderata al giorno (3). I componenti di questa tribù non solo non mostrano segni di malattie cardiovascolari, così diffuse nelle società industrializzate, ma ciò che è ancora più sorprendente è l’apparente assenza di altre due epidemie moderne: l’ansia e la depressione (4-5).
È impossibile dire se ciò abbia qualcosa a che fare con il loro stile di vita attivo, ma è anche difficile ignorarlo. David Raichlen, antropologo presso la University of Arizona, ipotizzò che le sostanze chimiche prodotte dal cervello durante un’attività prolungata fossero gli endocannabinoidi: le stesse sostanze chimiche mimate dalla cannabis o dalla marijuana. Molti effetti di queste sostanza sono coerenti con le descrizioni dell’euforia indotta dall’esercizio fisico, tra cui: il calo di preoccupazioni o stress, la riduzione del dolore, il rallentamento del tempo e l’amplificazione delle percezioni sensoriali (5).
In una ricerca del 2017 sul funzionamento del sistema endocannabinoide del cervello (6), gli scienziati hanno identificato 3 fattori che lo stimolano in modo significativo: l’intossicazione da cannabis, l’esercizio fisico e la connessione sociale. Gli stati psicologici più fortemente associati a bassi livelli di endocannabinoidi? Ansia e solitudine. Livelli elevati di endocannabinoidi aumentano quindi il piacere che deriva dall’essere vicino ad altre persone e riducono anche l’ansia sociale, che può ostacolare la connessione con l’altro. L’effetto del corridore, quindi, aiuta a creare legami.
È uno strano connubio, quello tra la corsa e il senso di appartenenza. Perché il nostro cervello collega l’attività fisica e la connessione sociale? La biologia dell’euforia del corridore si intreccia con la neurochimica della cooperazione, un legame che ci ha permesso l’evoluzione. L’esercizio fisico aumenta la sensibilità del cervello ai piaceri legati al sistema endocannabinoide, che amplifica non solo l’euforia del corridore, ma anche i piaceri sociali come la cooperazione, la condivisione, consentendo percezioni più spontanee di vicinanza, amicizia e appartenenza nei riguardi dei familiari, degli amici o degli estranei.
Il collegamento tra attività fisica e connessione sociale offre un motivo valido abbastanza per essere attivi durante la nostra quotidianità: se l’ansia e la depressione sono le nostre epidemie moderne, un passo verso la nostra natura ci può portare a una quotidianità più equilibrata e una maggiore soddisfazione della la propria vita (7).
REFERENZE
(1) Alexander Bain (1855), “The senses and the intellect, John W. Parker and Son, London.
(2) Scott Dunlap (2005), “Understanding the runner’s high”, 8 gennaio
(3) podcast “Story collider”
(4) Dennis M. Bramble, Daniel E. Lieberman (2004), “Endurance running and the evolution of Homo”, Nature, 432 (7015), 345-352.
(5) Raichlen et al. (2017), “Physical activity patterns and biomarkers of cardiovascular disease risk in hunter-gatherers”, American Journal of Human Biology, 29 (2).
(6) M.P. White et al. (2017) “Natural environments and subjective wellbeing: different types of exposure are associated with different aspects of wellbeing”, health and Place, 45, 77-84.
(7) Jaclyn P. Maher at al. (2014), “Daily satisfaction with life is regulated by both physical activity and sedentary behaviour” Journal of Sport and Exercise Psychology, 36 (2), 166-178.
Giada Cananzi
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